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CAPITOLO XXV.

GESTE DEL CARDINALE ALBORNOZ NELLE PROVINCIE DELLA CHIESA,
PER ASSICURARE IL DOMINIO TEMPORALE DEI PAPI.

"Romagna tua non è, e non fu mai.
"Senza guerra, ne' cuor de' suoi tiranni.
(Dante. Inf. XXVII, 40).

Salito dopo Clemente sulla sede pontificia Innocenzo VI, mentre Roma e le provincie ecclesiastiche giaceano nello stato anormale da noi accennato nel precedente capitolo, egli si volse subito a far mostra di sua autorità regale per assicurare i pontifici domini. Ai 23 di febbrajo 1353 diè perciò ordine di fare una inchiesta su i beni derivati alla Chiesa dalla contessa Matilde e dati poi in feudo a vari signori (388); più tardi scrisse al vicerettore della Marca di Ancona affinchè provvedesse alle bisogne della medesima; ed ai rettori delle città e delle provincie vietò di sospendere e di abbandonare, come facevano senza l'avviso dei tesorieri, i processi relativi ai censi della Chiesa (389). Ma affinchè queste ordinazioni avessero valore, era necessario che il papa avesse in Italia un uomo sul quale potesse avere una piena fiducia; e questo il ritrovò nel cardinale Egidio Alvarez Albornoz, di nobile famiglia spagnola, il quale dopo aver militato sotto Alfonso re di Castiglia, per privati rancori fattosi ecclesiastico e lasciata la Spagna, erasi ricoverato presso Clemente VI, e da questo era stato innalzato all'onor della porpora. Costui or dunque alla fine del giugno 1353 fornito da Innocenzo di uomini e di danaro, fu inviato dal medesimo in Italia per ricuperare i diritti del papato; mentre esso pontefice nominava in ciascuna delle provincie dello Stato ec

clesiastico nuovi rettori, e volgevasi alle potenze italiane affinchè all'occorrenza giovassero di loro sostegno il legato (390).

Venuto l'Albornoz in Italia si fece ricevere dai Romani come lor protettore; e siccome Giovanni De Vico prefetto di Roma e signore di Viterbo erasi impadronito di molte terre della Chiesa, procurò di associarsi loro contro di esso il quale erasi fortificato in Orvieto. I Romani però non pare che potessero prestare al legato molti ajuti; ed egli si rivolse perciò a compagnie di ventura capitanate dal tedesco Rugher e da fra Moriale antico cavaliere di S. Giovanni di Gerusalemme, cui, perchè più facilmente accettasse l'invito, nominò gonfaloniere della Chiesa; e con questi andò ad assediare la suddetta città. Ma allorchè il tutto pareva in favore del legato, e Giordano Orsini rettore del Patrimonio mostrava molto zelo per lui, Fra Moriale e Rugher rimasero in sul principio neutrali, e poi si unirono coi nemici di esso (391). Giovanni di Vico imbaldanzi allora, ma non per questo si scorò l'Albornoz; poichè riunite quelle milizie che potè maggiori nel Patrimonio ed in altre parti; con queste andò ad assediare Orvieto, che suo malgrado dovette cedere alla prepotenza del legato (392). Più tardi l'Albornoz, ajutato anche dalle milizie mandate da Roma e condotte da Giovanni Conti di Valmontone, riuscì a vincere lo stesso De Vico a Toscanella, il quale ai 5 giugno 1354 dovette perciò trattare con lui, e fare atto di sommessione. Viterbo e Corneto dopo avere riconosciuto la sovranità pontificia furono lasciate al De Vico, colla condizione che vi sarebbero stati ricevuti il legato e gli ufficiali della Chiesa. Orvieto ancora per parte dei suoi rappresentanti, dovette alla medesima prestare obbedienza (393). Ma siccome il papa poco si fidava del De Vico, non volle ratificare la cessione del vicariato di Corneto fatta dall'Albornoz; mentre Narni e Terni anche alleate del De Vico si sottoponevano esse pure al pontefice (394). Con tuttociò il vinto prefetto non restò sfi

duciato di sua sorte; ma anzi fidando nella volubilità di questa si collegò coi Monaldeschi, i quali preparavano un movimento a Viterbo (395).

Lo stato di Roma frattanto era quale lo abbiamo descritto prima dell'insurrezione di Cola; i baroni soli potevano; ma in conseguenza di questo fatto i Romani erano divenuti più indocili ed amanti di libertà. Avvenne perciò che tal Francesco Baroncelli cancelliere del senato, ed antico ambasciadore di Cola di Rienzo a Firenze, profittando dello spirito dei Romani, su l'esempio di quello, ai 14 settembre di detto anno 1353, li richiamò nuovamente a libertà, e dichiarossi loro secondo tribuno. Poco secondato dal popolo, non si resse però lungamente nella sua autorità; e quattro mesi dopo di averla assunta, dovette abbandonarla in seguito di un'altra sommossa popolare. Innocenzo VI pertanto conoscendo che Cola di Rienzo, il quale era come dicemmo ritenuto prigione in Avignone, poteva cooperare assai in Roma a condurre la pace e a disporre gli animi all'obbedienza verso il legato, lo mandò in Roma insieme con lui. Ma questi non amando molto la sua influenza non volle subito servirsene; ma anzi procurò di tenerlo più che potè lontano dalla capitale. Cola però conosciute le buone disposizioni dei suoi compatrioti, o almeno che avea un partito in Roma, prese in prestito una somma di danaro; e con questa, levata in armi una compagnia nel 1354 si presentò nuovamente a Roma, e vi entrò trionfante in mezzo alle acclamazioni di tutta la popolazione, aggiungendo al titolo di tribuno quello di senatore.

