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CAPITOLO XV.

FEDERICO I. SI MOSTRA OSTILE AL PAPATO; È VINTO DAI LOMBARDI A LEGNANO.
PACE FRA ESSO ED IL PAPA CONCLUSA A VENEZIA. ALESSANDRO III. RENDE
L'ELEZIONE DEI PAPI INDIPENDENTE DAL POPOLO ROMANO; TRATTATO
DI CONCORDIA FRA QUESTO E CLEMENTE III.

"Det ille veniam facile, cui venia est opus.

(Seneca, Agamenon).

Finchè si era trattato di abbattere i faziosi Romani, e della propria incoronazione, Federico era andato d'accordo col papa; ma soddisfatte queste cose, non tardò a rompere i suoi buoni rapporti con lui. Egli orgoglioso e di animo indipendente non voleva riconoscere autorità pontificia sopra di sè, ma anzi intendeva che a questa fosse superiore la sua, giacchè quanto il papato aveva di diritto sovrano, l'aveva ricevuto dai re (198). E perciò allorquando nel 1156, il papa Adriano conchiuse la pace col re di Sicilia senza prevenirlo, Federico irritossi e proibi ad ogni sacerdote di andare in seguito a Roma, e di ricevere dal papa una collazione di beneficii; e più tardi pensò pure di separarsi dal papato (199).

Morto Adriano nel 1° giorno del settembre 1159, gli fu surrogato ai 7 Alessandro III, dotto ed animoso pontefice; ed allora anche più chiaramente mostrò l'imperadore la sua avversione pel seggio di Roma. Poichè il cardinale Ottaviano creatosi contemporaneamente da se stesso antipapa col nome di Vittore IV, venne appoggiato e sostenuto da Federico. Mentre l'imperadore era avverso ad Alessandro, egli era però odiato dai municipi italiani alla cui indipendenza era di ostacolo; e perciò questi, collegati fra loro, si posero dalla parte di Alessandro, nella con

vinzione che, difendendo la Chiesa, difendevano la propria libertà.

Cosa soffrissero le città italiane dal despotismo di Federico, ogni colto cittadino ben sa; e siccome questo appartiene alla storia generale d'Italia, noi qui non dobbiamo neppure accennarlo. Toccando perciò soltanto quel che è relativo al papato, accenneremo che Alessandro, oppresso dall'antipapa e dai partigiani dell' imperadore, si vide forzato ad abbandonare Roma, mentre eglino incominciarono ad occupare più luoghi della Campania e del Patrimonio; e che, dopo di avere ai 27 di settembre scomunicato da Terracina Vittore, ed ai 24 di marzo dell'anno seguente 1160 anche Federico, da Anagni; ed essere andato errando in più luoghi d'Italia; credette bene alla fine di cercare asilo in Francia.

In questo frattempo morì l'antipapa Vittore, e gli fu surrogato un altro per nome Pasquale III. Dopo tre anni (an. 1165). Alessandro III rientrò nella sua capitale, ma non vi potè dimorare lungo tempo; poichè Federico nel 1167, direttosi nuovamente verso Roma, dopo essersi accampato al monte Mario, penetrò nell'interno della città, incendiando il quartiere del Vaticano; e dopo essersi pacificato coi Romani illusi dalle sue promesse, obbligò il papa a prendere nuovamente la fuga (200). D'allora in poi Federico divenne per qualche tempo l'arbitro assoluto d'Italia, e potè sempre meglio dimostrare la sua contrarietà verso papa Alessandro; di modo che morto nel 1168 anche Pasquale III, sebbene da tutta la cristianità, fuorchè dalla Germania, fosse riconosciuto Alessandro; egli pur tuttavia gli fece surrogare un terzo antipapa che prese il nome di Callisto III.

Vinto però finalmente e sconfitto ai 29 di maggio 1176, presso Legnano in quella famosa battaglia, che forma la più bella pagina della storia italiana del medio evo, Federico videsi obbligato ad umiliarsi d'innanzi a quel papa che avea tanto av

versato. Conoscendo pur troppo che pacificato con lui, il quale abbracciava tutti gl'interessi della cristianità, avrebbe risentito benefici effetti; molto più che l'interdetto in cui era, gli aveva allontanati molti proceri, e le sue disgrazie venivano attribuite in gran parte alla sua separazione colla Chiesa.

Il pontefice si trovava allora in Anagni; ad esso mandò adunque Federico quattro de' suoi baroni in ambasceria, e chiese la pace. Alessandro rispose che se l'imperadore voleva la pace, la concedesse non solo alla Chiesa, ma pure ai suoi difensori; al re di Sicilia cioè, ai Lombardi, ed all'imperadore bisantino. Siccome queste proteste si facevano in pubblica udienza, gli ambasciadori dissero voler trattare con esso papa in segreto. Ciò fu loro concesso. Licenziati gli altri, e rimaste sole le parti, il papa si mostrò più mite, e fu conchiusa la pace (201).

