perduto di vista il nostro autore, procurandoci i riscontri di quanti Codici venivano a nostra notizia, e studiando di renderci sempre più familiare la sua maniera di pensare e di esprimere i proprii pensieri, onde camminar più sicuri nella scoperta degli errori e nella correzione di essi. Chè ne parve sconoscenza il lasciare nel misero stato in che si giaceva quest' altissima e sapientissima prosa, in mentre che da taluni si va dissotterrando dalla polvere delle biblioteche, o con eruditi lavori illustrando tali scritture, cui sarebbe pietà non togliere dall'obblio in cui dormono da secoli. La qual cosa essi fanno col pretesto di fornire esempii a coloro che, sulle tracce di qualche moderno eccellentissimo scrittore, studiano di ripulire l'italiana prosa dal liscio straniero, e di darle carattere nazionale col ritrarre la favella verso gl'intemerati suoi principii. Ma se i nostri maggiori com'ebbero sempre in somma venerazione i versi di Dante, così avessero tenuto l'occhio eziandio alle sue prose un po' più di quello che sembrano aver fatto, essi ne avrebbero ricavato due notabili vantaggi. Il primo, che Dante avrebbe loro insegnato col fatto potersi dare anche in Italiano uno stile che si colora della gravità de' sapienti, col quale si debbono trattare gli alti subietti, lasciando alle novelle ed a quelle scritture che sono dell' indole delle novelle, la lingua di qualunque volgo, per quanto essa abbondi di frizzi ed abbia una certa sua efficacia. Il secondo, che si dee imitare negli scrittori latini il dire regolato dalla Gramatica, l'altezza de' sentimenti, ed ogni bellezza dell' eloquenza; ma che degenera in vizio l'invilupparsi, per solo fine di conseguir l'armonia, in que' lunghi avvolgimenti de' loro periodi, poichè si cade nell'oscurità, non potendosi nel nostro idioma, come nel loro, ravvisare così a prima giunta le corrispondenz della sintassi quando i pensieri si dilungane troppo dall'ordine naturale. Del qual vizio benchè non vada del tutto esente lo stile del Convito, esso non ne forma però il carattere generale. Perocchè ordinariamente il dire vi è conciso e vibrato, con forte ma semplice elocuzione; quale Tullio afferma essere il discorso de' Filosofi, cioè non iroso, nè malevolo, nè atroce, nè sorprendente, nè astuto, ma casto, verecondo, quasi siccome vergine incorrotto (a); (a) Orator, ad Brutum, cap. 19. se non che questo di Dante ha un non so che di quella maschiezza delle vergini spartane. E quindi, stabilito il principio della convenevolezza degli stili, il Decamerone del Boccaccio, di cui non potrebbe immaginarsi la più compiuta prosa ove si abbiano a raccontare facezie di gentili brigate, malizie, raggiri ed avventure di amanti, non sarebbe stato con danno della vera eloquenza tenuto in più d'un secolo come il canone universale dello scrivere italiano. Alcuno però potrebbe argomentarsi che male impiegata sia stata l'opera che noi abbiamo posta intorno al Convito, dachè essendo giunta ne' nostri tempi la Filosofia a cotanto splendore, quella di cui Dante fa uso ha quasi perduta ogni forza. Al che si risponde che colla pubblicazione di questo libro noi non intendiamo di fornire nuovi lumi alle scienze, ch'ella sarebbe ridicola presunzione. Bensì, lasciato in disparte il bene che può venirne agli studii dell' eloquenza, come già si è accennato, noi crediamo che non sia al tutto inutile per la storia dell' umano intelletto il conoscere come nel primo albore della resuscitata sapienza un uomo, che nella poesia parve inspirato dal Cielo, andava brancolando in coteste XIV cose della Filosofia, della quale nondimeno balenavano molti bei raggi. Serve inoltre qu st'opera mirabilmente alla illustrazione di mol parti della Commedia, e svela da quale spirit Dante fosse guidato nella creazione de' su pensieri. Dachè, quantunque le sue opere no abbiano tra loro un' espressa dipendenza, tutte però havvi certa conformità d'invenzio e di spiriti, in tutte il medesimo amore al allegorie e la copia della dottrina, spesso sup riore alla condizione de' tempi, facies non omnibus una, Nec diversa tamen, qualem decet esse sororu che più volte nell' una si trova il comento la spiegazione dell' altra. Onde poichè t opere si debbono pur ristampare (e niuno contende), sarà sempre lodevole il far ch'esse vengano alla luce di guisa, che n paiano totalmente indegne del gran nome portano in fronte. E sarebbe poi follia il gliere l'onore della stampa a tante produzi dell' umano ingegno, solamente perchè i p gressi di questo hanno reso di minore imp tanza il loro contenuto. In tal modo si andr bero perdendo infinite memorie dell' ant sapienza, e si verrebbe a certe consegue che sentirebbero di molta barbarie. Così Dante si fosse sempre ed unicamente abbandonato al proprio sentimento, che gli apriva un vasto e chiarissimo orizzonte di osservazioni dedotte dal proprio cuore intorno alla morale universale, come vedrassi nel quarto Trattato. Egli non si sarebbe allora volontariamente messo a giacere sul letto di Procuste delle sottigliezze scolastiche, assumendo qua e là un'aria pedantesca ed imbarazzata mentre il suo ingegno vorrebbe spiccarsi a libero volo. Nè, in mezzo a molte sublimi bellezze di pensiero e ad alcuni passi veramente eloquenti che adornano questo libro e rivelano ad ogni tratto l'alto ingegno di Dante, verrebbe a farci pietà nel secondo Trattato il lungo paragone de' sette Cieli colle sette scienze del Trivio e del Quadrivio, come allora si chiamavano la Gramatica, la Retorica, la Dialettica, l'Aritmetica, la Musica, la Geometria e l'Astro nomia. Ma per quanto l'uomo sia fornito d'ingegno meraviglioso è proprietà della sua natura, che poco o molto ei debba contrarre delle abitudini de' tempi in cui vive. Il che è da attribuirsi alle impressioni della prima educazioalla necessità degli altrui consigli che ci |