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su'l contado di Pisa faccendo danno assai; e centocinquanta cavalieri de'Pisani che venivano a Marti furono presi da' nostri. Ma poco valse la buona provvisione a venire sopra al contado di Pisa. Quelli ch'erano in Lucca veggendosi abbandonati del soccorso e da tanta potenzia cercarono loro accordo co' Pisani, e rendero loro la città di Lucca salve le persone con ciò che ne volessono trarre: e questo fu a dì 6 di Luglio nel 1342. E nota, che al principio che l'oste nostra era a Grignano i Pisani vollono di patto, faccendo pace, dare di Lucca al nostro comune centottantamila fiorini d'oro in sei anni, per quelli che aveano promessi a messer Mastino; e oltre a ciò vollono ogni anno per la festa di san Giovanni dare al nostro comune per omaggio in perpetuo fiorini diecimila d'oro, e uno palio e uno cavallo coverto di scarlatto di valuta di dugento fiorini d'oro. I più de' Fiorentini vi s'accordavano per fuggire ispesa e guerra. Ma Cenni di Naddo degli Oricellai, che allora era de' priori e il figliuolo era in Lucca uomo presuntuoso, non l' assentì, ma egli assentì il contrario con sua setta, e presesi il peggiore, come noi siamo usati. Onde per quello che n'avvenne abbassò molto lo stato de' Fiorentini, avendo più di quattromila buoni cavalieri e popolo assai e infinito, a perdere sì fatta gara e impresa per i mali consigli e mala condotta e per mala capitaneria; ovvero più tosto per giudicio di Dio, per abbassare la superbia e avara ingratitudine de'Fiorentini e de' loro rettori. Lasceremo alquanto de'nostri fatti, che assai n'abbiamo detto per questa volta, e diremo d'altre cose che furono

in altre parte in questi tempi. Ma non volemo lasciare di fare memoria della profezia, ovvero predestinazione, che ci mandò da Parigi il savio e valente maestro Dionigio dal Borgo della nostra impresa di Lucca, come facemmo menzione addietro nell'altro volume nel capitolo che tratta della morte di Castruccio, che tutto fu vero; che quegli per cui mano avemmo la tenuta della signoria di Lucca, e che era sindaco di messer Mastino, fu Guiglielmo Scannacci degli Scannabecchi di Bologna, ch'avea l'arme com'egli disse nera e rossa, ciò era l'arme rossa e uno becco nero. E come fu con grande affauno e ispendio e vergogna del nostro comune, si mostrò a chi bene comprese l'avventure che di ciò occorsono, siccome per noi è fatta menzione col vero addietro ad eterna memoria.

CAP. CXLI.

Come in Mellina in Brabante s'apprese il fuoco e arse le due parte della terra.

All'entrare di Giugno 1342, disavvedutamente apprese il fuoco nella terra di Mellina di Brabante e fu sìimpetuoso e sanza avere rimedio di soccorso, che v' arsono più di cinquemila case, e andando l'uno parente a soccorrere l'altro, in poca d'ora avea novelle che la casa sua ardeva. E arse la grande chiesa e il palagio della lana con più di quattordici migliaia di pezze di panni che v'erano dentro, e morivvi molte persone uomini e femmine e fanciulli, con infinito danno di cose e masserizie e

arnesi e altre mercatan zie, che fu uno grande giudicio di Dio.

CAP. CXLII.

Come il popolo d'Ancona corse a romore e cacciò tutti i loro grandi.

Nel detto anno 1342, all'entrare del mese di Giugno, per ingiurie ricevute da certi grandi si levò in furia il popolo minuto d'Ancona e fece romore, e assalirono i nobili e' grandi della loro città; e molti ne uccisono e fedirono, e cacciarono della terra e rubarono le loro case; e fu grande e crudele operazione, che così uccisono quelli che non erano colpevoli, e che non aveano fatto male, come i colpevoli e tutt'i nobili e innocenti e così aspramente furon puniti senza misericordia alcuna.

