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secondarie, mentre che quelle sono rivolte a parti assai importanti. Ma su ciò non voglio intrattenermi: era mio debito avvertire il lettore di quel che al mio lavoro su la Critica è accaduto prima della presente publicazione. Non ho punto intenzione di muovere lagnanze contro quella Commissione. Ella ha fatto ciò che ha creduto giusto e convenevole, quanto a sè, non ne dubito.

In questa seconda edizione, ho fatto non solo correzioni, ma anche delle aggiunte, secondo che ho creduto. A vece di stampare un qualche volume a parte su cose, intorno a cui da parecchi anni stavo alla men peggio lavorando, ho pensato sottoporre quelle fin d'ora al giudizio del benigno lettore. Avverto intanto, che l'altra edizione del primo volume si faceva nel 1866 e del secondo nel 1868.

INTRODUZIONE.

Ai dì nostri, in tanta attività, fra sì facili mutamenti di uomini e di cose, massime nello stato, in cui le lettere, le scienze e gli animi s'appalesano in Europa, egli è di gran momento il ricercare la natura e gli uffizi della Critica. Ma siffatta ricerca è senza dubio un'ardua impresa, chè ad eseguirla sarebbe necessario avere ampio e puntuale giudizio, lunghi e svariati esercizi in tutto quel che riguarda il pensiero e la vita, meditate, profonde e spregiudicate cognizioni.

Noi ci siamo studiati d'acquistare un'esatta idea del nostro còmpito. E ci è sembrato, che, per adempierlo, è mestieri anzitutto il riandare la storia della Critica, indi considerarla in quanto è e può essere Scienza ed Arte.

E per vero il richiamare a memoria e ripensare quel che da altri si è pensato ed operato intorno al subietto dei propri studì, è ritenuto da un coscienzioso scrittore come dovere inviolabile. Ei fa atto di giustizia e di modestia insieme, piegandosi anzitutto dinanti alla sapienza di coloro, che l'hanno preceduto nelle stesse investigazioni. E la massima del Gibbon: Dobbiamo leggere per aiutarci a pensare, si deve specialmente applicare allo studio intorno alla storia di quelle discipline, cui vogliamo volgere la mente, poichè, senza di ciò, quelli, che pur non mancano d'ingegno, riescono leggeri. L'uomo, considerato in modo individuale, è

di sì breve esistenza e sì scarso di mezzi, che a progredire convenevolmente deve far suoi gli studi e le esperienze altrui. E può dirsi, che anche, de' grandi pensieri, quando non si studia la storia del lor sorgere e svilupparsi, si menoma l'utilità e la forza.

Secondamente è importante e giusto l'esaminare la Critica in quanto è dottrina razionale. In mezzo alle onde mutevoli del tempo, è necessità il giugnere ad alcun che di fermo, a ciò, vale a dire, che è scientifico. Imperocchè la razionalità stessa è assai misera e fuggevole, se non si dispiega e si fonda come scienza. Epperò è cosa essenziale di studiare la Critica per questo aspetto, affin di sapere da quali principî sia governata e con qual metodo si sviluppi e pigli consistenza.

Ma, d'altra parte, noi non crediamo alle soavità del pensiero, che si rinchiude in sè e si contempla, inabissandosi nella sua propria sostanza. Una scienza, la quale non conduce alla realtà, all'azione, all'arte, sarebbe, solo per questo difetto, vana e sofistica; nè di scientifico avrebbe che l'apparenza. Quindi alla Critica come scienza è convenevole segua lo studio della Critica come Arte. V'ha chi pensa esser la Critica una cosa e chi un'altra, come deve avvenire ogni volta, che non si cerchi intimamente la sua natura. In generale però si ammetterà, per definizione dataci ormai dalla storia, che la Critica è almeno chiamata a giudicare quel che si è fatto da dotti, da epoche, da popoli nel passato per preparare il presente di rincontro all'avvenire: il che non è poco, se vi si badi. Ciò è progresso con coscienza ragionata e discussa del passato. Non solo vi ci prepariamo, leggendo le opere altrui, sebbene i libri giovino tanto a maturare e menti e cose. Ei sta bene, che inostri maestri non sentano il bisogno di tale lavoro solo leggendo e studiando, ma anche discutendo nelle Università intorno a quanto vale la Critica come erudizione e come dottrina e Scienza. Nella prima parte annoierebbe per se stessa e giovani e vecchi: presto diventa un travaglio quanto si è potuto dire precedentemente. La serie delle indiscusse ripetizioni non rende istruiti dei giovani, e mantiene poi

per li vecchi la voglia e la possibilità di esercitare, a modo loro, tirannide ormai antica. Ci istruiscano i dotti di quanto essi stessi hanno imparato dal passato, discutendo sul presente e sentendo l'obbligo di esaminare quanto dal progresso si pone d'intorno. La Scienza non consiste solo nell'imparare, ma altresì e massime nel bisogno d'imparare. La coscienza di questo bisogno è Critica, che non si deve mai dimenticare e che anzi ci deve giovare per guida e per insegnamento verso il sapere.