I Lombardi però i quali erano stati la causa prima dell'umiliazione di Federico, non vennero dal papa in questa stipulazione considerati; essendo stati i loro interessi da esso obliati. Perciò si sdegnarono altamente, e portarono innanzi le loro querele (202). Alessandro che era in fondo un buono ed onesto uomo, si dolse della sua mancanza, se ne scusò, e promise ai Lombardi che sarebbe andato a Bologna a trattare direttamente coll'imperadore; ed allora avrebbe pensato a loro. Infatti Alessandro, imbarcatosi sopra una nave del re di Sicilia, che stava pronta a riceverlo tra Siponto ed Ancona, si avviò verso Bologna, passando per la città di Venezia. Quivi giunto fu ricevuto con molto onore dal clero, e dalle autorità civili, non che dal popolo; e gli ambasciadori di Federico andarono subito a complirlo ed a dichiarargli che l'imperadore era pronto ad adempiere quanto avea stabilito, ma che non voleva trovarsi con lui a Bologna. Supplicava perciò che si scegliesse altro luogo, preferendo specialmente Ravenna o Venezia. Il papa mostrossi contrario a queste divergenze, e propose di andare a Ferrara per

conferire quivi coi cardinali assenti e coi rettori di Lombardia circa ciò che fosse da fare. Piacque agli ambasciadori cesarei l'espediente; ed Alessandro avendo ordinato a vescovi ed a rettori delle città lombarde di andare a Ferrara, vi si condusse esso pure con magnifica comitiva. Colà or dunque nell'anno 1177 si trovarono unitamente al papa, che già aveva separato i suoi interessi da quelli della lega, tutti i personaggi principali dei due partiti. Eranvi per la parte dei Lombardi il patriarca di Aquileja, gli arcivescovi di Ravenna e di Milano, i vescovi di Torino, di Bergamo e di Como, non che l'eletto di Asti, eranvi i rettori delle città, con parecchi marchesi e conti, e i due ambasciadori del re di Sicilia, l'arcivescovo di Salerno e il conte di Andria. Per parte di Federico v'intervennero gli arcivescovi di Magonza, di Colonia, di Treveri, di Maddeburgo e Salsburgo, con alcuni vescovi loro suffraganei, e l'eletto di Worms coll'arciprotonotario.

Fu in questo congresso che si trattò del luogo ove Alessandro potesse incontrarsi con Federico: i pareri furono diversi; si elesse finalmente, secondo il voto del papa, Venezia. Quivi perciò tornò Alessandro; e venuti con esso lui tutti quei personaggi che dovevano intervenire al trattato, si pose principio dalle parti discordanti alle conferenze. Queste riuscirono lunghe, in specie per le pretensioni che avevano i Lombardi; finalmente dopo due mesi si chiuse il trattato, convenendo le parti principalmente in questo: che fosse pace colla Chiesa; che il re di Sicilia avesse pace per quindici anni, e i Lombardi per sei; che il papa riprendesse i diritti sovrani in tutte le terre da lui dominate, fuorchè in quelle della contessa Matilde, il cui dominio veniva sottoposto all'esame di sei persone delegate dal papa, e dall' imperadore; e che Federico si assoggettasse alla solita cerimonia del bacio del piede al pontefice per ricevere da esso l'assoluzione.

Non tardò perciò Federico di avanzarsi a Venezia; e giuntovi, fu ricevuto colla massima pompa. Il doge lo fece condurre nel monistero di S. Nicolò in Rialto; là tre cardinali, e i vescovi di Porto, di Ostia e di Palestrina, lo ricomunicarono; mentre ei rinunziava ad ogni protezione verso gli antipapi. Dopo ciò fu presentato al pontefice. Questi era seduto innanzi la porta della chiesa di S. Marco, e circondato da nobil corteo di vescovi e cardinali. L'imperadore Federico, il Barbarossa, quel desso che avea incendiato e distrutte più città italiane; che avea passato a fil di spada e donne e vecchi e fanciulli nel cui volto spirava l'ardore della libertà patria; che avea atterrito col suo nome l'intera Italia; che avea opposto ad Alessandro III tre emuli; — ora giunto innanzi di questo, depone la clamide, si prosterna a terra; e gli bacia riverentemente il piede. Chi avrebbe in quel momento riconosciuto il Barbarossa?

Si levarono allora da ogni parte acclamazioni e cantici di allegrezza; ed a quei gridi sembrò che l'angelo della pace avesse in quel momento sanate le italiche ferite.

Dopo ciò l'imperadore preso dal pontefice per la mano, fu condotto nel coro della chiesa, ed a capo chino ricevette la benedizione. Nel giorno seguente fu poi con singolare solennità celebrata la festa di S. Iacopo, e furono rinnovati i giuramenti di pace (203).

Questa umiliazione non fu fatta dal Barbarossa in buona fede; ma derivò da accorgimento politico; conosceva egli i tempi, ed avea innanzi gli occhi l'esempio dei suoi predecessori; e perciò vi si sottopose con rassegnazione; ma nell' interno certamente sdegnoso. Essa però portò seco qualche buon effetto, donando all'Italia per qualche tempo quella pace che fu meglio assicurata nell'anno 1183 nel celebre trattato di Costanza (204).

Quanto poi Alessandro III acquistasse per tal fatto di venerazione presso i popoli, ognuno può da se stesso concepire; stante

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