Non avvi certamente persona studiosa della storia italiana e massime delle cose di Roma, la quale non conosca la condotta di Cola in questa sua seconda gestione e la sua miserevole fine; e chi non ne avesse cognizione può apprenderne dai biografi di lui e massime dal Papencordt, che meglio di ogni altro ne parlò. Noi accenneremo soltanto in due parole, che tornato esso

al potere, avendo cominciato per maggior dispetto e scorno dei nobili, ad esercitarlo con soverchia baldanza; ed avendo aggravato, massime per soddisfare alle continue richieste di danaro fattegli dal legato e dal papa, con qualche nuova tassa il popolo, il quale inoltre non vedeva più in Cola l'antico tribuno, ma un messo del papa, ed uomo divenuto dispotico come tutti gli altri baroni; fu per altra insurrezione nell'ottobre 1354 costretto nuovamente a fuggire ed a celarsi sotto spoglie mentite; infino a che riconosciuto, non fu miseramente ucciso, e fatto informe cadavere, che venne bruciato sulla piazza di S. Marcello.

Dopo questi avvenimenti Carlo IV venne in Roma a ricevere per le mani del cardinale di Ostia la corona imperiale; ed. in questa occasione ratificò i suoi giuramenti verso la Chiesa, promettendo nuovamente di conservare e difendere i diritti della medesima (396). Ed essendo per riceverlo venuto appositamente in Roma anche il cardinale Albornoz, questi prese occasione per nominare il nuovo senatore, e calmare le fazioni romane, ed i continui litigi sempre esistenti fra Roma e le città circonvicine; dopo di che rivolse le sue cure alla Campania, ove i Gaetani, i Conti, gli Annibaldi, ed i Frangipani specialmente, prepotevano e turbavano i Comuni, non meno che l'autorità della Chiesa (397). E sebbene l'Albornoz in queste operazioni, non giugnesse mai a fare quanto egli ed il pontefice avrebbero voluto; pur tuttavia riuscì sempre ad introdurre qualche miglioramento tanto pei Comuni, quanto per l'autorità della Chiesa.

Il potere pontificio frattanto nella Marca e nelle Romagne non esisteva affatto: molto più che gli stessi officiali pontificii avevano in alcuni luoghi usurpato o fatto usurpare le terre ed i diritti della santa sede (398). I Montefeltro, i Manfredi, gli Ordelaffi, i Gentile, potenti e forti in Urbino, Faenza, Forlì, e Fermo, si erano da essa resi quasi indipendenti. L'Albornoz perciò dopo le suaccennate imprese dovette rivolgersi anche a tali luoghi.

Gentile fu uno dei primi a sottomettersi : e perciò l'Albornoz, a nome d'Innocenzo VI, gli conferi in feudo le città di Civitanova, Monte Corsaro, e Montefortino (399); ma ben presto istigato dai Malatesta di Rimini, si ribellò unitamente ad altri. L'Albornoz radunò allora meglio che potè un esercito, e sussidiato da altre genti mandategli dall'imperadore ad intercessione del papa, si diresse contro i ribelli e superò i Malatesta tra Iesi ed Ancona. In seguito di questa perdita, costoro si assoggettarono alla sede apostolica, e restituirono al legato tutte le città della Marca e della Romagna che loro erano state concesse a titolo di vicariato, come pure quelle conquistate da essi colla forza; ma dopo questa sottomissione, vennero loro dall'Albornoz date con lo stesso titolo di vicariato le medesime città di Rimini, Fano, Pesaro e Fossombrone; e solo non si vollero da lui rilasciar loro alcune città del distretto di Rimini, e Santo Arcangelo; avendo il legato voluto che questi luoghi restassero separati dal Governo dei Malatesta (400).

Dopo ciò la città di Urbino inviò messi anch' essa ad Albornoz per fare atto di obbedienza; ed i conti di Montefeltro si trovarono allora costretti pur essi di seguire l'esempio di quella città (401).

In seguito, dopo Urbino, si sottomisero alla Chiesa anche Ancona, Fermo, ed Ascoli, a cui però il papa promise di rispettare le franchigie municipali, e di non costruire alcuna fortezza nella città. Ognuno poi comprenderà come all'esempio di questi luoghi, andassero appresso quelle città di un ordine secondario.

I Polenta signori di Ravenna e Cervia, si sottoposero pure all'Albornoz, ma il Manfredi a Faenza e Francesco degli Ordelaffi a Forlì, Cesena e Bertinoro non vollero cedere alle sue pretese. Il cardinale fece loro delle rimostranze; ma eglino sordi alle sue esortazioni ed alle sue minaccie, non intendevano rinunziare ai loro divisamenti. L'Albornoz perciò si apprestò alle

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