CAP. CXLIII.

Come morì il duca di Brettagna, e la guerra che ne seguì.

Nel detto anno 1342 morì il duca di Brettagna di sua malattia e sanza reda masculina. Questo era per lo suo signoraggio il maggiore barone di Francia, e de'dodici peri, e rimase di lui una figliuola la quale era moglie del siri di Voglieri, e visconte di Limoggia; questa donna aveva una figliuola la quale il re Filippo di Valos re di Francia, morto il detto duca, la maritò a Carlo di Bros suo nipote figliuolo della serocchia, e fecelo duca

di Brettagna, onde i Brettoni furono mal contenti, e la maggiore parte si rubellarono e feciono duca il conte di Monforte, figliuolo che fu del fratello carnale del sopraddetto duca, a cui succedea il retaggio per linea masculina; onde il re di Francia ne fu molto ripreso di mancamento di giustizia, mutando l'ordine e le consuetudini de'baroni di Francia per lo nipote, e fece contro alla sua elezione medesima del reame, come è detto per noi in altra parte, succedendo il reame di Francia per femmina, e al re Adoardo re d'Inghilterra, che gli succedeva il reame di Francia per la madre; ma i signori fanno e disfanno le leggi a loro vantaggio. Onde ne nacque grande guerra; che il detto conte con parte di Brettoni si collegò col re d'Inghilterra, e colle loro forze feciono molta guerra al re di Francia come seguirà per innanzi. Del detto torto fatto al conte di Monforte per Filippo re di Francia tosto ne fece Iddio vendetta contra il detto re e contra Carlo di Bros, come si troverà innanzi nell'anno 1346, e l'anno 1347; perocchè niuna ingiusta vendetta non rimane impunita benchè ella s'indugi; e questo basti alla presente materia. Lasceremo al presente de'fatti d'oltramonti, e tornerenvi quando fia tempo e luogo; e cominceremo il duodecimo libro, come i Fiorentini per loro male stato elessono per loro signore il duca d'Atene, e conte di Brenna di Francia, onde nè seguì alla nostra città di Firenze grandi e grandissimi mutamenti e sovversioni, e pericolo e disfacimento della nostra città per la tirannia, come per innanzi leggendo si potrà chiaramente

trovare.

LIBRO UNDECIMO

CAP. I.

(1) Intamolò.Alcuni pretendono, che questo luogo sia

guasto, e che invece d'intamolò, si deva leggere in tal modo. L'autorità di alcuni mss. la stranezza di quella voce, il non trovarsi che in Giovanni Villani, e una sola volta adoperata, sembrano loro ragioni bastanti per doverla rigettare; e v'è taluno cui parve anche lecito di prenderne un motivo di derisione contro il Vocabolario, che l'ha adottata. Ma con buona pace di loro, noi affermiamo, che intamolò è la vera e genuina lezione, anche per la sola ragione, che così leggono tutti i testi più antichi, e reputati i migliori. Certamente nessuno vorrà saper buon grado al Villani per questa invenzione; e tutti i saggi ne faranno quel poco conto, che fanno di alcune altre voci da lui coniate non molto felicemente, e che non furono valutate neppur dai contemporanei; ma non per questo sarà in arbitrio di chicchessia il cambiare ciò che a lui piacque di scrivere. Quello su cui può nascer qualche dubbio si è intorno al significato della voce. Il Vocab. spiega intamolare per entrare, penetrare. A prima vista pare esser questa buona interpretazione; ma riflettendo bene alla narrazione dell'Autore, se ne conosce tosto l'improprietà. Se tale fosse il significato del verbo intamolare, vorrebbe dire, che l'Arno, avendo rotte le sponde in parte al ponte Rubaconte, penetrò in più luoghi della città. Ma come dir ciò convenientemente, se già di sopra ha descritto come la città fosse in una geT. VI. 18

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