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tica però da essi esercitata su l'umanità non andò perduta; e se di poi la Critica ha preso tanta efficacia da signoreggiare le menti, noi ne dobbiamo non picciol merito a que' Filosofi.

*CAP. IV.

DELLA CRITICA APPO I GRECI E DELL'INGEGNO CRITICO CONTEMPORANEO AD ESSA.

I bei ricordi della letteratura e della filosofia in Grecia, l'onore che gli studi ricevevano presso i Tolomei e gli Attali, l'erezione delle biblioteche, il commercio letterario fra i dotti di quel tempo, apersero, due secoli circa avanti G. C., un periodo d'erudizione, che diè vita alla Critica, la quale si mescolava con la Grammatica. È però da notare, che da taluni i Grammatici non erano chiamati Critici, se non quando all'erudizione aggiugnevano lo studio per la correzione de' testi (drópboo) e il giudizio su le cose scritte dagli autori.

E qui giova l'avvertire, che l'elemento critico dopo aver lavorato in mezzo alla civiltà greca, s'infiacchì d'egual modo, nè seppe giugnere a una dottrina, che il riducesse a metodo. E quando poi surse la Critica, secondo che l'appellavano, e fu da tutti riconosciuta come tale, ella non potette, nè cercò convertire in sè quanto d'energia aveva già mostrato l'ingegno critico, anzi non si curò punto di sapere, se pur fosse mai esistito. E quest'oblio, che in sostanza era un disaccordo segreto e fatale tra le due attitudini, condusse a grado a grado la Critica in sì misero stato, appo gli antichi, da finire in mera pedanteria. Ricordiamo inoltre, che l'ingegno critico erasi esercitato nella Grecia in modo, che la mente giudicatrice aveva considerato il Greco, come tale più che come uomo. Quindi a buon diritto, caduta l'idea nazionale, si debilitò altresì l'elemento critico. E a ciò contribuì non poco l'abbassamento del pensiero democratico, il quale era a un tempo l'effetto

e il sostegno dell'ingegno critico, poichè pregio di questo è, che i suoi stessi prodotti giovino a serbarlo in vita e talvolta anche ad estenderlo. Si ritenga frattanto per cosa certa, che fu segno evidente di fiacchezza nella civiltà occidentale il non essere potuto l'ingegno critico pervenire a coscienza di sè, e che tra esso e la Critica non fosse indagata, nè riconosciuta alcuna connessione razionale, o almeno storica. In ogni lingua, per poco civile, v'è una parte, un contenuto, un risultamento più o meno critico: lo studio delle etimologie c'insegna molto a tal riguardo. E per fermo ogni Dizionario dovrebbe servire di mezzo per svolgere siffatta Critica e questa essergli grato.

La Critica surse a lampi da prima intorno ai poemi omerici; onde Vitruvio diceva Homerus poetarum parens et philologiae dux (1). E si chiamarono Filologi ed anche Critici quei che intendevano a studiare ed interpretare Omero. In questo senso fu dai Critici chiamato filologo l'antico Pisistrato; anzi il Tzetze lo appella è piλohoy Tatos, come λογικοὶ ἄνδρες καὶ κριταὶ ποιημάτων ei chiama quei che lo assisterono nell'ordinamento dei canti omerici. Quindi i Critici famosi eran di sovente onorati del titolo di omerici; e si rivolsero a raccogliere, esaminare, confrontare ed emendare i manoscritti, che potevano avere de' poemi di Omero (2). Si manifestava così, anche in mezzo a quel

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(1) In pari modo la Grammatica sanscrita ebbe origine dallo studio dei Vedi, la più antica poesia de' Brahmani. Dice Max Müller: "In sanscrito la grammatica è detta vyâkarana, e significa analisi, o fare in pezzi... Noi possediamo anche adesso i primi saggi della scienza grammaticale dei Brahmani... Ma ei soggiunge, che un tale studio grammaticale non andò oltre un'analisi puramente empirica del linguaggio, che nulla insegna sulla natura di questo e sul suo naturale svolgimento (Max Müller, Sulla scienza del linguaggio, Lettura IV). E noi aggiungeremo, che in alcun modo non è da confondersi con lo studio de' Grammatici Greci, poichè appo questi non del tutto mancava la Critica propriamente detta.

(2) “ Le loro edizioni di Omero non erano unicamente éxdóoεis, parola greca resa in latino per editio, publicazione di libri, ma erano Stopbooεs, vale a dire edizioni critiche., Max. Müller, Sopra la scienza del linguaggio, Lettura III.

dicader delle dottrine, una legge riguardante la natura della Critica, ch'ella, vale a dire, è scossa e messa in moto da ciò che è sommamente in onore; e intorno a questo assai volentieri si esercita. Si distese poi la Critica alle poesie in generale; e Luciano adoperava la parola Critico per indicare specialmente chi giudicasse di poeti: xpıtıxóv Tε πоinμátov xai àoμárov (De saltat.c.74). Dionisio il Trace, discepolo di Crate, divideva in sei parti la Grammatica: e la sesta, la più bella fra tutte, ne era il giudizio sui poemi (ἕκτον, κρίσις ποιμάτων, ὃ δὴ καλλιστόν ἐστι πάντων ἐν τῇ Tέxvn) (1). E ciò mostra la tendenza irrefrenabile della Critica a slargare quanto più possa il suo uffizio nella cerchia, ove è posta.

