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CAPITOLO III.

SENTENZE DEI SS. PADRI DELLA CHIESA RELATIVAMENTE

ALLA SUA SOGGEZIONE POLITICA, ED ESPOSIZIONE dei precetTI EVANGELICI

CIRCA L'ORDINE CIVILE.

"Mentre cogli anni migliorando si la fortuna e crescendo "la forza del pontificato, si pensò di mescolare la "facoltà ecclesiastica colla civile, e rendere questa "grado per grado suddita a quella; ne' primi secoli "invece lo sforzo e l'ambizione dei papi stringevasi "tutta a dividere quant' era possibile, l'un potere "dall'altro. "

(Mamiani, Lett. a Dom. Berti sul Papato).

Chi ha nei giorni nostri veduta l'orribile lotta del papato colla rivoluzione intenta a torgli il temp orale comando, e non conosce appieno le antiche istorie; crederà forse che anticamente la Chiesa con non minore ardore militasse per togliersi da quella soggezione civile che abbiamo accennato nei precedenti capitoli. Ma questo sarebbe al certo un errore; la Chiesa romana coll'allontanarsı dalle catacombe, e col fornirsi di considerevoli ricchezze, si contaminò moltissimo nei suoi principì, e si bruttò orribilmente, massime col vizio dell'avarizia (11); ma pure nullameno nei primi secoli non giunse a tanta arroganza. Imperciocchè in allora invece di confondere l'ecclesiastica podestà colla politica, i papi, e più che essi i padri della Chiesa, procurarono di tenere la propria podestà del tutto disgiunta e separata dall'altra; riconoscendosi sempre in quanto ai doveri di cittadino, soggetti a quella dello Stato. Ed è perciò che santo Atanasio procurò giustificarsi innanzi all'imperadore Costanzo dell'accusa di avere dissobedito alle sue leggi (12); e che s. Giovanni Crisostomo sebbene ingiustamente deposto e mandato in esilio dall'imperadore Arcadio, obbedisse; ed esponendo il noto

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ogni anima è sottoposta alle autorità sueziandio se sarai apostolo, evangelista, (13). Ed il suo discepolo Marco

profeta, sacerdote o monaco

l'anacoreta soggiunse, che chi milita per Iddio non deve impacciarsi di faccende secolari, se non vuole facilmente essere sopraffatto dalle affezioni di esse (14).

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Ognuno poi mediocremente versato nelle opere dei santi Padri della Chiesa latina, sa molto bene che tanto sant' Ambrogio, quanto s. Girolamo commentando l'altre parole di s. Paolo a Timoteo · nessuno il quale milita per Iddio s'impaccia di affari del secolo, dicessero anch'eglino che ciò era giusto; perchè per piacere a Cristo faceva d'uopo essere libero di faccende mondane; perchè nessuno poteva servire a due padroni, e non conveniva che in una stessa persona si avesse una duplice professione (15). E papa Gelasio, nel suo trattato dell'anatema, studiandosi di sostenere la necessità della separazione fra i due poteri ecclesiastico e civile, non asserì che la divisione di essi era opera di Gesù mentre del diavolo era la lor confusione? (16) San Gregorio il grande, parimenti non scrisse: << conosco che l'imperadore mandatoci da Dio non solo ha « dominio sui soldati, ma eziandio sopra dei sacerdoti? (17) E santo Isidoro che fu uno degli uomini più dotti e memorabili di suo tempo, non disse parimenti che chi vuole incaricarsi di cure terrene divine, no può; mentre chi vuol servire a due padroni, non potrà facilmente esser grato ad ambidue? (18)

E perchè questi grandi personaggi del cristianesimo, i quali vengono oggigiorno venerati dai fedeli sugli altari, nulla curandosi di temporali domini, ed anzi ai civili magistrati sottomettendosi, la pensarono in tal guisa?

Perchè in quell'epoca non erano stati ancora del tutto dimenticati i veri precetti evangelici; ed i ministri dell'altare sapevano che il fondatore della loro religione, siccome quegli che

assolutamente democratico era e sprezzatore di ogni umana grandezza, allorchè dalla moltitudine fu per esser fatto re- egli si ritrasse sul monte tutto solo (19); che un giorno chiamati a sè i suoi discepoli egli stesso aveva detto: Voi sapete che i principi delle genti le signoreggiano, e che i grandi usano potestà sopra di esse: ma non sarà così fra voi: anzi chiunque fra voi vorrà divenire grande, sia vostro ministro; e chiunque fra voi vorrà essere primo sia vostro servidore (20); che allorquando alcuno della moltitudine gli disse: Maestro di al mio fratello che partisca meco l'eredità, egli rispose: -o uomo chi mi ha costituito sopra voi giudice o partitore? (21) e che avendogli Pilato domandato se era il re dei Giudei egli rispose: — Il mio regno non è di questo mondo (22).

