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per risolvere la questione romana; miserabili! il loro concetto non era che quello di santa Brigida!

E le parole che l'illustre Senese rivolse continuamente ai cardinali ed ai papi, non furono pure dello stesso tenore? Ella afflitta e gemente pei mali della Chiesa di Dio, prodotti dalle mainate ricchezze tante, e dalla sete di dominare, non sa che esortare a gittar via i beni terreni, ed a spogliarsi dell'autorità temporale, se scandalo alla spirituale. Scrivendo a Gregorio XI, in una lettera gli dice: « Oimè! non pare che voglia (Iddio) che noi attendiamo tanto alla signoria e SO<< stanzia temporale, che non si vegga quanta è la destruzione delle anime e il vituperio di Dio, il quale seguita per la « guerra. . . . sicchè poniamo che siate tenuto di conquistare << e conservare il tesoro e la signoria delle città la quale la Chiesa ha perduto, molto maggiormente siete tenuto di riacquistare << tante pecorelle che sono un tesoro nella Chiesa; e troppo ne impoverisce quando ella ne perde. . . . . Meglio c'è dunque << lassar andare l'oro delle cose temporali che l'oro delle cose spirituali (494). »

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In altra gli scrive: « Non vuole Dio che si guardi agli atti <«<e alle grandezze e alle pompe del mondo, perocchè Cristo << non ha conformità con loro; ma solo alla grandezza e ric<< chezza della virtù (495). »

In una terza dice: « La volontà sua (di Dio), Padre, è que<sta, e così vi dimanda; Egli dimanda che facciate giustizia << dell'abbondanzia delle molte iniquità che si commettono per << coloro che si nutricano e pascolano nel giardino della santa Chiesa; dicendo che l'animale non si debba nutricare del cibo. degli uomini, poichè esso v'ha data l'autorità, e voi l'avete << presa: dovete usare la virtù e potenzia vostra; e non volen<«< dola usare, meglio sarebbe a refutare quello ch'è preso; più << onore di Dio e salute dell'anima vostra sarebbe (496).

In un' altra ancora, scrive così: « Mettete mano a levare << la puzza dei ministri della santa Chiesa; traetene i fiori puz<< zolenti, piantatevi i fiori odoriferi, uomini virtuosi che temono << Dio. ... Vuole Dio che voi attendiate all'anime e alle cose « spirituali, più che alle temporali (497).

Così parlavano i dotti e le anime pie: ma il papato, giunto al culmine della depravazione, e di null'altro bramoso che di conservare la sua mondana corona; senza nulla ascoltare, percorreva precipitoso la via in cui erasi con audacia slanciato. ed in cui i fati aiutato portentosamente lo aveano. Il papato, nell'epoca di cui parliamo, non era più quello dei primi secoli cristiani; esso era in assoluta opposizione coi principii di cui una volta era stato fautore; tornare in dietro, gli era però impossibile; e perciò ora non dirigeva i suoi sforzi che a consolidare bene quel potere civile cui tanto avea a cuore. guitiamo ad osservarlo nel suo orgoglioso cammino,

CAPITOLO XXVIII.

Se

PONTIFICATO DI MARTINO V, ED ATTI PRINCIPALI DEI SUCCESSIVI PONTEFICI

PER CONSOLIDARE IL TEMPORALE DOMINIO.

Συμβουλος ουδείς εςτι βελτίων κρόνου.
κρόνω τα παντα γίγνεται καὶ κείνεται.

Nemo est consultor meliore tempore.
Tempore omnia gignuntur et probantur.
(Ex sent. Monastichis Menandri).

Spento Gregorio, nacque in Roma fortissima agitazione, pel timore che il seggio pontificio si trasportasse nuovamente in Avignone. Vogliamo un papa romano esclamavano i Romani con proteste e minaccie (498); ma dei sedici cardinali congregati in conclave, essendo dodici francesi, uno spagnolo, e tre soli ita

liani, non era possibile che si cedesse alle loro ragionevoli istanze. Pur tuttavia non si credette più opportuno di dare il voto ad un francese; e si stimò conveniente di prendere una via di mezzo, eleggendo Bartolomeo da Prignano, napolitano, arcivescovo di Bari il quale prese il nome di Urbano VI. Essendo stato fatto credere ai Romani, che l' eletto era di loro città, eglino rimasero non che tranquilli, contenti; e più tardi conosciuto l'inganno, si acconciarono al fatto compiuto, rassicurati

essendo che la sede pontificale non sarebbe stata più tolta da Roma. « La riputazione somma e singolare in cui era tenuto << l'eletto, (Dice il Denina) contribui grandemente a fargli su<< bitamente prestar obbedienza anche da quelli che avrebbero << voluto un altro papa. Ma siccome pochi pontefici furono in << cui si vedessero unite in tanta copia quelle doti che si ri<«< chiedono a puella suprema dignità, o vere o simulate ch'esse fossero, così niuno deluse mai l'opinione delle genti con ma<< niere si contrarie a quelle che si aspettavano da lui, e di qui presero origine i nuovi travagli ch'ebbe a sostenere la Chiesa « di Roma e l'Italia (499).

