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cui si manifesta molta libertà di spirito, un ingegno critico, che cercava togliersi dall'impero dei pregiudizì e dell'uso, e una Critica (benchè impetuosa e non abbastanza conscia del suo valore scientifico) della tradizione letteraria seguita in Francia ne' suoi tempi. E ben dice M. Michels (1): « Ni Montesquieu, ni Rousseau, ni Buffon, ni Voltaire, ni La Harpe, ni Marmontel n'avaient assez d'indépendance littéraire pour le mettre au jour. C'est le plus beau travail de Critique publié dans le XVIIIe siècle... ». In effetti il Mercier fu ardito e liberamente si scagliava contro la pedanteria, e combatteva quelli, che tenacemente eran legati alle antiche abitudini nelle cose teatrali.

Les Critiques, egli esclamava, les commentateurs, les journalistes, les dissertateurs, toute cette tourbe scolastique, qui ne parle que par la bouche des morts, et qui leur fait dire les plus impertinentes sottises: tous ces gens, amis des tombeaux et des ténèbres, préconisent tout ce qui s'est fait anciennement, et, livrant sagement la guerre à ce qui se fait et à ce qui se fera, ont la prunelle des hibous qui se contracte douloureusement au moindre rayon: ils vous parlent de ce qu'on sait, il crient au blasphémateur dès qu'on se moque d'eux: ils vous accablent de passages et d'autorités étrangères, sans quoi il ne parleraient pas longtemps. Il faudrait rire de leur engouement superstitieux, si toutefois cela est possible quand on songe qu'ils ont été dans tous les âges le fléau des arts et les véritables assassins du génie » (2). Il Mercier non voleva che l'arte fosse schiava, ma che si lasciasse libero corso al genio. In ciò si può dire, ch' ei pareva contrariato per allora. Però è necessario tener conto, massime in rapporto all'avvenire, di quella Critica, che, isolata o sostenuta da poche voci, forma una opposizione al generale andamento degli spiriti. La Critica non s'appoggia sul numero degli amici, nè chiede quello degli avversari; e, sostenuta dalle ragioni,

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(1) Hist. des Idées Littér. en France au XIX siècle, etc. vol. I, pag. 272.

(2) MERCIER, Essai sur l'art dramatique, 1773, épître dédic.

che offre, sa riguardare innanzi e pregustare il suo trionfo. < La nation entière, sclamava Mercier, sera mon juge, mais dans le temps..... >.

È stato notato come cosa singolare, ché il sec. XVIII in Francia, laddove avversava il secolo antecedente nelle questioni religiose e morali, ne era poi il fedele continuatore quanto a forme nelle cose di gusto, mostrandosi generalmente timido nella Critica letteraria (1). Ma non sarebbe malagevole alla Filosofia della Storia, se di tai cose volesse prendersi cura, spiegarcene il perchè. Gl'intenti critici di coloro, che scrivevano ed esercitavano influenza mercè la parola, erano irresistibilmente rivolti a riforme sociali; e si sentiva bisogno di far presto, con vivacità, in modo da produrre effetti sul popolo. La Critica letteraria avrebbe richiesto maggiore calma, avrebbe elevato dispute non poche fra dotti e diviso uomini, che in comune lavoravano per produrre de' cangiamenti nel pensare comune. La Critica letteraria di quel tempo fu rappresentata dal La Harpe, che senza genio proprio applicava con frasi eleganti le regole antiche. L'ingegno critico, ch' egli aveva, fu scosso e nutrito dagli studi di scuola,' ebbe paura d'ogni slancio e d'ogni atto d'indipendenza, e per un'attitudine affatto singolare sapeva prendere le sembianze del Critico e dell'uomo di Genio, mentre in sostanza non faceva che ripetere principî di altri, o massime di senso comune. Rispetto all'entusiasmo, che talvolta assumeva, ognuno ricorda le parole, che il Voltaire gli applicava : C'est un four qui toujours chauffe et où rien ne cuit. Anche Diderot ne faceva una giusta Critica, dicendo: Encore une fois, cet homme a du nombre, de l'élégance, du style, de la raison, de la sagesse, mais rien ne lui bat sous la mamelle gauche. In tutto, massime nelle cose letterarie, non vi può esser Critica vera, senza che vi si mescoli il cuore. Se questo non batte, quella Critica potrà essere graziosa, elegante, raffinata, ma in sostanza non sarà, che il canto dell'eunuco.

(1) VILLEMAIN, Cours de Littér. Française au XVIII siècle, etc., Lez. 40.

CAP. XVII.

CONTINUAZIONE DEL CAP. ANTECEDENTE.

La Critica, come censura fina ed ingegnosa, con intento verso il progresso dell'umanità, ebbe imperio in Francia, specialmente nel secolo scorso. La Critica per fermo ha avuto e avrà sempre una energia sua propria, che la rende grandemente capace ad agire sul corso delle idee, nella convivenza sociale; e se questa, come è naturale, influisce su quella e talvolta la genera o la scuote con energia, la Critica per contro sa rendere ciò, che ne ha ricevuto, in modo più efficace, più largo, meglio insistente e penetrante. Quindi la Critica del pari, che la Letteratura intera, non è semplicemente un risultamento dell'azione esercitata dalla Società civile: è altresì il prodotto dell'ingegno critico di coloro, che l'adoperano; e nata appena, se ha pensieri generosi, sa governare gli spiriti. Ma il sorgere della Critica rivolta a produrre miglioramenti nelle istituzioni sociali, come avvenne in Francia, è fatto così per sè importante, che è special dovere il soffermarvisi per intenderla. Un fatto simile, in mezzo a legami politici e religiosi di ogni specie, e fra abitudini tradizionali di servaggio, di cortigianerie e di superstizioni, come erano nel secolo passato, non si può spiegare col lavoro di una sola generazione. Importante per conseguenza è ricercare nella storia gli antecedenti critici di quel movimento (1). È ne

