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Huet non mancava di quel giudizio sì proprio dei teologi, per cui si avveggono, ove sta il male per essi. Temeva non poco dalla filosofia e dalla Critica dovessero provenire dei mali assai serî al principio d'autorità; i rimedi eran belli e trovati. Scetticismo e niuna critica: chi non sentirebbe in tale stato i tristi beneficii dell'autorità? Ecco il ragionamento, che padroneggiò lo spirito di Huet.

Nonostante ciò, la Critica diveniva sempre più celebre. << Nihil nostra hac tempestate celebrius, diceva il Mabillon, quam aliorum censurae vacare; idque universim adeo invaluit, ut vel ipsis Mulierculis hanc artem profiteri sit nihil antiquius » (1). E il Mabillon non nega l'utilità della Critica, ma si lagna della temerità di certi Critici. « Verum plerique adeo impudenter... abutuntur, ut haud minus, quam ex errore, ac ignorantia, detrimentum mens inde patiatur. Temerario ausu materias suapte sponte definiunt sine praevio earum examine; et ne dum in eorum discussione, de quibus in humanis, ac naturalibus scientiis communiter agitur, talem sibi usurpant potestatem, verum etiam in is, quae spectent ad orthodoxae fidei dogmata (2); super his enim arbitrario plura identidem asserunt, majori sane fiducia, quam si eadem Aecumenicum enunciaret Concilium. Et hic forte tot inter morbos unus esse deprehenditur, queis praesens saeculum misere laborat, quandoquidem si praecedentibus saeculi noxiae simplicitatis, nimiaeque credulitatis vitium adscribitur, nostro hoc aevo nil fere ab iis, qui acriori se praeditos ingenio jactitent, recipitur, quin prius ipsorummet censura plane subdatur. > E il Mabillon distingue la Critica in aptam e ineptam. La prima « lumen est perquam utile unde nedum auctoris mens valde illustratur, verum et illa opportune utentium. Altera vero noxium virus, quod ubi primum intellectum, ac rationem ipsam exercentis contaminavit, ad alios etiam veneficam qualitatem diffundit, et ad ipsorum opera. >

(1) Mabillon, Tractatus de studiis Monasticis, traduz. in latino di Giuseppe Porta, Ediz. seconda, Venezia, 1729; vol. 1, cap. XIII. (2) Si scorge, come a grado a grado si preparava il sec. XVIII,

Il Mabillon adopera per la Critica la stessa definizione dell'Antonio Arnauld, poichè la chiama: Scientia coniecturalis, docens modum recte judicandi de quibusdam Operibus, praesertim Auctorum, eorumque scriptis. > Quindi saviamente aggiugne: Ut quis scientiam hanc plane assequatur, multo in primis opus est ingenio mentisque acumine, multa item animi maturitate, atque prudentia, qua nimirum talis servetur methodus, ut singulo suo quaeque ordine disponuntur, ac illustrentur, ita ut lumen sibi invicem mutuent. »

L'Abate della Trappa, Arm. Ruthiljer, publicò una Risposta al Mabillon; e con fina e sacerdotale antiveggenza osservava; viro critico frenum iniici nullo modo posse (1). Egli assaliva fieramente la Critica e voleva fosse vietata in modo assoluto ai Monaci. È piacevole ora il leggere quelle fiere e fermissime parole, le quali inducono a credere, che l'Abate sentisse già l'odore del secolo XVIII. < Critices studium, diceva egli, omnium studiorum periculosissimum, atque ad depravandos animos Coenobitorum aptissimum est. Ius atque arbitrium ab hoc studio conceditur omnia expendendi, de omnibus iudicandi, nihil est, quousque Censoris oculus non pervadat. Ipsa Sacra Scriptura parum illi correcta videntur; consulenda passim et quovis fere momento sunt (si illos audias) Autographa Graeca, Hebraica, Syriaca; Patres et Doctores Ecclesiae sensum illius nequaquam perceperunt; levia sunt eorum ratiocinia, obscurae notiones, minus accuratae interpretationes; hi quidem nimis breves, hi vero nimium diffusi; multa illi saepe ignorant; Neoterici sunt illis doctiores et perspicaciores. » I Monaci, egli esclama, devono obedire, non giudicare. Se si danno allo studio della Critica, l'affare è spacciato: « judices sese constituent, et ad propriae rationis normam omnia componunt, aliter sen

(1) Responsio D. Abbatis de Trappa ad Tractatum de studiis Monasticis. Questa risposta fu dall'autore scritta in francese; ma io non ho fra mani, che la traduzione in latino, la quale è aggiunta al Trattato del Mabillon.

tientes quoscumque contemnunt. E concludeva: « Quid hoc aliud est, quam eorum professionem funditus evertere? Basterebbero queste parole a comprendere come la lotta secolare tra il sacerdozio e il laicato è stata ingaggiata e proseguita dall'ingegno critico.

