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- come provammo addietro con testimonianze importantissime sdegnarono di accoglierla nel loro Olimpo.

Infatti non è forse palese a sufficienza che, quasi mai, le composizioni di Palestrina riuscirono ad indirizzare un intiero periodo di storia musicale? Forse appena oggi si comincia a comprendere l'importanza di essa rispetto alle vere tradizioni dell'arte italiana, schiava fino a ieri, o della scolastica pedante o del vuoto formulismo empirico.

Nè può considerarsi esiziale l'azione esercitata dall'arte del Palestrina verso le tradizioni gregoriane, se si considera che quella trae origine intieramente da queste e che pure là dove il maestro romano si è affidato totalmente alla sua fantasia, l'ispirazione fu sempre nobile, dignitosa, elevata, assorgendo anzi talvolta alle sfere più sublimi dell'ideale.

Giova notare essere bensì esatto che Palestrina si sia servito di temi profani per comporre musica sacra, come è avvenuto per la Messa Sine nomine» a 4 voci; ma ciò prima della sua completa evoluzione verso il fondamento liturgico delle melodie gregoriane, che in omaggio ai Decreti del Concilio di Trento, Palestrina volle poscia ritenere a base dell'arte sua immortale. Al quale proposito, come abbiamo già detto, scrisse benissimo il padre Janssens : << Per quanto bella sia la musica del grande Pierluigi, si può dire ch'essa sarebbe più bella ancora se la lingua ne fosse più pura. Con tuttociò questo difetto - poichè ve n'ha uno non ha in se stesso le medesime conseguenze che in altri compositori moderni; perchè al tempo di Palestrina tutta l'arte musicale era appena uscita dal santuario e conservava fin nelle espansioni più frivole dell'amore umano un'eco delle volte del Tempio ».

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In questa chiara ed esplicita affermazione, i sofisti della critica e della storia potrebbero pretendere di rintracciare una contraddizione, inquantochè se la musica del tempo di Palestrina si considera da simile punto di vista, non è dunque affatto vero - essi direbbero — che prima del sommo maestro romano la musica sacra fosse caduta tanto in basso; mentre l'opera di Palestrina non potè minimamente influire per conseguenza a restaurare le proprietà liturgiche ed estetiche dell'arte.

Ma noi distinguiamo fra l'arte dei maestri eccelsi e le musiche

triviali penetrate nella chiesa per circostanze affatto estrinseche e che nulla hanno a vedere coll'arte pura. Infatti potranno forse appartenere alla storia dell'arte musicale sacra le aberrazioni pseudomusicali che da più di un secolo infestano le chiese d'Europa col falso appellativo di musica sacra? Tutt'al più, chi si proponesse di esaminare e studiare un tal periodo di tempo, potrebbe farlo semplicemente con criterî di indagini patologiche. E noi simile criterio useremmo pure, studiando le cause per le quali ai tempi che precedettero Palestrina, la musica sacra potè ridursi un'accozzaglia scandalosa di canzoni triviali ed oscene.

Se poi ci facciamo a considerare in Palestrina l'artista eminentemente cristiano, conquiso dalle idealità della liturgia cattolica; affascinato dalla ricchezza estetica delle forme musicali contrappuntistiche; dominato dalle bellezze melodiche del canto gregoriano, tosto ci si rivela il posto che a lui compete nella storia.

E noi abbiamo già detto quale! Non è un luogo comune, non è una frase fatta per Palestrina e le sue opere, l'immortalità! I secoli hanno travolto nell'oblio, nella oscurità, successi clamorosi, fame mondiali, opere che parevano destinate a non più perire; ma Palestrina il quale non godette forse mai di un vero trionfo e le sue composizioni rimangono tuttora al cospetto di più che tre secoli di storia, giganti, immutabili nella grandiosità della forma, nella profondità e sapienza della dottrina, nella sublimità dell'ispirazione.

Certo i secoli futuri si domanderanno se, come le melodie gregoriane, anche molte delle palestriniane, invece di essere emanazione di una sola mente, di un solo cuore, non siano state dettate per avventura da quei primi cristiani che, dominati, soggiogati dalle idealità della nuova fede, assorsero, in tutte le manifestazioni dell'arte, al più alto grado d'espressione.

