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CAP. V.

DELL'INGEGNO CRITICO, APPO I LATINI, IN GIURISPRUDENZA

E IN FILOSOFIA.

L'elemento critico è fatto per governare lo spirito umano. La è cosa, che specialmente si prova, quanto a filosofia e lettere, per mezzo della Grecia, quanto a Giurisprudenza per mezzo de' Latini, e quanto a religione vedremo, che la prova si ha nell'Ebraismo e nel Cristianesimo. Passino pure i secoli e si disfacciano le istituzioni, non si potrà mai disconoscere l'importanza di quell'elemento.

Riguardo a Roma, la politica costituzione si trovò fin da principio in tale stato, che era mestieri si scotesse l'ingno critico e si sviluppasse nelle bisogne del Diritto. Roma non voleva solo vincere, ma eziandio rassodare e consolidare i suoi politici ordinamenti (1). Il concetto dello Stato forniva colà la Critica di tutto, non esclusa la religione stessa. Or quel concetto, per istabilirsi, aveva mestieri di svilupparsi nel Diritto e farsi critica di quanto gli era contrario. E qui mi piace trascriver parole del Prof. Rog. Ihering, come le trovo tradotte in italiano, non avendo fra mani il testo alemanno: «Si è osservato, che i popoli sôrti dalla mescolanza di diversi elementi nazionali si segnalano per vigoria di spiriti; e questa osservazione è pienamente avverata, dal popolo romano, e dall'inglese, che, fra i moderni, più di qualunque altro, gli rassomiglia. La cagione di ciò risiede forse in questo, che il nascer di sì fatti popoli fu oltre modo doglioso, mentre loro si convenne di acquistare la nazionalità (bene che per altri po

(1) Tito Livio ha notato già, che la moltitudine accorsa per formar Roma" coalescere in populi unius corpus nulla re, praeterquam legibus, poterat. „ E qui bisogna riconoscere, che la Legge stessa, comunque la si riguardi, non può, nè saprebbe esercitare sola nell'azione publica una forza sua, ma si sommette a quella del giudizio operativo e pratico, contribuendo al movimento sociale.

poli è frutto naturale di una lunga esistenza) con isforzi grandissimi, essendo loro occorso, per ottenerla, di superare le antitesi del costume, del diritto e simili, indotte dalla diversità delle razze? Gli sforzi, per cui un popolo comincia ad esistere, hanno per avventura un'influenza durevole sul suo carattere ? La causa è altra; ed è: che il processo, per cui diverse nazionalità si fondono in una, non solo le stimola e le dissolve, ma ben anche non conserva di esse che la parte solida e sostanziale. Il fuoco consuma e fa svaporare le materie combustibili ed eteree, ma non intacca il metallo. Similmente gli attributi delle diverse nazionalità, che non possono reggere a sì fatto processo, rimangono annichilati; e le proprietà invece, che perseverano nella nazione novella, hanno fatto prova d'invincibile resistenza. Laonde il carattere di un popolo, formatosi di questi elementi, s'avvantaggia in forza, in serietà, in vigore, in fermezza, in prudenza, di quanto perde in semplicità, candore, estro, e in tutti quegli altri attributi, che importano certa tranquilla contemplazione della vita ed una perenne felicità esteriore. Tale carattere non è fatto per amicarsi il mondo, ma per signoreggiarlo. Codesti popoli sono obligati a pigliare dagli altri le produzioni della fantasia, dando loro in cambio le istituzioni o le leggi. Essi invece, pel loro vedere spassionato, per la natura loro incapace di precipitazione e di volubilità, sono precipuamente chiamati a coltivare il diritto. Di ciò fanno documento al presente l'Inghilterra con le sue politiche instituzioni, in antico Roma col suo diritto privato. Quindi la storia delle origini del popolo romana è di grandissimo rilievo per il diritto. La prima scena della storia del diritto comincia dal contrapponimento, e quindi dalla Critica delle istituzioni e delle idee giuridiche, che recarono seco le tre razze, latina, sabina, ed etrusca, e și compie per la scelta che d'infra quelle eseguisce il popolo romano sorto novellamente > (1).

(1) Rod. Jhering, Lo spirito del Diritto Romano, ecc., trad. da Luigi Bellavite, ecc.; ved. Libro 1, cap. XIV.

E per fermo l'ingegno critico de' Latini si manifestò specialmente e in modo assai notevole nella Giurisprudenza. La quale per essi includeva tutto il sapere: divinarum atque humanarum rerum notitia: iusti atque iniusti scientia (1). E non scienza solo, ma arte eziandio: ars boni et aequi.

È stata già fatta una singulare osservazione: ed è, che la Storia del Diritto romano redatta da giureconsulti riesce noiosa anzi che no. E noi vi aggiungiamo, che, generalmente parlando, ciò accade nella storia di qualsiasi scienza, massimamente se redatta da Professori di quella scienza medesima. La ragione ne è, che si trascura d'indagare, comprendere, ed esporre l'azione, sì mirabile, sì degna di storia, dell'ingegno critico. Eppure è quel che penetra, giudica, sviluppa principii e concetti, e modo fornisce e mezzo da raggiunger la scienza. Oh quanto dobbiamo sempre imparare da quelle parole: « ... Servitus imponi privata lege non potest! Or col ricercare lo sviluppamento dei principi giuridici, avvenuto mercè il lavoro di quell'ingegno, si rende importante lo studio del Diritto romano; a chi lo negasse, si potrebbe assai ben rispondere con Cuiacio: Digna imperito vox. E a noi sembra, che, a render meglio proficue per tutti le indagini della Scuola Storica, bisognerebbe aggiugnervi quella dell'azione, che si scorge avere adoperato l'ingegno critico ne' dettati de' giureconsulti romani. Nè basta il dire con Savigny, « la creazione del diritto proceder dallo spirito nazionale, che circola in tutte le membra della nazione»: imperocchè fa mestieri il ricercare, come l'ingegno critico v'abbia intanto lavorato. E nell'interpretazione (che è, per adoperare le