Pensavano quei personaggi in tal guisa, perchè non avevano posto in obblio che lo stesso Cristo, siccome quegli ch' era amico dell'ordine per quanto lo era della libertà e dell' uguaglianza, aveva in vita riconosciuto le autorità costituite, allorchè disse ai farisei: Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio (23); — e che anzi si era ad esse assolutamente sottoposto, allorchè in Cafarnaum pagò per sè e per s. Pietro uno statere (24) a coloro che esigendo le didramme (25) erano venuti a Pietro dicendogli : Il vostro maestro non paga egli le didramme? (26)

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Pensavano quei personaggi della Chiesa in tal guisa, perchè dai loro orecchi non erano ancora fuggite le parole di Paolo il quale non solo asseri, come sopra abbiamo accennato, che - nessuno addetto al servizio speciale di Dio s'impaccia di faccende mondane; ma ancora che ogni Pontefice preso tra gli uomini è preposto a pro di essi in tutte quelle cose che riguardano Dio (27); e non già in quelle cose che riguardano il mondo, siccome sono la politica e le leggi sociali. Così eglino intendevano pensare, perchè si ricordavano ancora che il principe degli apostoli indistintamente a tutti i

fedeli, chierici o laici che si fossero, aveva scritto: - siate per riguardo di Dio soggetti ad ogni uomo, tanto al re come sopra di tutti, quanto ai presidi come spediti da lui per fare vendetta dei malfattori e per onorare i buoni (28); e che, rivolgendosi poi direttamente ai ministri dell'altare, aveva soggiunto: -pascete il gregge di Dio che da voi dipende, avendone cura non forzatamente, ma di buona voglia secondo Dio; non per amore di vil guadagno ma con animo volenteroso; nè come per dominare sopra l'eredità del signore ma fatti sinceramente esemplari del gregge (29).

In tal guisa pensavano quei padri dell'antica Chiesa, perchè non avevano ancora posto in non cale che il figliuolo dell'uomo fu vestito da re solo per ludibrio ed ischerno (30), che i suoi apostoli furono nelle corti e nei tribunali solo per esservi giudicati, e che le genti cristiane non erano mandre di armenti da vendere, comprare e dominare; ma bensì le pecorelle del Cristo, con tanto affetto raccomandate a Piero da esso, allorchè dopo avere ricevuto un giuramento di amore, per ben tre volte gli disse: pasci le mie pecorelle (31).

E così infine pensavano, perchè conoscevano ancora che lo Stato conteneva la Chiesa, e non la Chiesa lo Stato; che lo Stato poteva sussistere senza la Chiesa, e non la Chiesa senza lo Stato, conforme innanzi il cristianesimo sussistettero poderose e forti repubbliche senza che vi fosse nè Chiesa nè papa; e che siccome lo Stato conteneva la Chiesa, ed era ad essa necessario, doveva questa essergli assolutamente e necessariamente soggetta.

Ma pure queste dottrine furono ben presto dimenticate da chi più che altri dovea conservarle nel cuore; ed il vescovo di Roma, sorto da tanto umili principi, malgrado gli evangelici precetti ed i consigli dei padri della Chiesa primitiva, giunse non solo a svincolarsi dalle civili autorità e dalle leggi comuni,

ma, dichiarandosi superiore ad ogni autorità e ad ogni legge, pervenne ad impugnare uno splendido scettro, ed a coprirsi il capo di una insegna regale, sulle sue popolazioni soggette, assai funesta e gravosa.

Incominciamo or dunque a vedere come un tal fatto av

venisse.

CAPITOLO IV.

AUTORITÀ DEI PONTEFICI ROMANI NEGLI AFFARI CIVILI DI ROMA;

CAUSE CHE LA SVOLSERO; GREGORIO MAGNO

È IL PRIMO AD ESERCITARLA SENZA ESSERE SOVRANO.

"Se i papi non avevano in questa prima epoca una sovra "nità legalmente riconosciuta, grande era peraltro "la loro potenza morale, e grandissima la di loro "autorità sulle cose di Roma e dell'Italia. "

(Galeotti. della Sovranità e Gov. Temp. dei papi. Lib. 1., Sez. 1., Cap. 1.)

Cresciuta dopo Costantino l'importanza del vescovo di Roma, comecchè questi, fino a tutta la metà del secolo VIII si mantenesse, come innanzi accennammo, pur sempre soggetto dal lato civile agli imperadori, contentandosi soltanto di conservare la sua autorità spirituale indipendente da quella temporale, come parimenti dicemmo di sopra; pur tuttavia dopo che Teodorico trasportò il seggio reale a Ravenna, e dopo che la nostra Italia fu divisa tra i re Longobardi e gl' imperadori di Oriente, e Roma venne ridotta in un ducato dipendente da questi; il papa che di già aveva una preponderanza ben forte pel suo carattere spirituale, venne ad acquistare una considerevole importanza anche dal lato civile. E Ciò avvenne, parte perchè i Romani piuttosto che vedersi soggetti ad un duca no

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