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scrive una volta perfino in nome dello stesso San Pietro, usando i più potenti scongiuri da parte di Dio, e minacciando il detto principe francese di alienarlo dalla vita eterna e dalla cristiana salute, qualora non si fosse dato pensiero di soccorrerlo dalle genti longobarde; la cui ferocia egli esagera in guisa da farle credere per le più inique che a que' tempi si fossero (68). A tanto più spingere una smoderata ambizione, e l'avidità del comando!

Pipino mosso dalle preghiere più forse che dalle minaccie, e adontato dalla inosservanza del re longobardo, viene per la seconda volta in Italia, vince Astolfo, e costringelo nuovamente a ritirarsi dalle terre assegnate al romano pontefice, ed a mantenere il patto anteriore; facendogli di più cedere a questo anche Comacchio. Ed avendo la corte orientale domandata la restituzione delle provincie donate; le dà risposta tale da farle ben conoscere, che egli era disceso in Italia per giovare il papa e non altri (69). Quindi, senza punto indugiare, spedisce in Roma Fuldrado suo cancelliere per deporre sul sepolcro di Piero le chiavi di Ravenna e delle altre città (70).

In tal guisa il pontefice cristiano il quale, per le vicende dei tempi e pel favore popolare, aveva acquistata autorità in Roma ed anche sulle prossime terre della Sabina e dell'Umbria in parte cedutegli, coma sopra dicemmo, dalla pietà di Luitprando, in parte dateglisi da sè stesse per seguire l'esempio della capitale; incominciò ad essere riconosciuto per un vero sovrano di questa parte d'Italia, e divenne signore di uno Stato considerevole in questa nostra penisola, creata per grandi glorie, ma eziandio per molto gravi sventure.

Sonovi degli scrittori, specialmente francesi, i quali pretendono che tali città da Pipino alla Chiesa donate, non venissero trapassate nei papi che a titolo di feudo, essendosene egli riserbato il supremo dominio per sè e per i suoi successori; al

tri al contrario sostengono che la potenza del papa sia stata intera dopo tal fatto, adducendo per documento le medaglie del tempo nelle quali scorgesi solo il nome del papa. Checchè ne sia, non potendosene a mancanza dell'atto originale di detta donazione giudicare; egli è certo che in seguito di tal fatto i pontefici di Roma incominciarono a comandare siccome sovrani; e per essere riconosciuti da tutti per tali, da detta epoca in poi cessarono di porre nelle lettere la data del regno degli imperadori, siccome per l'innanzi solevano fare. Soltanto è da notare però, che questo reggimento papale non era monarchico assoluto: in Roma il papa era il gran signore (dominus); ma la città conservò il suo jus comunale, e non perdè i diritti del Senato e del popolo. Si rammenti che il papa era eletto da tutto il popolo riunito (71).

CAPITOLO VII.

CARLOMAGNO, AD ISTANZA DEL PAPA, RICONDUCE I FRANCHI IN ITALIA; DISTRUGGE IL REGNO LONGOBARDO, E RATIFICA LA DONAZIONE DI PIPINO.

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Ritornato in Francia Pipino, non aveva Astolfo ancora dato effetto totale al trattato, allorchè nel cacciare, caduto da cavallo dovette lasciare la vita in seguito di mortale ferita. E tanta fu la commozione del romano pontefice per tale avvenimento, che non ristette dal dimostrarla al re franco, scrivendogli con cristianissima carità « che Astolfo seguace di Satana, << divoratore del sangue cristiano, distruttore delle Chiese di

« Dio, dal divino braccio colpito, era sprofondato nella voragi<< ne dell'inferno (72). » Per un tal fatto pertanto poco mancò che l'Italia non venisse travagliata da guerra civile; poichè in luogo di Astolfo, essendo stato eletto da una parte dei grandi Desiderio Duca d' Istria, in quel tempo dimorante in Toscana ; avvenne che Rachi, si perchè mal sopportar potesse che questi salisse sul trono dei Longobardi, si perchè pentito dal passo antecedentemente fatto con poca consideratezza, sentivasi stimolato da mondane ambizioni; deposta la claustrale cocolla, uscisse dall'asilo di pace, e capitanando un esercito incominciasse di nuovo a brigare per quella corona che un giorno aveva rinunziato. Ma l'interposizione del papa e la mansuetudine di Rachi valsero a por tregua a tali mali. Imperciocchè Desiderio avendo promesso fedeltà, e l'esecuzione dei trattati di Astolfo al pontefice, questi che intendeva proteggere soltanto colui che facevagli vantaggio, riconobbe per re Desiderio e indusse Rachi a tornare nuovamente nel chiostro (73).