Non mancano di tali, che vogliono trovare l'origine della Critica anteriormente al periodo de' grammatici, ma è chiaro come essi la confondano con l'ingegno critico; le quali due cose abbiamo già detto doversi accuratamente distinguere. Egli è vero, che i Sofisti, facendo spreco di arguzie e di dottrine si davano ad esaminare e spiegare poemi; e sorgeva, in siffatto modo, alcun che di simile a grammatica e a rettorica. Ma di Critica non vi era concetto alcuno determinato, benchè fin d'allora cominciasse quella preparazione, che poi doveva condurvi le menti, nel decadere della civiltà greca. Di Critica, come disciplina distinta dalle altre, non si fa cenno presso Platone, comunque, secondo il Laerzio, fu primo ad osservare la virtu della Grammatica (πρῶτος εθεώρισε τῆς γραμματικῆς Tйv Súvaμ); ma la grammatica, di cui parlava Platone, non consisteva che in regole concernenti il leggere e scrivere (ved. nel Filebo, pag. 403, v. 25 a 35, ediz. Didot). Ei parlò di alcune parti della Grammatica; e citava versi d'Omero e vi fissava la mente, ma non aveva idea, che ciò si fosse potuto fare indipendentemente dal subietto, nella cui trattazione venivano inframmessi. Di Critica, che stia da sè, conscia di avere un ufficio sol proprio d'essa, non è

(1) Ved. nota di G. A. Fabricio in Sex. Empir. Adversus Matem. Lib. I, nota 4 al Cap. III.

cenno appo Aristotile, sebbene Dion Crisostomo lo chiami inventore della Critica del pari che della Grammatica (1). Si legge, è vero, in Platone, e parecchie volte, la parola ǹ XρITIXй (SC. TÉxvn), ma non con altro significato, che con quello d'arte di giudicare considerata in generale (2). E anche dopo che la Critica è nota, non son mancati di coloro, che la identificano con la Logica. Aristotile parla, non vi ha dubio, di poeti, specialmente d'Omero e di tragici ; e di leggieri si ritrae dalla Poetica, ch' egli aveva comparato, esaminato, giudicato i loro lavori. Ma ciononpertanto mal potrebbesi assentire a B. Saint-Hilaire, che per mezzo della Poetica (d'Aristotile) prendeva origine la Critica letteraria. Se non si ritiene, che non vi è Critica, quando non se ne abbia coscienza come di una disciplina distinta dalle altre oh! si troverà per fermo Critica dapertutto e per lo meno si confonderà con l'ingegno critico: del che abbiam toccato nel capo primo. Che la Critica trovi nelle opere d'Aristotile alcun che da avvantaggiarsi, non è a dubitare, ma ciò potrà conseguirsi, sebbene in minor pro-porzione, anche per mezzo degli scrittori precedenti. Certo è però, che, presso lo Stagirita, la facoltà critica non seppe contradistinguere sè stessa, nè cercava viver da sè. E non avrebbe potuto. La Critica è un metodo, che, indipendentemente dall'applicazione a dati oggetti, ha coscienza dell'esser suo. Or la teoria de' metodi non formò lo studio speciale dei filosofi greci, nemmeno di Aristotile; e per conseguenza non potevano giungere al concetto della Critica.

(1) Λόγος νγ, περὶ ὁμήρου. In quel passo Dione pretende, che si chiamavano Critici quei che poscia furono detti Grammatici. Lo Scioppio, nella sua opericciuola De arte Critica, lo cita per dire inventore della Critica lo Stagirita. Anche il Pope, nel suo Poemetto On criticism, sostenne lo stesso, dicendo, che, in fatto di critica,

The mighty Stagirite first left the shore.

Il vero è, che Aristotile allargò e determinò alcune distinzioni grammaticali, sicchè rese possibile la Grammatica della lingua Greca.

(2) Ved. fra gli altri passi, nel Polit., ediz. Didot. 260, 6.

Non sempre l'ingegno umano s'accorge dei motivi, che lo spingono a certe, piuttosto che ad altre discipline; ma in tal procedere v'ha pure una virtù provvidenziale, che lo signoreggia e lo regola. Or il Genio greco era giunto all'apice di quel che seppe operare per la gloria del mondo antico. E tale còmpito era stato sì importante, che, in sul finire, mentre si presentiva come alcun soffio d'epoca nuova, fu provvidenzialmente convenevole, che lo spirito riandasse le cose già fatte, ne serbasse memoria, e con insistenza le rendesse capaci d'agire a benefizio d'una futura civiltà. Ciò giovava a stabilire di quelle tradizioni, a fissare di quelle regole, a fermare certi rapporti, che servono a congiungere epoche, le quali altrimenti sarebbero assai disparate fra loro, a modificare le nuove tendenze, affin che non restassero solitarie, a cooperarsi per una civiltà più comprensiva. A tal fine sorgeva la Critica, destinata a conservare tradizioni letterarie, a tenere in vita degli studî, che, in caso diverso, sarebbero periti, a dare esercizio d'attività per ingegni, che, non avendo omai più forza da creare, sarebbero irremissibilmente caduti nella barbarie (1).

Gli studi meramente grammaticali contenevano poi in sè stessi della virtù critica, poichè si trattava di cominciare a dare ordine e assestare la scienza del linguaggio, ne' limiti, s'intende, dell'erudizione classica. « Gli eruditi d'Alessandria pertanto e della rivale Accademia di Pergamo, furono i primi a studiare criticamente la lingua greca, vale a dire che analizzarono il linguaggio, l'ordinarono sotto generali categorie, distinsero le varie parti del discorso, inventarono nomi tecnici appropriati per le varie funzioni delle parole, osservarono il più o men cor

(1) La parola Critica, come facilmente si comprende, deriva da xpíva (giudico), e gravi autorità pensano provenga questa dall'indiano Kirâmi (spargo, getto), secondo che me ne ha avvertito il dotto mio amico prof. E. Teza. Ora m'importa si noti, che la parola Critica è di formazione affatto greca: e tal quale è passata in tutte le lingue culte, attestando così ovunque l'origine della disciplina, che ha quel nome.

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