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oltre l'antico letto di più di braccia sette; e però sali l'altezza dell'acqua alla porta della Croce a gorgo e a quella del Renaio per altezza di braccia sei e più; e ruppe e mise in terra l'antiporto della detta porta, e ciascuna delle dette porte per forza ruppe e mise in terra. E nel primo sonno di quella notte ruppe il muro del comune di sopra al corso de' Tintori incontro alla fronte del dormentorio de' frati minori per ispazio di braccia centotrenta; per la quale rottura venne l'Arno più a pieno nella città, e addusse tanta abbondanza d'acqua, che prima ruppe e guastò il luogo de' frati minori, e poi tutta la città di qua dall' Arno; generalmente le rughe coperse mole allagò ove più e ove meno ; ma più nel sesto di san Piero Scheraggio e porta san Piero e porta del Duomo, per lo modo che chi leggerà per lo tempo avvenire, potrà comprendere i termini fermi e notabili onde faremo menzione appresso. Nella chiesa e Duomo di san Giovanni sali l' acqua infino al piano di sopra dell'altare, più alto che mezze le colonne del profferito dinanzi alla porta. E in santa Reparata infino all'arcora delle volte vecchie di sotto al coro; e abbattè in terra la colonna colla croce del segno di san Zanobi ch'era nella piazza. E al palagio del popolo ove stanno i priori salì il primo grado della scala ove s' entra, incontro alla via di Vacchereccia, ch'è quasi il più alto luogo di Firenze. E al palagio del comune ove sta la podestà sali nella corte di sotto dove si tiene la ragione braccia sei. Alla badia di Firenze, infino a piè dell'altare maggiore, e simile sali a

santa Croce al luogo de' frati minori infino a piè dell' altare maggiore; e in Orto san Michele e in Mercato nuovo salì braccia due; e in Mercato vecchio braccia due, e per tutta la terra. E salio oltrarno nelle rughe lungo l' Arno in grande altezza, e spezialmente da san Niccolò, e in borgo Pidiglioso, e in borgo san Friano, e da Camaldoli, con grande disertamento delle povere e minute genti ch' abitavano in terreni. In piazza infino alla via traversa, e in via Maggio infino presso a san Felice. E il detto giovedì nell'ora del vespro la forza ed empito dell'acqua del corso d'Arno ruppe la pescaia d'Ognissanti e gran parte del muro del comune, ch'è allo 'ncontro e dietro al borgo a san Friano, in due parti, per ispazio di braccia più di cinquecento. E la torre della guardia, ch' era in capo del detto muro, per due folgori fu quasi tutta abbattuta. E rotta la detta pescaia d'Ognissanti incontanente rovinò e cadde il ponte alla Carraia, salvo due archi dal lato di qua. E incontanente appresso per simile modo cadde il ponte da santa Trinita, salvo una pila e uno arco verso la detta chiesa, e poi il ponte Vecchio stipato per la preda dell' Arno di molto legname, sicchè per istrettezza del corso l'Arno che v'è salì e valicò l'arcora del ponte, e per le case e botteghe che v'erano suso, e per soperchio dell' acqua l'abbattè e rovinò tutto, che non vi rimase che due pile di mezzo. E al ponte Rubaconte l'Arno valicò l'arcora dal lato, e ruppe le sponde in parte, (1) e intamolò in più luogora; e ruppe e mise in terra il palagio del castello Altafronte, e gran parte delle case del comune so

pr' Arno dal detto castello al ponte Vecchio. E cadde in Arno la statua di Marte, ch' era in sul pilastro a piè del detto ponte Vecchio di qua. E nota di Marte, che gli antichi diceano e lasciarono in iscritto, che quando la statua di Marte cadesse o fosse mossa, la città di Firenze avrebbe gran pericolo o mutazione. E non sanza cagione fu detto, che per isperienza s'è provato, come in questa cronica farà menzione. E caduto Marte, e quante case avea dal ponte Vecchio a quello dalla Carraia, e infino alla gora lungo l'Arno rovinato, e in borgo san Iacopo, eziandio tutte le vie lung' Arno di qua e di là rovinaro, che a riguardare le dette rovine parea quasi uno caos; e simile rovinaro molte case mal fondate per la città in più parti. E se non fosse che la notte vegnente rovinò del muro del comune dal prato d'Ognissanti da braccia quattrocentocinquanta per la forza dell' acqua, la quale rottura sfogò l'abbondanza della raccolta acqua, onde la città era piena e tuttora crescea, di certo la città era in grande pericolo, e per montare l'acqua in tutte parti della città il doppio che non fece; ma rotto il detto muro, tutta l'acqua ch'era nella città ricorse con grande foga all' Arno, e fu venuta quasi meno e nella città fuori del corso d' Arno il venerdì ad ora di nona, lasciando la città e tutte le vie e case e botteghe terrene e volte solterra, che molte n' avea in Firenze, piene d'acqua di puzzolente mota, che non si sgombrò in sei mesi; e quasi tutti i pozzi di Firenze guastò, e si convennero rifondare per lo calo del letto d'Arno. E seguendo il detto diluvio ap