(1) È utile, per avere dei concetti chiari, il distinguere nella Storia gli antecedenti cronologici e logici da quelli, che noi chiamiamo critici. Son cronologici gli antecedenti, che immediatamente come cause prossime precedono i fatti, de' quali si fa narrazione. I logici scovrono rapporti più intimi di causa e di effetto negli avvenimenti. Gli antecedenti critici invece son quelli, che hanno agito nel pensiero e generato una lotta, e prodotto effetti non semplicemente per la forza in essi contenuta, ma per l'energia d'opposizione contro sistemi e abitudini, che col loro mezzo si è svegliata nelle menti.

cessario il riguardare in esso a due punti: alla libertà razionale del pensiero e all'indirizzo preso da questo. Imperocchè son cose, che vanno insieme e si rinfocano, ma debbono sapersi distinguere. È sempre obligo di chi ha coscienza accettar la prima, non sempre è degno di lode il secondo.

La libertà di coscienza, senza cui non v'ha possibilità di Critica capace di oltrepassare i limiti dell'erudizione, fu messa a luce dalla Riforma. Le controversie tra cattolici e protestanti, come quelle entro allo stesso protestantismo, la libertà del pensiero, meglio sostenuta e pregiata appo gli ultimi, e la facilità d'esercitare il giudizio su tutte cose, anche religiose, giovò per lo sviluppamento dell'ingegno critico. Il che non avvenne senza perturbazioni e gravi dolori morali (1). Quindi nella Francia a scuotere le intelligenze influirono, sì nel bene, come nel male, Michele Montaigne, il Bayle, la lotta fra Gesuiti e Giansenisti, e il Deismo Inglese.

Il Montaigne ebbe il pregio d'essere per natura nemico del pedantismo e degl'inceppamenti. E, a disfarsene, adoperò con ingegno or l'indifferenza ed ora il dubbio, mezzi critici, che in effetti sorpassano di gran lunga gli elementi avversi (quando questi non sieno incorporati in una libera coscienza), ma che però restano sempre vaghi in sè stessi, sicchè non sanno preparare per sè l'avvenire, salvo che sgombrano gli ostacoli: e ciò non è cosa da poco e può servir d'occasione a grandi e innumeri effetti. Peut-être oui, peut-être non Ni comme ceci, ni comme cela, ni même

(1) Ad avere un'idea di ciò, si veda ad esempio il giornale, che per i fatti e pensieri suoi scriveva Isacco Casaubono tra il finire del secolo XVI e parte del seguente (Ephemerides Isaaci Casauboni). È commovente di leggere ciò, ch'ei dice dell'effetto prodotto sul suo cuore dalle controversie fra protestanti, e il come si rivolga in modo semplice ed affettuoso a Dio, perchè lo guidi. Si cerchi, p. e., quel ch'ei scrive in data del 1° gennaio 1611. E il Casaubono non era certo il solo in tale stato. Or ciò valeva più, che il silenzio e il torpore, poichè, fra le lotte e i dolori, l'ingegno critico sorge e si rafforza nella generazione umana.

autrement Que sais-je? Ecco i motti, che svelano il procedimento di Montaigne; ma è un procedimento essenzialmente critico. Ei non esprimeva solo de' pensieri, ma dei mezzi d'opposizione a ciò da cui era circondato nella società civile. Quello scrittore fu primo a mostrare assai apertamente, che scetticismo ed indifferenza non includono sempre un isolamento, quanto al loro perchè morale, ma che possono essere mezzi per esercitare una fine e penetrante Critica. E si noti frattanto la forza critica, che sta nella congiunzione dello scetticismo e dell'indifferenza. Il solo scetticismo considerato nella coscienza individuale e non già per la sua azione nella società civile, in certe epoche, lo scetticismo, dico, può quanto agli effetti pratici e in alcune intelligenze condurre a tutto. E mostrò buon senso teologico Pietro Charron, quando cangiava le parole di Montaigne Que sais-je? in quelle: Je ne sais, poichè non è difficile di passare dal dubio universale alla più ampia credulità; del che non mancano esempli, e lo stesso Charron ne è uno. La sola indifferenza non regge alla scossa, che certi momenti difficili nel corso della vita producono. L'unione d'entrambi toglie nello spirito importanza a quanto la superstizione ha creato per inceppare il pensiero, aspettando di distruggerla, dopo d'averla affievolita. Biagio Pascal non può essere ben compreso in ciò che ha di critico e d'acuto ne' suoi Pensieri, se non per mezzo dell'azione, che su di lui avevano esercitato i Saggi del Montaigne (1); ma il Pascal li aveva considerati dal lato metafisico e religioso, non già da quello che s'attiene al corso della civiltà sociale. Quindi i suoi Pensieri, fra' quali ve ne sono de' veramente sublimi e capaci a prestare una vigorosa Critica

(1) Ved. Fontaine Mémoires pour servir à l'Hist. de Port Royal, etc. Cologne, 1753, tom. III, pag. 80 e seg. Il Pascal derideva volontieri quegli autori, che dicono continuamente: Il mio libro, il mio commentario, la mia storia. Farebbero meglio (soggiugneva con brio) di dire: Il nostro libro, il nostro commentario, la nostra storia, atteso che d'ordinario vi è più dell'altrui, che del loro Son parole, che ricordava C. Bossut nel suo Discours sur la Vie et les oeuvres de B. Pascal, public. a Milano 1803.

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