1 errori d'ogni fatta, e spesso ridicolissimi. Con quegli eruditi vanno a schiera gli Accademici della Crusca, che della stampa del Biscioni si servirono per l'ultima edizione del Vocabolario, in luogo di quella del Sessa, di cui si erano prevaluti gli antecedenti compilatori. Quel testo quindi prese posto di lezione volgata, e fu più volte ristampato nel secolo scorso: qual fede esso meriti il vedranno i lettori nelle Note che si trovano ad ogni pagina della nostra edizione. Ben è il vero che monsig. Dionisi, ammiratore di Dante caldissimo oltre ogni termine, accortosi che alcune lezioni del Convito non reggevano col buon discorso, erasi provato di sanarle ne' suoi Aneddoti. Ma quegli Aneddoti furono trascurati, perchè il Dionisi avea cert'aria di stravaganza nelle sue cose e nelle sue opinioni, che allontanava da lui gli animi poco pazienti de' letterati. Questi però furono meglio assennati sulla fede che si meritano i testi degli antichi scrittori, da che l'insigne Perticari ne rivelò molte piaghe nell' aureo suo Trattato degli Scrittori del Trecento. Ed appunto dal Convito ei prese molti esempii di scorrezioni, siccome da quell'opera che il Salriati stesso diceva la più antica e la principale b di tutte le illustri prose italiane; e mostrò come poteano rimediarsi quando non si fossero poste in biasimevole dimenticanza le sane ed acute discipline dell'arte critica. E certamente quest'arte ch'è la sola fiaceola per rimettere nella nativa bontà le opere de Classici, quando chiaramente essa vedesi smarrita per la supina ignoranza de' Copisti e degli Editori; quest'arte di cui i Poliziani, i Vittorii, i Beroaldi, gli Heine, gli Ernesti e molti altri chiarissimi Italiani ed Oltremontani fecero così bell’uso per liberare dalla scoria de' bassi tempi gli scritti immortali della Grecia e del Lazio; quest'arte, che nella materia delle lettere non è poi altro che la pratica applicazione dei canoni della Logica, è invocata anche da quelle opere che l'ingegno italiano produsse nel risorgimento dell'umana ragione prima che la stampa fosse trovata. Perciò noj demmo intenzione, or sono tre anni (a), di voler pubblicare un'edizione del Convito ridotto alla miglior lezione che fosse possibile. Nè da quel tempo abbiamo giammai (a) Saggio dei molti e gruvi errori trascorsi in tutte le edizioni del Convito di Dante. Milano, dalla Soc. Tipogr. dei Classici italiani, 1823. perduto di vista il nostro autore, procurandoci i riscontri di quanti Codici venivano a nostra notizia, e studiando di renderci sempre più familiare la sua maniera di pensare e di esprimere i proprii pensieri , onde camminar più sicuri nella scoperta degli errori e nella correzione di essi. Chè ne parve sconoscenza il lasciare nel misero stato in che si giaceva quest' altissima e sapientissima prosa , in mentre che da taluni si va dissotterrando dalla polvere delle biblioteche, o con eruditi lavori illustrando tali scritture, cui sarebbe pietà non togliere dall'obblio in cui dormono da secoli. La qual cosa essi fanno col pretesto di fornire esempii a coloro che, sulle tracce di qualche moderno eccellentissimo scrittore, studiano di ripulire l'italiana prosa dal liscio straniero, e di darle carattere nazionale col ritrarre la favella verso gl'intemerati suoi principii. Ma se i nostri maggiori com'ebbero sempre in somma venerazione i versi di Dante, così avessero tenuto l'occhio eziandio alle sue prose un po' più di quello che sembrano aver fatto, essi ne avrebbero ricavato due notabili vantaggi. Il primo, che Dante avrebbe loro insegnato col fatto potersi dare anche in Italiano uno stile che si colora della gravità de' sapienti, col quale si debbono trattare gli alti subietti, lasciando alle novelle ed a quelle scritture che sono dell'indole delle novelle, la lingua di qualunque volgo, per quanto essa abbondi di frizzi ed abbia una certa sua eslicacia. Il secondo, che si dee imitare negli scrittori latini il dire regolato dalla Gramatica, l'altezza de' sentimenti, ed ogni bellezza dell'eloquenza; ma che degenera in vizio l'invilupparsi, per solo fine di conseguir l'armonia, in que' lunghi avvolgimenti de' loro periodi, poichè si cade nell'oscurità, non potendosi nel nostro idioma, come nel loro, ravvisare così a prima giunta le corrispondenze della sintassi quando i pensieri si dilungant troppo dall'ordine naturale. Del qual vizio benchè non vada del tutto esente lo stile del Convito, esso non ne forma però il carattere generale. Perocchè ordinariamente il dire vi è conciso e vibrato, con forte ma semplice elocuzione; quale Tullio afferma essere il discorso de' Filosofi, cioè non iroso, nè malevolo, nè atroce, nè sorprendente, nė astuto, ma casto, verecondo, quasi siccome vergine incorrotto (a); (a) Orator, ad Brutum , cap. 19. se non che questo di Dante ha un non so che di quella maschiezza delle vergini spartane. E quindi, stabilito il principio della convenevolezza degli stili, il Decamerone del Boccaccio, di cui non potrebbe immaginarsi la più compiuta prosa ove si abbiano a raccontare facezie di gentili brigate, malizie, raggiri ed avventure di amanti, non sarebbe stato con danno della vera eloquenza tenuto in più d'un secolo come il canone universale dello scrivere italiano. Alcuno però potrebbe argomentarsi che male impiegata sia stata l'opera che noi abbiamo posta intorno al Convito, dachè essendo giunta ne' nostri tempi la Filosofia a cotanto splendore, quella di cui Dante fa uso ha quasi perduta ogni forza. Al che si risponde che colla pubblicazione di questo libro noi non intendiamo di fornire nuovi lumi alle scienze, ch'ella sarebbe ridicola presunzione. Bensì , lasciato in disparte il bene che può venirne agli studii dell' eloquenza, come già si è accennato, noi crediamo che non sia al tutto inutile per la storia dell'umano intelletto il conoscere come nel primo albore della resuscitata sapienza un uomo, che nella poesia parve inspirato dal Cielo, andava brancolando in coteste |