Vittoriosamente replicava il Mabillon: « Irreptam ergo Criticam abiiciamus, aptam et legitimam amplectamur, quae ubique necessaria est, cum nihil aliud est, quam rectus iudicii et intelligentiae usus. Illa opus est, ut genuinas historias a falsis dijudicemur; ne superstitiosis narrationibus, vanis opinionibus, inanibus deliramentis et visionibus fictis aut ambiguis miraculis, supposititiis Patrum scriptis temere fidem habeamus... Omnia probate, quod bonum eligite. Qui credit cito, levis est corde. » Se non vi fosse Critica, diceva Egli, « molestissima, absurda pati cogeremur, atque eo deveniretur, ut vel omnia sine ullo exemplo et indiscriminatim recipienda essent, vel medicina malo deterior adhibenda. » Vegga il lettore, come il Mabillon era assai più dotto ed ingenuo, mentre il Trappista aveva maggior conoscenza di mondo. E noi dobbiamo esser grati adambo quegli scrittori, che dote della Critica, se non s'addormenta, è di saper cavare profitto dai nemici del pari, che dagli amici. L'ingenuità del Mabillon serviva a lei come di salvaguardia per evitare difficoltà da parte dell'autorità, e l'opposizione del frate le giovava per iscuotere l'energia, che è in essa. E, per rispetto al Mabillon, aggiugnerò che il laicato, mentre riconosce d'essere stato costituito in Occidente per virtù d'elementi critici da sé studiosamente elaborati, non dee però tralasciar di confessare d'aver ricevuto a quando a quando degli aiuti da parte del sacerdozio.

CAP. XII.

DELLA CRITICA DI PIETRO BAYLE.

Il Critico, che nel secolo XVII giunse a maggiore celebrità fu, senza dubio, Pietro Bayle. In vero egli non è scrittore originale, ma, nei suoi lavori, si scorge agevolmente un mescuglio (e un mescuglio fatto con misura › con certa convenienza) di erudizione, di filosofia, di scetticismo nelle cose del pensiero, come di esperienza in quelle del mondo. Ei sapeva immedesimare in sè il fare dei libri, cui leggeva; e giova, a comprendere la formazione del suo ingegno, il conoscere, che « sua lettura prediletta erano il Plutarco e il Montaigne » (Tenneman). Egli aveva uno spirito vivo e sottile, congiunto a gran desiderio d'apprendere, il che, generalmente parlando, è pregio di quei Critici da professione che si danno a ragionare su le opere altrui, pur nulla curandosi di creare alcun che di proprio. Amava non già il metodo, il qual trova, ma quello che ordina e che è giovevole a mostrar l'accuratezza dello scrittore: « car, ei diceva, nous autres philosophes, nous aimons la méthode plus que tout, et sans' elle rien ne nous paraît charmant > (1).

La tendenza a quella Critica, che si rivolge a giudicare il fatto altrui, senza curarsi a crear nulla di proprio, si manifestò in Bayle nelle Osservazioni, ch'ei publicò su l'opera di Poiret intitolata: Cogitationes rationales de Deo, Anima et Malo, stampata nel 1677. Nel 1680 vi fu una cometa, e allora si credeva una tale apparizione fosse presagio di mali. Il Bayle publicò nel 1682 un Libro intorno a quell'avvenimento, che ristampò nel 1683 col titolo: Pensées diverses sur les comètes. E questo libro fu chiaro segno del nuovo indirizzo assunto dall'ingegno critico, di rivolgersi, cioè, più specialmente a fatti e idee, che molto tocchino i

(1) Lettera del Bayle al ginevrino Minutoli in data 4 aprile 1676.

propri tempi. Il Bayle seppe imprimere tale indirizzo in modo assai energico; e ciò riescì specialmente in Francia. Il che serve a spiegare, come quella nazione si pose, per mezzo delle sue idee, nel secolo passato, a capo dell'Europa.

Il Bayle si diede a criticare lo sciocco pregiudizio, che le comete presagissero mali, principalmente con questo argomento: Se le comete fossero un presagio di mali, Dio avrebbe fatto dei miracoli per confermare l'idolatria nel mondo. E considerando solo un siffatto argomento, ei si scorge di leggieri come il Bayle manifestasse già tendenza verso quella Critica, che gli fu poi sì propria, la qual consisteva nello esaminare due idee, due opinioni, due dottrine, e mostrare senz'altro, che si combattono e si escludono. Nella sua vita stessa, massime in gioventù ed anche rispetto a religione, aveva sentito il predominio or di una idea, or di un'altra, onde era sottostato a profonde scosse. Quindi il suo spirito, a forza di disinganni, di studî, e di osservazioni, le quali per altro non si riferivano tanto alla verità in sè medesima considerata, quanto all'effetto che essa ha prodotto o produce negli uomini riguardati nella convivenza sociale, il suo spirito, dico, si rese pieno di calma in faccia al sì e al no, calma che è degna di nota, poichè più di quel che si pensa ebbe parte nel costituire a grado a grado il pensiero animatore del secolo XVIII, massime in Francia. E certo nella mente del Bayle ferveva alcun che di critico, proprio del secolo XVIII. Ei dichiarava di scrivere quei Pensieri, perchè vi trovava un'idea di novità a trattare il soggetto delle Comete in rapporto alla Teologia. Si dà a scrivere talmente pieno del suo intento, che non vi medita antecedentemente: vuole scrivere una lettera e gli vien fuori un libro. E nel finirlo accennava quel far destro e spedito, che assume l'ingegno critico, quando, in un tema proprio del tempo, vuol riuscire, nel suo intento. < Car de quoi n'ai-je point parle ? Quel étrange amas de pensées n'ai-je pas entassé, prenant tantôt ce que je lisais dans un livre, tantôt ce que j'avais oui dire dans la conversation, tantôt ce que mon petit fonds

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