presso la città verso ponente, tutto il piano di Legnaia, e d' Ognano, e di Settimo, d' Ormannoro, Campi, Brozzi, Sammoro, Peretola, e Micciole infino a Signa, e del contado di Prato, coperse l' Arno diversamente in grande altezza guastando i campi e vigne, menandone masserizie, e le case e mulina e molte genti e quasi tutte le bestie; e poi passato Montelupo e Capraia, e per la giunta di più fiumi che di sotto a Firenze mettono in Arno, i quali ciascuno venne rabbiosamente rovinando tutti i loro ponti. Per simile modo e maggiormente coperse l'Arno e guastò il Valdarno di sotto, e Pontormo e Empoli e santa Croce e Castelfranco, e gran parte delle mura di quelle terre rovinaro, e tutto il piano di Samminiato e di Fucecchio e Montetopoli e di Marti al Pontadera. E giugnendo a Pisa sarebbe tutta sommersa, se non che l' Arno sboccò dal fosso Arnonico e dal borgo alle Capanne nello stagno; il quale stagno poi fece un grande e profondo canale infino in mare, che prima non v'era; e dall' altro lato di Pisa isgorgò negli Osoli e mise nel fiume del Serchio; ma con tutto ciò molto allagò di Pisa, e fecevi gran danno, e danno, e guastò tutto il piano di Valdiserchio e intorno a Pisa ma poi vi lasciò tanto terreno, che alzò in più parti due braccia con grande utile del paese. Questo diluvio fece alla città e contado di Firenze infinito danno di persone intorno di trecento, tra maschi e femmine piccioli e grandi, ch'al principio si credea più di tremila, e di bes tiame grande quantità, di rovina de' ponti e di case e molina e gualchiere in grande numero, che nel con

tado non rimase ponte sopra nullo fiume o fossato che non rovinasse; di perdita di mercatanzie, panni lani di lanaiuoli per lo contado, e d'arnesi, e di masserizie, e del vino, che ne menò le botti piene, assai ne guastò; e simile di grano e biade ch' erano per le case, sanza la perdita di quello ch' era seminato, e il guastamento e rovina delle terre e de' campi; che se li piani ľ acqua coperse e guastò, i monti e le piaggie ruppe e dilaniò, e menò via tutta la buona terra. Sicchè a stimare a valuta di moneta il danno de' Fiorentini, io che vidi queste cose per nullo numero le potrei nè saprei adequare, nè porreivi somma di stima; ma solo il comune di Firenze si peggiorò di rovina di ponti e mura di comune e vie, che più di centocinquanta migliaia di fiorini d'oro costarono a rifare. E questo pericolo non fu solamente in Firenze e nel distretto, con tutto che l'Arno per la sua disordinata abbondanza ď acqua in quella peggio facesse, ma dovunque ha fiumi o fossati in Toscana e in Romagna, crebbono per modo, che tutti i loro ponti ne menaro e usciro di loro termini, e massimamente il fiume del Tevero, e copersono le loro pianure d'intorno con grandissimo dannaggio del contado del borgo a san Sepolcro, e di Castello, di Perugia, di Todi, d'Orbivieto, e di Roma; e 'l contado di Siena e d'Arezzo e la Maremma gravò molto. E nota, che ne' di che fu il detto diluvio e più di appresso in Firenze ebbe grande difetto di farina e di pane per lo guasto delle molina e de' forni; ma i Pistolesi, Pratesi, Colle, e Poggibonizzi, e l'altre terre del contado e d'intorno, soccorsono

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