(1) "Philosophi autem Romanorum ipsi erant jurisconsulti, ut qui in una legum peritia omnem sapientiam posuerunt Quare eadem definitione Romani jurisprudentiam, qua Græci sapientiam dicinarum, humanarumque rerum notitiam definiebant. VICO, De' nostri temp. Stud. Rat. vol. II, pag. 26, ediz. di Gius. Ferrari. Il poter giudicare ciò che ci governa e l'esaminare ciò che ci s'impone come dovere, costituisce l'altezza dell'uomo, la sua libertà e dignità.

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parole stesse di quel dotto Giureconsulto, la ricostruzione del pensiero contenuto nella legge) non basta distinguere l'elemento grammaticale, il logico, lo storico, e il sistematico, ma fa d'uopo il saper discernere il critico, che pur opera in ciascuno de' summenzionati. Altra è la ricerca critica del come abbia avuto origine un testo e come sia giunto a noi, ed altra è quella intorno all'elemento critico, che agiva nella mente di chi primo lo dava. Nello studio, massime del Diritto Romano, non dobbiamo restar contenti d'aver solo la verità, le massime giuridiche, la volontà del legislatore, ma è pur necessario d'apprendere l'andamento critico del pensiero legislativo, poichè così criticamente si sviluppa l'ingegno nostro, e prende forza.

Oltre la causa acutamente indicata da Jhering, è a notare, che i bisogni della politica, l'esercizio della libertà e l'esperienza di giorno in giorno acquistata negli affari del mondo, svegliarono, resero acuta e mantennero assai desta appo i Romani, in ordine al Diritto, quella facoltà critica, cui per tal riguardo non pervennero i Greci. Per virtù d'ingegno critico seppero quei Giureconsulti, chiamati da Cicerone oracula civitatis, seppero acconciamente contemperare le norme dello stretto diritto (create dall'aristocrazia in tempi a lei favorevoli) coi bisogni della progrediente società civile. Quindi è accaduto, che la storia della Giurisprudenza latina non in altro veramente consiste, che nella mirabile e vicendevole azion critica, esercitata dallo stretto diritto e dall'equità (1). È stato già detto da un valente Giureconsulto, che equità e diritto civile sono < deux mots critiques, qui contiennent tout le secret de l'histoire du droit romain ». Il diritto ha ceduto alla insistente virtù dell'equità, ma (contrariamente a quel che avrebbero fatto deboli e volgari legislatori) l'ha sottoposta severamente alle sue forme e alle sue giuridiche

(1) Ciò che il Vico dice nelle seguenti parole è importante, ma non è che una parte di quella memorabile lotta.“ Utrique pro suo instituto, Iurisconsulti jus, summi oratores aequum defendebant: nam quia iuris summa sanctitas erat, aequum in iudiciis, nisi summa eloquentia obtineri non poterat. (De nostri temp. Stud. Rat.)

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esigenze; l'equità dall'altro lato per porsi in grado di lottare e inframettersi nelle bisogne legislative s'è provvidamente servita delle forme e dell'energia organica del diritto. Nessuno de' due principi fu schiacciato, perchè l'ingegno critico de' Giureconsulti moderava l'uno per mezzo dell'altro. Se il primo (il diritto) avesse solo regnato, sarebbe mancato il progresso; e se il secondo (l'equità) fosse per avventura giunto a restar solo, non ci sarebbe stato carattere criticamente scientifico pel Diritto Romano. Il che a noi sembra risultar chiaramente nel leggere ciò che rimane de' lavori fatti da que' Giureconsulti. La necessità di dover contemperare diritto ed equità aguzzava il loro ingegno, il quale aveva il non picciol benefizio di svolger le sue forze nel mezzo di alcuni elementi giuridici non messi in dubio e di cominciare il suo lavoro da punti fondamentali non travolti in discussione scettica. Il che è importante a ritenersi, poichè si deve a ciò, che la virtù del principio critico, nel Diritto Romano non è, per così dire, vagabonda ed incerta, ma organica; sicchè non un cumulo di leggi si scorge, ma possono esaminarsi le membra d'un tutto bene assestato.

E ne' Giureconsulti romani si osserva altresì (e specialmente) la virtù artistica dell'ingegno critico, di cui parlava Cicerone nel libro De claris Oratoribus, appellandola però una Dialettica. « Sic enim, inquam, Brute, existimo, juris civilis magnum usum et apud Scaevolam et apud multos fuisse; artem, in hoc uno; quod numquan effecisset ipsius juris scientia, nisi eam praeterea didicisset artem, quae doceret rem universam tribuere in partes, latentem explicare definiendo, obscuram explanare interpretando; ambigua primum videre, deinde distinguere; postremo habere regulam, qua vera et falsa iudicarentur, et quae quibus positis essent, quaeque non essent consequentia... (1)». E a siffatta virtù artistica dell'ingegno critico è da attri

(1) Giova si noti, che solo questo modo d'appellare Dialettica ciò che sostanzialmente era potenza di penetrare nella forza del Diritto per esprimerlo ed applicarlo, mostra che Cicerone era e vo

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