Disse quindi giustamente il Busi che il genio di Palestrina, emancipatosi dalle aridità delle forme viete e convenzionali, si sollevò a sfere inesplorate, spiegandovi una potenza d'invenzione ammirabile. Egli seppe imprimere al proprio stile un carattere di dolcezza ad un tempo e di nobiltà, mediante il succedersi di armonie larghe, semplici, elette; mediante l'alternarsi di pensieri melodici elevati e grandiosi, che talvolta toccano il sublime. Il Palestrina, sotto questo aspetto, fu veramente iniziatore d'una salutare riforma nella musica

destinata al culto; egli fu novatore insuperato e fors'anche insuperabile. »

Una critica minuziosa e severa, nell'opera complessiva di Palestrina, potrebbe scorgere qualche sintomo di decadenza, specialmente nelle ultime composizioni di genere profano. Fu la preoccupazione di usare della monodia che trasse il grande maestro a tali risultati. Il virtuosismo andava insinuandosi ovunque.

Sulle altre parti, una di esse doveva prevalere con una melodia definita, chiara e facile. Questo stile il Palestrina usò di preferenza nei Madrigali. Ecco per conseguenza dove ed in qual modo la musica profana del grande maestro si scosta dalla musica sacra. Diamo qui un saggio, non senza notare come il Berlioz e parecchi altri abbiano sbagliato giudicando assolutamente composte in una stessa maniera le composizioni sacre e profane del Palestrina. Il primo tratto che riportiamo dal Madrigale a 5 voci Soave fia il morir» è appunto composto nello stile monodico. Il secondo esempio poi, lo togliamo dal Madrigale << Alla riva del Tebro ». Sono poche battute; ma bastano a dimostrare quanto siano oppugnabili alcune notizie storiche che attribuiscono a Monteverde l'introduzione della dissonanza di settima nella polifonia; mentre in pari tempo provano evidentemente come usando il Palestrina di simili processi armonici soltanto nella musica profana giacchè nella musica sacra sosteniamo che ben difficilmente accade di incontrarci in tali procedimenti volesse distinguere fra l'uno e l'altro genere.

sapesse e

Per maggior chiarezza riportiamo tutto il testo del Madrigale << Alla riva del Tebro» richiamando l'attenzione particolare del lettore sul modo con cui viene espresso il significato delle parole: della mia acerba e rea, ecc.

Alla riva del Tebro

Giovanetto vid'io, vago pastore,

Mandar tai voci fuore:

Saziati, o cruda Dea,

Della mia acerba e rea.....,

Ma dir non puote, morte,

Ch'el duol l'ancise. Ahi miserabil sorte!

Abbiamo anche segnato con una piccola croce i punti in cui alcuni accordi di settima di diverse specie si presentano in efficaci rivolti, con vaghe alterazioni, piene di colorito e di sentimento.

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Il nome e le opere del Palestrina, lo abbiamo già detto, offrirono pretesto alla critica facile ed ingenua, di ogni tempo e d'ogni nazione, di asserire cose senza dubbio molto discutibili. Si volle dapprima dimostrare che il genere diatonico usato di preferenza dal sommo compositore romano fu tutto un sistema dal quale egli non seppe emanciparsi perchè il cromatismo, a quel tempo, non si conosceva affatto. Invece sanno oramai tutti anche i mediocri cultori delle discipline letterario-musicali — quanto i compositori, perfino del secolo XV, abbiano composto usando delle più strane modulazioni cromatiche, mentre più sopra col brano tolto dal Madrigale « Alla riva del Tebro abbiamo provato come il genere cromatico sia stato usato dal Palestrina stesso nella musica profana.

Altri, non contenti di parlare di stile fugato e di canone, presentando le opere di Palestrina soltanto quali sapienti, ma fredde concezioni musicali, aggiunsero che la restaurazione del culto per tali opere non è che una conseguenza del così detto germanismo sull'arte italiana. Giudizio questo che tenderebbe persino a gettare il ridicolo sui pensieri ed i convincimenti più volte dimostrati da quei colossi dell'arte contemporanea che rispondono ai nomi di Verdi e di Wagner.

Poscia si è voluto provare che la esecuzione delle opere di Palestrina si rende oggi impossibile, non potendo contare sui famosi castrati che vanno scomparendo per fortuna nè sulle donne, a cui la Chiesa proibisce di prendere parte alle sacre cerimonie.

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