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OSSERVAZIONI E AGGIUNTE

alla Fonetica dei dialetti gallo-italici di Sicilia del dott. DE GREGORIO (Arch. VIII 304-16).

DI

G. MOROSI.

Le presenti Osservazioni e Aggiunte, che si limitano quasi esclusivamente al sanfratellano, dipendono da studj che io ho condotto sopra materiali che debbo alla cortesia de' signori Dott. Ignazio Collura, Dott. Benedetto e Prof. Giuseppe Ricca-Salerno, Prof. Luigi Vasi e Prof. Luigi Martini, tutti (tranne l'ultimo) sanfratellani: materiali che furono con tutta diligenza vagliati per via di interrogazioni fatte da me in persona a due nativi del luogo. Seguo, sin dove mi torna possibile, l'ordinamento del De Gregorio, ritenendo gli stessi numeri che nel suo lavoro son dati.

VOCALI TONICHE. - A. 1-2. Qui sia lecito, che alle aggiunte si accompagni una disposizione diversa. - L'A è sempre alterato. I. In e: a) nell' -are degli infiniti: ster, cugiérs coricarsi; B) nella formola -ario: era aja e analogamente pera pajo; caudera cald., cauchiera (sicil. carcara) fornace da calce, davannera lavand., buier bov., mul'ner mugnajo, nuter not., craver capr. (allato a pucuräar, che riproduce il sicil. picuraru); paghier pagl., azzer acciajo, cugier cucchiajo grande, mestolo, tuler tel., diner den., armer -adio; febbrer (all. a jinäar, che riproduce il sicil. jinnaru); e analog. cauzzer calz., oter alt., cuḍder collare. A proposito di cauchiera, buier, paghier, cugier (che potrebbero andare anche sotto la rubrica ), si avverta che generalmente, quando si

abbia in qualsiasi modo un dittongo (ie, uo), in voci che riescano parossitone l'accento viene come a ripartirsi (cfr. il dittongo napoletano) tra le due vocali e in voci ove la sillaba accentata riesce finale tende a posare sulla prima più che sulla seconda, quindi carchiera, buler 'boiar- bojar- boar- bovár-', ecc., restando sull'e o sull'o sol quando la voce finisca in un -i grammaticale o quando sia proparossitona. y) Qui venga pure, sebbene propriamente spetti altrove, egua eua aqua. Per l'e di queste tre rubriche s'incontrano col sanfratellano gli altri dialetti gallo-italici di Sicilia. 8) Ancora e davanti a palat.: mei mai e maggio, tei tali (sg. täau), cavei cavalli (sg. caväau), mei mani (sg. mäã), sanfrarirei Sanfratellani (sg. -äã), assei, frei fratelli (sg. fräa), passei -ati (sg. -äa); štei, vei, sei (3a pers. sg. štäa, väa, säa, 3a pers. pl. stäan ecc.); e, con palatale anche precedente, iei hai; -ei = -ai (-avi del perf.), p. e. cantei (3a pers. sg. cantäa, pl. -äan); tegghj taglio e pēghia, batteghia, smerēghia (sicil. smiragghia) medaglia; Blež Biagio, bež io bacio, neš nasco, parreš 'padrastro' -igno, en anni (sg. äan), caveñ, campeña, casteña, s'deña si lagna; plež piace, breža brace, mežna macina; fećć (sicil. faćći) faccia, strećć v. less., e (sebbene la palatale non sia coll' A in contatto immediato) tené tanti (sg. täant), grený grandi (sg. gräan), meng mangio, Frenga Francia, e (con palatale anche precedente) cieng piango, nieućć vieućć 'ni- vi-atti' noi- voialtri. ε) Dopo palatina [per l'accento, v. l'osservazione fatta di sopra, alla rubrica ẞ]: giea già, ġieun (sic. gaunu) giallo, dijevu diavolo, mbrijec ubbr.; crištič, talie Ital., fem. crištieuna ecc. (allato a paisäã, fem. paisäauna); ćier chiaro, cie piano, ciem chiamo, ciev chiave, cieja piaga, cienta pianta, gienna ghianda, piñeta -atta; chieu quale, schiela, z'jiela cicala, chier caro, chier'j carico, chiev capo, chieź caso, chieuza causa; chied callo, chieud caldo, chiern, chierzara, chierta, chiéncar, schienal scand., acchiet -atto, chieća caccia, jieu gallo, dijieam legame. E istessamente ne' casi di j=G=c: jēģa gabbia, jiet gatto, aujiean 'aguanno'. Doppia influenza palatina in cauchien calcagno. Così disiea, annijiea, quagghiea, desiato, annegato, quagliato, fem. disiera ecc. (all. ad anäa anäara andato a ecc.), šiea fiato, cuniea cuniera cognato -a, pecchiea peccato, merchiea, pertichiea port., diniera legnata, vigiera 'vegliata' veglia. Così mang-iea -ieva -iess -avit abat -asset (all. a cantäa -äava -äass). Alla stessa al

