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letteratura francese; e francese dovette essere la lingua dell'Accademia di Berlino, che dipendeva dai suoi cenni. « Le roi voulait, diceva Maupertuis, qu'une langue parlée et écrite par lui avec tant d'élégance, fût la langue de son Académie ». E, a sostegno di tal regale volontà, osservava esser quella lingua plutôt la langue de l'Europe entière que la langue des Français » (1). Quindi la filosofia e la letteratura francese tentarono d'invadere l'Alemagna. Ma il modo con cui alcuni arditi e critici Intelletti cercarono di sottrarre la loro nazione da quella dependenza e gloriosamente vi riuscirono, è degno di nota in una storia della Critica; chè non v'ha Critica più importante e capace a moralizzare di quella, che sa dare ad una nazione la coscienza del proprio ingegno critico.

Giov. Gottsched di Konisberga, volendo togliere i suoi connazionali dalla pedanteria, dalla confusione, che regnava nelle lettere, e dalle corruzioni nell'uso stesso della lingua, si diede a lodare in letteratura i Classici Antichi e gli scrittori francesi, che gli avevano seguiti, dichiarandoli modelli unici da seguirsi in letteratura. Due Svizzeri di Canton tedesco, Breitinger e Bodmer, gli si opposero; e così surse in Germania la celebre lotta fra le idee francesi e le tedesche, fra le idee classiche e quelle idee moderne, le quali, dopo qualche tempo, giunsero ad avere il nome di romanticismo. Breitinger e Bodmer si dichiararono per una letteratura nazionale; e, a combattere i modelli greci e francesi, presentarono all'ammirazione e all'imitazione dei loro connazionali la letteratura inglese. A loro fecer plauso e dierono aiuto l'Haller, il Wieland, e specialmente il Klopstock nobilmente sdegnoso della preferenza, che il Sire di Prussia dava alle lettere francesi in disistima delle alemanne. Lessing, Herder, Goethe presero parte a quella lotta, cui l'Alemagna deve lo sviluppamento, che le lettere vi ebbero, facendosi così meglio palese, che nell'epoca moderna non vi può essere, senza Critica, progresso in verun genere di dottrina. Vi si può anche imparare, che, per

(1) Maupertuis, Discours sur les devoirs de l'Académicien,

virtù del sentimento nazionale, la Critica prende forza e dignità: del che ci rallegriamo, poichè il sentimento nazionale non dee servir solo a stabilire regni e fondare indipendenza politica, ma parimenti a svolgere l'energia del pensiero ad ogni modo. È mestieri però il riconoscere, che nel periodo, di cui facciamo menzione, la Critica letteraria non seppe giugnere a saldezza di principî, nè a rigor di metodo, ebbe bisogno di ricorrere a esempi considerati come tali non quali applicazioni di principi e si compose di osservazioni qua e là raccolte. Ma se ne intravedeva la Scienza, e certo era una Critica conscia di sè stessa; se ne trovava qualche principio; si aprivano indagini, che non potevano non condurre all'investigazione del metodo; e le osservazioni stesse avevano impronta di una Critica, che assai meglio si profondava nel subietto, desiderosa di ricercare le ragioni del bello. Chi meglio spiccò in quella Critica fu il Lessing: e grande importanza ebbero per fermo, tra i suoi scritti, la Drammaturgia, e il Laocoonte ossia De'limiti propri alla pittura e alla Poesia (1). Per opporsi all'indirizzo, che alle lettere voleva dare Gottsched, e' vi propose a studio e ad imitazione Shakespeare; e mostrò l'altezza del costui Genio, paragonando i suoi drammi con le tragedie francesi. Egli seppe scovrirvi delle bellezze, cui per lo innanzi nemmeno in Inghilterra si era badato. E notò che l'unità, cui l'inglese aveva avuto di mira, era la pittura nel dramma di un carattere unico. Leggendo le opere di Lessing si vede però, che, in alcune osservazioni, suo vero predecessore era stato Sam. Johnson. E imita fra gli altri un costui pensiero, quando nella Drammaturgia dice, che il teatro di Shakespeare è lo specchio della natura. Herder si diede a propugnare quel concetto critico, che fu poi rafforzato e sviluppato da Goethe: che, cioè, l'ispirazione e la bellezza devono trarsi dalla contemplazione delle cose umane e dalla natura, riproducendo per la forza del

(1) "Il Laocoonte di Lessing, scrive Goethe nelle memorie, ci ritrasse dalla regione di una sterile contemplazione per lanciarci nel subietto libero e fecondo del pensiero „.

genio la vita nella sua molteplice realtà. Il Wieland, ad oppugnare l'imitazione esclusiva degli antichi, scelse l'eclettismo critico, che, efficace a combattere, restava incerta nei suoi propositi, come criticamente accade ad ogni specie d'eclettismo. È però da notarsi, che appo quei Critici non v'era già la tendenza esclusiva e poco ragionatrice di rigettare o ammettere il fatto dagli antichi, come s'era operato un secolo innanzi. La Critica era ormai più avanzata, e, mentre non voleva gli antichi a modello, applicava il pensiero alle loro opere, e vi scovriva delle celate bellezze. Ciononpertanto sin d'allora si rivelò il grave pericolo, in cui si trova la Critica letteraria, quando si fonda non in altro che nell'acuto e studioso riflettere: il pericolo di perdere il senso della nativa e spontanea bellezza, e di cadere in una specie di contemplazione prosaica, che affievolisce, a forza di secche osservazioni, le graziose manifestazioni del genio.

