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nè soccorso, s'accordò col duca e con gli altri collegati, come seppono dimandare giurando loro di non esser più degli allegati del re di Francia.

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D'una grande armata che il re Ruberto mandò sopra l'isola di Cicilia, e poco v'acquistarono.

Nel detto anno, sentendo il re Ruberto, che l'isola di Cicilia era in mala disposizione per lo nuovo re Piero, e per la ribellione del conte Francesco da Ventimiglia e de' suoi seguaci, ordinò una grande armata per passare in Cicilia, e partissi la detta armata da Napoli a di 5 di Maggio con settanta tra galee e uscieri, con milledugento cavalieri , e di là arrivarono a di 7. di Maggio nella contrada di Tremole, ed ebbono di presente tre castella ivi d'intorno,e puosonsi ad assedio a Tremole. E poi a dì 10 di Giugno si partì da Napoli la seconda armata con maggior navilio, e con grande gente de' baroni del regno e Provenzali, onde fu capitano Carlo duca di Durazzo nipote del re e figliuolo d'uno suo fratello, e con lui messer Gianni, e il conte novello di quegli del Balzo; e puosousi al detto assedio di Tremole, ed ebbonla a patti all' uscita d' Agosto, salvo che la rocca. Dopo molte battaglie e fracasso di dificii, arsono tutta la terra, e poi si rubellò al re Piero il conte Ruggeri da Lentino con tutte le sue castella, che era uno de' maggiori baroni dell'isola e de discendenti de' baroni, che furono principali a rubella

re l'isola al re Carlo primo: e così si volge il mondo. La detta armata per infermità si partì e tornò a Napoli con poco acquisto e onore; che essendo più di duemilacinquecento cavalieri, potevano cavalcare tutta l'isola sanza contasto, ed eglino non si mossono mai da Tremole, onde infracidò l'oste; e corrotta, ingenerò pestilenzia.

CAP. LXXX.

Come molte città del regno di Puglia ebbono discordie e divisioni tra

loro cittadini.

Nel detto anno 1338 si cominciò nel regno di Puglia, che signoreggiava il re Ruberto, una grande discordia e maledizione, cioè nella città di Sermona, e in quella dell'Aquila, e in Gaeta, e in Salerno, e in Barletta, che in ciascuna delle dette terre si crio parte e divisione, e combatteansi insieme; e l' una parte cacciò l'altra, e guastarsi quasi le dette terre, e d' intorno a quelle ; e il paese per cagione delle dette discordie tutto s'empiè di malandrini e di ladroni, rubando per tutto; e a queste discordie tenevano mano molti baroni del Regno, chi coll'una parte e chi coll' altra. E la maggiore fu quella di Barletta, e durò più con maggiore battaglia. Dell' una parte era capo casa di Marra, e con loro il conte di Sanseverino e tutti i suoi seguaci ; dall' altra parte casa de'Gatti 'e con loro il conte di Minerbino chiamato il Paladino, e tutti i suoi seguaci, i quali feciono molto di male, e guastarono la terra di Barletta e tutto il paese d'intorno. Delle quali discordie il re

ne fu molto ripreso, e doveane essere ragionevolemente a tanto signore com' egli era, e di senno naturale e di scienza; che per propria avarizia delle pene e composizioni de' misfatti de' suoi sudditi sofferiva il guastamento del suo regno, possendolo correggere e salvare con alquanta giustizia. E di niente si ricordava delle parole del santo re Salamone; Diligite iustitiam, qui iudicatis terram. Poichè le dette terre furono ben guaste, il re vi mandò le sue forze assediando Minerbino e il conte e le sue terre; e i suoi fratelli vennono a Napoli alla misericordia del re, e tutti i loro beni pubblicati alla corona, e venduti e barattati, ed eglino pregioni a Napoli; e furono diserti con mala fine e disfatti. Questi conti di Minerbino furono stratti di vile condizione, che furono figliuoli d' uno figliuolo di messer Giovanni Pipino, il quale fu nato d' uno piccolo e vile notaiuolo di Barletta; ma per sua industria fu molto grande al tempo del re Carlo secondo, e guidava tutto il regno e guadagnava d'ogni cosa, e arricchi per modo che lasciò i suoi figliuoli conti; i quali poi per loro superbia e stracotanza, come è detto, vennono tosto a mal fine. E nota, che molte volte i subiti avvenimenti di grandi stati hanno tosto dolorosa fine, e il male acquisto non passa le più volte terza rede; e così avvenne di costoro. Lasceremo alquanto del regno di Cicilia, e diremo alquanto de' fatti di Firenze stati nel detto anno.

CAP. LXXXI.

Come il comune di Colle si diedono al comune di Firenze; e di novità che furono in Firenze nel detto anno.

Nel detto anno 1338, il dì di san Giovanni di Giugno, cavalcando quattro bandiere di gente di arme a cavallo, da cento de' nostri soldati verso Buggiano per levare preda, messono loro aguato e furono sconfitti, e presi due conestabili e la maggior parte di loro gente. Nel detto anno, a dì 12 di Luglio, essendo i Colligiani in grande divisione tra loro per guastarsi la terra e cacciarne parte, di concordia diedono la terra al comune di Firen

ze per quindici anni, chiamando al continovo podestà e capitano di Firenze, e la guardia della rocca alle loro spese ; e così s' acquetaro le loro discordie sotto il bastone del comune e popolo di Firenze, rimanendo in pace in buono stato. E nel detto anno,adì 15 di Dicembre s'apprese il fuoco oltrarno in via Quattro pagoni, e arsevi due case. E poi a di 7 di Febbraio s' apprese il fuoco alle case de' Cerretani alla porta del vescovo, e arse il loro palagio con più di dieci case dall' una via all'altra con grande dammaggio, sanza potervisi riparare o difendere. E nota, che appunto in cinquanta anni s' apprese un' altra volta il fuoco e arse il detto palagio de' Cerretani, come in questo addietro si troverà, che fu grande maladizione a quella schiatta non sanza cagione,

CAP. LXXXII.

Ancora della guerra della lega a messer
Mastino della Scala.

Nel detto anno, tornando l'oste nostra e de'Veneziani al castello di Lungara, come addietro facemmo menzione, messer Mastino con suo sforzo venne ad oste sopra al castello di Montecchio per racquistarlo, non sentendolo bene fornito per la subita rubellazione, e perchè dubitava, tenendosi Montecchio per la nostra gente ch'era a Lungara, di non perdere la città di Vicenza. La nostra gente per soccorrere Montecchio e fornirlo si partirono da Lungara, duemila cavalieri e popolo e fornimento assai,a dì 15 di Giugno,giugnendo colle schiere fatte per combattere con messer Mastino e sua gente,ch'erano milledugento cavalieri: messer Mastino non attese la nostra gente, e non volle venire alla battaglia, ma si levò da campo con danno e vergogna che gli fu fatta da quelli del castello; e per la subita levata, innanzi che la nostra gente vi s' appressasse, lasciò tutto il campo fornito; e giugnendovi poi la nostra gente, forniro Montecchio riccamente. Come messer Mastino si partì con sua gente da Montecchio, ne venne diritto a Lungara a dì 17 di Giugno, credi dendola avere per battaglia, avendosi avvisato ch'ella fosse sguernita per la cavalcata fatta a Montecchio per li nostri. Ma dentro v' erano rimasi alla guardia cinquecento cavalieri de' nostri e de' Veneziani, i quali difesono la terra con danT. VI.

II

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