Morto frattanto nell'aprile dell'anno 737 Stefano, e successogli il fratello Paolo; sembra che i Romani si accorgessero subito che il papa non era più il loro padre, ma il loro dominatore; ed incominciassero, come tale, ad odiarlo, poichè dalle memorie dell'epoca risulta che il novello pontefice, ora sovrano, scrisse a Pipino pregandolo con speciose scuse a fare rimanere in Roma il legato franco, fino al tempo di sua consacrazione; e che Pipino scrisse un'altra lettera ai Romani, ammonendoli ad essere fedeli a San Pietro, alla Chiesa ed al papa. Lo che forse non sarebbe avvenuto, se il papa era sicuro della benevolenza dei Romani, e Pipino non avesse dubitato della fedeltà di questi. Comunque sia, i Romani risposero, o furono costretti di rispondere a Pipino, giurando la desiderata obbedienza (74). Nello stesso tempo poi che il papa cercava mantenersi la protezione di Pipino, istigava occultamente i duchi di Spoleto e di

Benevento ad alienarsi dal re Desiderio; temendo che col restare eglino ad esso sottomessi, gli procurassero troppo grande influenza nella penisola, ed all'occorrenza gli potessero essere di valente ajuto. Per lo che Desiderio, informato di tali mene di Paolo, desistette dalle restituzioni non solo, ma coll'animo di perseguitare i duchi ribellatisi, fece lega coi Greci, obbligandosi di ritorre al papa Ravenna qualora essi gli avessero consegnato prigione il duca di Benevento rifuggito in Otranto. Ma tanta fu la religione e la mansuetudine dell'esacerbato re longobardo, che essendo stato da Pipino esortato, e dal pontefice caldamente pregato a desistere; s'indusse ad arrestarsi, ed a venire a patti. Anzi in questa occasione fu egli tanto generoso, che prima cedette al papa alcune delle città che pretendeva; e poi, essendo giunta innanzi a Ravenna, sebbene tardi, la flotta dei Greci, i Longobardi invece di unirsi con questi, aiutarono i Romani a respingerla (75).

Morto Paolo nel 767, Roma fu afflitta da immensi guai, a causa dei pretendenti il seggio papale. Posto con violenza sul trono un tal Costantino, laico di potente famiglia, ne fu discacciato mediante la cooperazione di Desiderio. Questi però fece eleggere dalla sua fazione un tal Filippo che non piacque ai Romani; e perciò si ebbero stragi e vendette, e giorni di crudo terrore; finchè non fu dato per successore legale a Paolo un tal prete siciliano suo antico amico che prese il nome di Stefano IV. Costui elevato a tanta dignità contro l'intendimento di Desiderio, non poteva essergli amico; ma siccome nel momento ne aveva bisogno fece alleanza con lui. Cristoforo e Sergio grandi dignitari della Chiesa, fautori principali dell'elezione di Stefano, protetti dalla fazione francese erano divenuti pertanto padroni di Roma, e Stefano non aveva forza a combatterli. Si unì perciò al re longobardo; e questi venuto fino alle porte dell'eterna città, fe' si che. il papa potesse sacrifi

care proditoriamente questi due suoi nemici, che in origine erano stati però i suoi migliori partigiani (76). Il pontefice pertanto non poteva amar Desiderio; egli nell'animo suo era profondamente corrucciato con esso per le contrastate restituzioni. Non facendo perciò conto dei sopra narrati servigi; ma pensando solo a dar sfogo alla sua feroce ambizione, si collegò forte coi Franchi, e venne in rotta con lui. Avuta notizia delle nozze che agitavansi fra la regale famiglia longobarda e la francese, e conoscendo che esse ponevano a repentaglio i suoi temporali interessi, procurò di sturbarle, non vergognandosi a tale effetto di scrivere perfino le parole le più disdicevoli e vili a carico della regale longobarda famiglia; e scritte, inviarle a Carlo e Carlomanno figli del già estinto Pipino (77). Ma con tuttociò Berta, madre di essi, venne ella stessa in Italia, si abboccò col papa, gli promise fargli da Desiderio cedere alcune delle terre occupate, e menando seco nella Francia Ermenegarda figlia del re longobardo, la die' in isposa a quel Carlo che poi, per la buona fortuna avuta nelle sue operazioni, fu sopranominato Magno.

Un tale avvenimento che tanto aveva spaventato il pontefice fu però invece la causa della sua futura prosperità: poichè Carlo, dopo un anno circa, non tanto per instabilità di animo, quanto per i continui suggerimenti del papa, coll'onta di un ripudio rinviò la sposa al padre; e questi oltremodo corrucciato per tale slealtà concepi contro Carlo nell'animo un odio feroce (78). E perchè alla sua corte erasi ritirata Geberga vedova di Carlomanno, con due suoi figliuoli spogliati da Carlomagno del regno, Desiderio incominciò a servirsi di detti fanciulli siccome d'istrumenti atti a porre in dovere le pretensioni di Carlo, ed a vendicare il ricevuto oltraggio. Perciò proclamando i diritti di questi orfanelli, pose in mezzo ogni opera affinchè il romano pontefice gli ungesse re dei Franchi; conoscendo pur egli che

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