Urbano VI d'indole severa, ed audace, era informato da un commendevole spirito riformatore, ma mancava della opportuna prudenza. Non appena ebbe in mano il potere, si pose ad inveire contro i costumi de'vescovi rimproverandoli in pubblico e con asprezza; si rese nemica la Giovanna regina di Napoli; ed avversi più cardinali, quelli stessi che eletto lo aveano; nel mentre che i cardinali francesi si querelavano che nella elezione eravi stata una pressione per parte dei Romani, ed il re di Francia occultamente gli sdegni eccitava, nella speranza che caduto Urbano, ritornasse il seggio in Avignone. Avvenne perciò che si formasse in Fondi un nuovo conclave, e quivi venisse deposto Urbano, ed eletto in sua vece quel cardinale Boberto di Ginevra, da noi di già sopra nominato con orrore, il quale,

preso il nome di Clemente VII, andò a porre sua dimora in Avignone. Ciascuno di questi papi avendo poi i suoi partigiani, ne seguì quel vergognoso scisma che durò circa cinquant'anni, e formò una pagina ben vergognosa per la Chiesa cristiana. Così in questo spazio di tempo a Roma siedettero Urbano VI, Bonifacio IX, Innocenzo VII, e Gregorio XII che fu deposto nel 1409 nel concilio di Pisa; ed in Avignone siedettero Clemente VII, e poi Benedetto XIII, che fu parimenti deposto dal detto concilio il quale elesse Alessandro V, a cui succedette Giovanni XXIII. Ed allora si fu che, quelli deposti avendo rifiutato di sottomettersi, si trovarono simultaneamente tre papi. Tuttavia Gregorio XII nel 1115 abdicò; Giovanni XXIII, e Benedetto XIII furono deposti dal concilio di Costanza che nominò Ottone Colonna il quale prese il nome di Martino V. Giovanni XXIII si sottomise a questo papa, e così alla morte di Benedetto XIII ebbe fine lo scandaloso scisma. Se pertanto durante questa tristissima epoca e l'Italia tutta, e la Chiesa fu afflitta da mille mali, ognuno comprenderà di leggieri che questi si aggravarono in maggior copia massimamente nelle provincie pontificie. I nepoti dei papi Bonifacio IX, Innocenzo VII e Gregorio XII, nelle Marche e nella Romagna, erano divenuti piccoli tirannelli; Baldassare Cossa legato dapprima del papa, si fece despota di Bologna; e vari altri baroni per acquistare signoria contrastando spesso tra loro, laceravano miseramente le varie provincie. Nel pontificato d'Innocenzo VII, gravi turbolenze avvennero in Roma, in guisa che egli trovossi costretto di fuggire precipitosamente a Viterbo; e mentre i tre papi simultaneamente siedevano sulla cattedra pontificia, la Romagna venne tolta quasi interamente di mano alla Chiesa.

Grave perciò egli era il compito di Martino nel salire il seggio pontificale; ma egli lo assunse con coraggio. Si associò dei celebri capitani di suo tempo, e coll'aiuto di questi ristabili l'or

dine in Roma e nelle altre provincie; in guisa che fu il primo il quale dopo molto spazio di tempo potè governare con qualche pienezza di potere, massime in Roma.

Egli prima di ogni altra cosa pretese l'osservanza delle tregue fra i Romani ed i signori vicini (500); più tardi in virtù di un trattato fatto di necessità, concesse in vicariato a Braccio Fortebracci tutta l'Umbria e parte della Marca di Ancona; procurando così di assoggettarsi in qualche modo quelle terre (501) dipoi rivolte sue cure alla Romagna, fece porre sotto interdetto la città di Bologna, ed assediarla da Braccio e Luigi Migliorati. In tal guisa potè sottomettere anche quella; ed altre città minori potè farle ritornare sotto sua dipendenza confermandone la signoria a quei baroni che di fatto le possedevano. Rese poi ai Colonna i beni confiscati; a Francesco Orsini diè in vicariato il castello di Bracciano, confermò a Ranucci Farnese i suoi feudi, e mediante danaro fè restituire alla Chiesa la città di Sutri, che da circa quarant'anni era stata occupata da Giovanni di Gramont (502).

Assicurata cosi Martino la maggior parte dei suoi Stati, si parti di Firenze ove finora aveva dimorato; ed ai 27 di Settembre 1420 entrò in Roma.

Qui giunto, nominò il cardinale di S. Eusebio nunzio nel ducato di Spoleto; il cardinal Carillas nunzio nella Romagna, ed il cardinale Condulmieri nunzio nella Marca di Ancona; e si volse a tranquillizzare ed a rendersi benevole le terre del Patrimonio; e ad ampliare i confini de suoi Stati, aggiungendovi la terra di Pontecorvo. Questa città sul principio del secolo XII era passata sotto il dominio del Monistero di Monte Cassino; ma essendo nate liti fra l'abbazia e qualche barone, Martino V nel 1422 commise al vescovo di Aquino, Vicerettore della provincia di marittima e Campagna, di prendere a nome e suo e della Chiesa Romana il Governo di Pontecorvo, e di porre

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