Perciò noi divideremo questo nostro lavoro in tre libri: I. STORIA DELLA CRITICA;

II. DELLA CRITICA COME SCIENZA;

III. DELLA CRITICA COME ARTE.

Misero è lo stato della Critica in Italia, niuno saprebbe negarlo; e pur sembra talvolta, che non ci accorgiamo gran fatto del come su tal punto siamo indietro ad altre nazioni. Pronti a censurarci vicendevolmente, non badando che solo il publicar un qualche scritto in Italia, e in tempi gloriosamente rivolti ad altro, è non picciol merito per sè, e agendo come se ancora fossimo ristretti in campo angusto da non poterci muovere senza pestar gli altri, non mostriamo poi gran voglia di studiare la Critica. E dopo una generazione, che per altri rispetti non è stata certo nella ignavia, possiamo anche oggidì ripetere le parole, che, nel 1839, a Milano, si premettevano all'edizione di lavori appartenenti ad alcuni nostri scrittori critici e filologi (1). « Critici molti... ebbe l'Italia, ma ben pochi che meritas< sero il suffragio della posterità e l'onor massimo d'essere < annoverati fra quelli scrittori, di cui può gloriarsi la « nazione. I più fra essi, per dirne una parola in passando, « non erano abbastanza provveduti d'idee generali e filo<< sofiche: quindi non abbastanza franchi e risoluti nella << scelta del bello, e spesse volte più encomiatori impru<< denti che critici pacati, e, se a quando a quando censori, < parziali censori pel consueto, astiosi, di corta veduta e

(1) Nella Biblioteca Enciclopedica Italiana.

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‹ di più corto giudizio. Lo studio dell'uomo e di tutte le << sue relazioni col passato e col futuro non era ancora, a < quel che sembra, uno studio favorito per essi; e la stret< tezza di quei vincoli che congiungono sempre le lettere << alle opinioni religiose, morali e politiche, era tuttavia < un mistero. Quindi essi consideravano la letteratura piut<tosto come un nobile trastullo delle nazioni, che come un << vero loro bisogno, come l'espressione del loro stato civile; <e i libri de' poeti e de' prosatori erano per essi semplici ◄ azioni individuali, non l'indizio dell'indole de' secoli, un < lusso lodevole de' popoli, non una perpetua necessità << dell'uomo sociale. Siffatti scrittori, partendo sempre dai << principi derivati da una Critica o scolastica o munici< pale, o tutto al più regionale, non ebbero facoltà d'inve<< stigare negli accidenti intellettivi e morali, che mode< rano l'umana sensibilità, le cause intrinseche di tutte le << modificazioni del gusto, e andarono rintracciando il bello < quasi sempre nelle forme esteriori, nelle spiegazioni dei << concetti e della dizione, fermandosi, per così dire, sul << limitare d'un edificio a dar giudizio intero di tutto il << complesso della sua bontà e bellezza. Per estremo poi di « sciagura, molti fra essi erano ingegni mediocri, senza << fuoco veruno d'entusiasmo, tenaci della loro mediocrità, « stizzosi contro chiunque arrischiava un passo per uscirne << e smaniosi d'esercitare una dittatura assoluta d'opinioni. Che poteva mai diventare la Critica fra le mani di < simili scrittori?... » Queste parole, severe, ma giuste, dovrebbero svegliarci, io credo, dal sonno in cui giaciamo rispetto a Critica, considerata nella sua universalità. In Italia non può esservi ormai progresso nelle intelligenze, che per mezzo di quella disciplina, la quale è la luce, il sostegno e l'arma a un tempo della libertà. E solo per essa, l'Italia potrà adempire al suo còmpito nella Civiltà Europea. La Critica esteriore (si sa) sembra più agevole, è più antica, trova alimento nelle scuole. Ma, restando sola, non ha fondamento, punto verace, o giustamente esteso. La ragione non si conferma che poggiandosi su di una Critica interiore e tocchi lo spirito nei suoi pensieri ed

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