A

terazione soggiace l'A iniziale che faccia iato con vocale precedente, perchè in tal caso gli si viene abbarbicando un j parasitico, che poi di solito si vocalizza affatto e (secondo l'osservazione fatta di sopra) più o meno partecipa dell' accento: iea ha, iela ala, iesu asino, ienima, ienatra, ieam io amo, ieam hamus, iecula aquila, ieva ape, ieb't abito, ieghj aglio, ieut alto, ieutr altro, ierc arco, ieštr'c lastrico, iešpa iešpula aspo, ien anno, iengul angolo e iengul angelo (all. a d'äan l'anno, d'äam l'amo, ecc., e alla frase a jam' äuti, a gambe alte, ove l'a di 'gamba' fu difeso dalla proclisi e l'a di 'alte' non venne a ie in grazia della consonante che lo precedeva. n) Curioso che, mentre l'a si sottrae all'influenza della palat. nel riflesso di 'ecce-hac', che è zäa (forse per amor di parallelismo con däa 'illac') e in fäaz faccio, bräaz, ḍäaz laccio, sträaz (e strazzäa stracciato), ḍibräaz libr., cuväaza codaccia, disgräazia e simili, si risponde con e all'a che si trovi davanti a s + conson.: frešca, mešcu maschio (päašqua è voce mal assimilata), pešta, abbešta basta, cuntrest contr., crest 'castro' castrato, cantest cantasti ecc.; d'espa (non d'äšpa) l'aspo. II. In ogni altro caso s'ha un ä molto lungo e propriamente, massime quando l'a riesca finale o davanti a L, R, S, N, M, äa: säau sale, väau vale, De̟naräau Dì di Natale, täau tale (non teáu, com' ha il De Gr. n. 58-59), ramäar'j rammarico, amäar, näas, man'j manico, räam ramo e rame, mbräcul mirac., anäara andata ecc., cut'däara coltellata, päp'ra, cräva cräava capra, fäava, täula täaula, säber säaber sabato, caväau -allo, täarpa talpa, äarba alba, täard, päas passo, gräas, bläanc, säan sangue, täant täanta, quaräanta, fäam fammi, ḍäamp lampo, täca täaca tacca (macchia), fäat fäata fatto -a, ecc. Finale: anäa andato, v'ritäa verità (plur. i v'ritäi), eštäa estate, aräa -atro. Da' miei appunti non risulta la differenza, notata da De Gr. alla fine del num. 1, tra amär e amara, gräss e grassa, ecc.1

Notevole il riflesso di -ano -ana, che è -äã, -äauna od -äuna (-iẽ, -ieuna, se preceda palatale): säã säauna sano -a, mäã, duntäã ḍuntäauna lont., e così v'däã v'däauna e v'däunamaint

Nello stesso De Gr. trovo spära num. 1 e ambašära (che andrà scritto ambašera) num. 100, allato a štrara e gurnara num. 90.

