O Quinzio, se tu vuoi
Che Catullo ti debba gli occhi suoi; O qual cosa più cara havvi degli occhi, Fa' che tu non gli tocchi
Ciò ch'è degli occhi suoi più caro a lui, Se altro v'è caro più degli occhi sui.
Calvo, se giunger mai può dal dolore Nostro qualche contento all'ombre mute, Onde rinnovelliamo il vecchio amore, E piangiam l'amicizie un dì perdute, Non tanto il suo morir Quintilia accora, Quanto ella gode che tu l'ami ancora.
Tratto per terre molte e molti mari A far questi, o germano, io son venuto D'esequie lagrimose uficj amari: Perchè di morte l'ultimo tributo
Io ti recassi, e mia voce dolente Stancassi invano intorno al cener muto. Ahi! che l'aspra fortuna di repente A me ti tolse: oh amato fratel mio Rapito a me cotanto indegnamente! Or secondo il costume antico e pio Questi bagnati di pianto fraterno Doni accogli, che a te porger poss' io. Addio caro german, vivi in eterno.
E CALVARIAE MONTE REGRESSUS
A Philippo Tarduccio dictum in Fortium Academia die 30 Martii 1795.
xanimi Genitrix corpus miserabile Nati Iam trepido complexa sinu, lotisque cruentis Vulneribus, superaccumbens dedit ultima fronti Oscula, et abscessit caro divulsa sepulchro Circumstant fidae Comites, quae parcere obortis Nesciae adhuc lacrimis late loca questubus implent, Singultusque iterant, passis per colla capillis
Perque genas; at Virgo parens, licet aestuet intus luctus atrox; premit altum corde dolorem,
Digrediturque jugo, infandi cui signa supersunt
Poichè la Vergin Madre in seno accolta
Ebbe l'esangue luttuosa spoglia
Del caro figlio, e le sanguigne piaghe Lavò col pianto, ed inclinata a terra Sulle distese abbandonate membra L'ultimo impresse alla pallida fronte Bacio materno, alfin dal pegno amato Si distaccò. Già muove lungi il passo, E fedeli compagne a Lei d'intorno Vanno le meste donne che por freno Ai singulti, alle lagrime, ai lamenti Ancor non sanno, e sul collo, e le guance Lascian cader lo scarmigliato crine. Ma la Vergin, benchè l'atroce doglia, Simile a fluttuante onda marina,
Le bolla in sen, pur la comprime e serra Nel cor profondo, e si dilunga omai Dalla cima del Golgota, che ancora
Supplicii, Noctisque redux circum imminet horror.
Divam abeuntem aegre, et vestigia caeca trahentem
Est tellus miserata novo succussa fragore ;
Ipsae illam tremulae deflerunt, cortice secto Sponte sua, quercus, foliisque madentibus orni; Quin rupes, et saxa suas testata querelas Scindere se, dein scissa pedes fulcire labantis
Visa, dehiscenti ne forte miserrima Matrum Procumbat resupina solo; silet illa, viamque Insequitur nil tale timens, namque una recursat Menti, oculisque trabe ex atra pendentis imago, Membraque dilaniata, et apertum cuspide pectus Collapsum caput, et rorantes sanguine crines.
Iamque propinquanti sceleratae moenibus Urbis Obvius occurrit satus alto a germine ludae, Rex idem, et Vates David: comitatur euntem
Lecta manus procerum, queis illico surgere in artus
Iamdudum functos, superasque evadere ad auras
Del sanguinoso eccidio i segni porta. Già la notte si avanza; e il dubbio passo Trae sul sassoso disugual sentiero
La mesta Diva: al suo dolor commossa Trema ampiamente la spaziosa terra: S'urtan tremando con l'annose braccia Le querce, e gli orni, e le rigide rupi Per la pietà si stritolan le membra: Ma lo scagliate sasso alfin temendo Non forse offenda e cader faccia al suolo La più infelice fra l'afflitte madri, Frenasi, e al piè si ferma. Ella pur segue Tacita il suo cammin, nè sente o teme Questo vicino a se fiero tumulto Delle insensate sì, ma pur frementi Terrene cose. In mente sol scolpita Profondamente sta la viva immago Del Figlio suo, che da nodosa croce Pende confitto; ei lacerati membri, E il petto aperto dall' acuta lancia, E l'inclinato capo, e tra le spine Le grondanti di sangue inspide chiome. E mentre Ella s' appréssa all' alte mura Dell' ingrata Sionne, eccole incontro Della stirpe di Giuda il gran germoglio, Davidde il Re Profeta: a lui dappresso Son del popolo eletto i Padri antichi A cui fu dato rivestir l'annose Ossa sepolte, e ritornare al mondo
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