Per lo studio del bello artistico appo gli antichi, fu celebre il Winkelmann, che ebbe un sentimento sì squisito e sì facile ad elevarsi, da cavarne una Critica, non fondata su metodo scientifico, ma rivelatrice di non pochi pregi dell'arte antica. Ei diceva: « I monumenti dell'arte antica, simili a quelle bellezze cui non si spera mai di possedere, possono bensì riscaldare alcun poco l'immaginazione, ma non giungono mai a commuovere il cuore. Altronde gli Storici dell'arte pieni d'una pesante erudizione, o copiandosi l'un l'altro, hanno soffocata la sensibilità; e nulla ispirando all'anima de' loro leggitori, s'aggirano in un laberinto di sottigliezze, e s'affaticano con istudi penosi, dai quali una sola idea giusta e sublime per avventura non raccolgono » (1). Quell'egregio uomo non aveva Critica, che per forza d'amore dell'Arte (2): quindi si spiega come

(1) Storia dell' Arte presso gli Antichi, Lib. III, cap. III.

(2) Egli era veramente commosso in dire, che " provava un interno rammarico considerando l'arte nella sua decadenza, simile a quel cittadino, che scrive piangendo la distruzione della sua patria, di cui è stato testimonio Come è vero, profondamente vero, che

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il sentimento critico agisce nel cuore!

Ei sovente notava delicatamente e graziosamente le bellezze, che scovriva appo gli antichi, e come talvolta cadeva in errori e in considerazioni non vere. La Critica a lui propria trovasi, io credo, ombreggiata in uno de' suoi Pensieri, quando dice: « In generale io sono d'avviso, che il bello nell'arte dipende più da uno squisito sentire e da un gusto illuminato, che da un profondo riflettere ». E sua massima era, che, quanto a' capolavori, meglio che il descriverli era convenevol cosa il proclamare: Andate e vedete.

CAP. XVIII.

DELL'INGEGNO CRITICO E DELLA CRITICA IN FILOSOFIA, DAL RISORGIMENTO FINO AI GIORNI NOSTRI.

Fra gli Storici della Filosofia è questione su ciò, che, dopo la caduta della Scolastica, avessero operato i filosofi italiani e Bacone stesso, e quindi sapere, che cosa in realtà abbia fatto il Cartesio. Ma è chiaro come i primi ebbero il non piccol merito di porre il pensiero nella possibilità critica di esami filosofici, indipendenti e conscii di sè. Imperocchè cosa da poco non fu lo sgombrare gl'impedimenti imposti dall'autorità, il tôrsi alle sottigliezze e alle pedanterie scolastiche, il ridonare alla Ragione un'energia, che negli esercizi filosofici le fosse propria. L'ingegno critico, che raggiugne un metodo, dev'esser grato a quello senza di cui esso non si sarebbe potuto sviluppare, e del quale, come avvenne appo il Cartesio, ha raccolto tutto il vigore (1), benchè abbia saputo meglio dirigerlo ed afforzarlo.

(1) Chi non intende di quale energia critica s'abbia bisogno per raccogliere in filosofia il ben degli altri, e dirigerlo, sì da trarne un metodo, può dire con l'Algarotti, che Cartesio è ricco di colori furtivi, come l'uccello della favola

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Il pregio critico del Cartesio, che grande è a considerarlo rimpetto alla Filosofia antica e alla Scolastica, è sostanzialmente contenuto nel suo Discorso sul Metodo. Atto d'eminente ingegno critico era il cercare avvedutamente un metodo, mentre una tal ricerca era stata negletta per lo passato. Già Jac. Aconzio nella Dissert. De Methodo aveva scritto: «......... nunquam satis mirari potui, qui factum sit, ut cum nulla esset ars vel facultas de qua aeque referret absoluta, ac perspicua extare praecepta, atque Methodo (quod nimirum caeteris omnibus lumen afferre una possit) nemo tamen fere extiterit qui dignam illam putasse videatur in qua non dicam illustranda, sed ne recte quidem cognoscenda ingenii sui vires intenderet ».

Il dubio di Cartesio fu un espediente critico per liberarsi dagli inviluppi e dalle incertezze dell'antecedente filosofia. E l'io penso, dunque io sono, contiene appunto una doppia Critica: quella dell'antico filosofare e quella dello scetticismo. L'io penso abbatteva il sistema dell'Autorità e poneva il me come fonte di certezza. Così, per mezzo di Cartesio, si svelò apertamente una forza critica, benchè affatto inosservata non fosse rimasta per lo innanzi, insita nel concetto dell'umana personalità e per la quale si resiste a qualunque scetticismo (1). Le parole di Cartesio contenevano altresì il passaggio dalla regione speculativa a quella della realtà. Ma Ei non ricercò il perchè di quel passaggio, nè s'accorse, che l'idea dell'essere non veniva fuori, se non perchè trovavasi di già nel concetto del pensiero. Quindi si scorge, che in Lui la facoltà critica sembra meglio aggirarsi in atti di buon senso, che in isforzi razionali, e il suo procedere esser più sentimento individuale che indirizzo razionalmente metodico. L'io penso di Cartesio non serviva di spinta a ricercar leggi; e lo spirito, rinchiuso in sè stesso, sentiva di tal guisa la propria

(1) Osservai tal forza in quelle parole del Pascal: "Eh bien, je suis, mais plus grand que tout cela, car je pense! Le monde peut s'écrouler sur moi et m'écraser; mais s'il m'écrase, je sais moi qu'il m'écrase; l'univers n'en sait rien

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