B

vill., paisäă paisäauna, ḍäauna lana, s't'mäauna settim., täauna, campäauna (crištič crištieuna ecc. già addotti). III. Illusoria sarà la conservazione dell'A in -ai -a della 2a pers. pl. pres. indic. e imper. della conjug. in -a: cantai, prijai pregate, anάunu andatevene, salurám salutatemi, daig dag dategli (all. a däam dammi) ecc. Gli altri dialetti gallo-ital. dell'isola hanno qui e chiuso: cante, prje. Si tratterà dunque di ai a=[i] ẹ, secondo i num. 3 e seg.; seppure non si dovrà vedere qui semplicemente la 1a conjug. tratta nell'analogia delle altre due, quindi cantai p. e. come t'nai tenete, dam datemi come crirám credetemi, salurálu salutatelo come sintálu sentitelo. Così dicasi dell' a di -ain del gerundio della 1' conjug. (cumunzain cominciando ecc.), il quale -ain sarà = '[-indo-] -endo ando', onde si avrà cumunzain cominciando come crirain credendo e f'nain finendo (cfr. bružaint bruciante con ḍužaint lucente). E similmente illusorio l'a di arb io apro, che presupporrà, secondo il num. 26, orb (cfr. grb a Piazza e Aidone, ruob a Nicosia). Se arb rispondesse direttamente ad 'apro', si pronunzierebbe äarb. Il riflesso normale di 'casa' è, giusta il num. 1-2 (I ε), chieża; e l'a intatto del ca di camáia, catáua (casa mia, c. tua) è dovuto alla proclisi, senza dire che v'è intatto il c. E lunga. 3. Altri esempj: trai terreno, quaraiz'ma, franzaiź, munaira moneta. Quanto al riflesso di '-ebam' ecc., è da notarsi che nella 2 pers. sg. e pl. per influenza dell'-i ritorna l'-i sicil. (avii avíu all. ad aváia), come per la stessa ragione s'ha il plur. miži mesi, all. al sg. maiź. 4. Dell'assorbimento dell'i di ai non trovo esempj sicuri se non nel riflesso della 2 pers. plur. dell' imperat. della п- conjug. quando le è suffisso un pronome: t'nam tenetemi, ćangalu piangetelo, crirág credetegli; del resto: taila, saira, maiź, araina ecc. Eccezione alla regola di ais =ēs, ens fa país (mentre aspetterebbesi paiáis), che sarà tal quale il sicil. paísi. - 5. Illusorio cie pieno. Va scritto će ed è continuatore del sicil. ćinu chinu (per l' e anorganico cfr. num. 13). - Dimenticati gli importanti es. di o (= sicil. i) = ē: foi fo feci -e; -oi (= ital. -ei) = *-evi de' perfetti della ш-ш conjug., p. e. crirói criró credei credė (nella 2a pers. criríšt); vonn vēnit', cui s'aggiungano,

1

fgm'na femina, mal può qui stare; v. p. e. Arch. I 313.

di antica posizione, vošca esca, crošc cresco; e di moderna: voñ veni. Cfr. il num. 11 e il luogo ivi citato del II vol. dell' Arch.

E breve. 6. Dittongo si, ma coll'accento regolato come si è detto sopra, num. 1-2 (I ẞ): iea (sicil. eu, jeu) ego, mica meus (il fem. maia però accennerebbe a *mia), žieu gelo, aier jeri, tiễ tiene, suliev sollevo, priej prego, diej leggo, [aḍiecr allegro], mier mieto, niev nepos (e misieria, iea amier't io merito, tu amiérti, míer'j medico). Per il riflesso di 'pede-' una delle mie fonti mi dà, come in De Gr., pe, un'altra píea (ma il plur. sempre piéi). – Dimenticati gli es. di aiĕ divenuto di pronunzia chiusa: bai bene (e sai 's-es' sei tu); e qui verrà fai del num. 3 di De Gr.7. dot non risponde a 'diede', ma a 'dette' (la 1a pers. infatti è, conforme al num. 91, doćć) e va registrato con ždott del num. 11, il quale però significa 'sdette', non 'sdetti''. E sotto il medesimo numero andrà stott stette (1a pers. štoċć) e il suffisso -ott- sicil. -ettu, ital. -etto: guñott (sicil. ģuñettu) luglio, carrott, ugott occhiello, cauzōta calz., sacōta, navõta. E in posizione. 8. Altri es. di e intatto (seguito spesso da un a parasitico, nel qual caso la consonante doppia si scempia secondo il num. 1-2, II): pirseḍdi pis., meard merlo, nvearn inv., vearm, pears, pears'ca persica, searv, nearv, cuvearć coperchio, zearc cerco, aveart aperto, peard, appress, m' veast mi vesto, tešta, teašta, teš tesso, neš esco, aspeat aspetto, m'sett 'mi assetto' mi siedo, seaga sedia, sett septem, nēza neptia. Ma il De Gr. ha dimenticato i casi in cui l'e dittongasi (cfr. per l'accento, num. 1-2; I ẞ): mieghj meglio (all. a vecchj), tieñ tengo e vieñ vengo, criežia eccl., mieź mezzo (all. al fem. méaźa mēża); anieu anello, ozieu uccello, pl. ozići, purzieu porc., v'rieu vitello (ma carveau cerv.), pariēḍa padella, li buriēḍi le budella (ma pedḍ pelle), tu ziérchi, tu t'viěšti, tieši, nieši, diet piet tiet, lecto- ecc., aspiétti, piećću pectine-, oltre siti di posizione tramontata. 9. Altri es.: naint, saint, vaint, ćaint (ma ċent' ieñ cento anni), gaint, arģaint, daint, ćuvain piovendo ecc., taimp, saimp'r, štaimb'r sett., e, coll'i assorbito, mānula, cioè 'mainn- maind- mend-' = sicil. mennula,

1 In nota al num. 7 si registra da De Gr. come nicosiano da dedit. Ma si tratta veramente di un "davit, del perf. cioè di 'dare', foggiato sul tipo sicil, della 1 conjug.

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