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Fil. In qual maniera?

Fulg. Interrógiamo coftei, per intendere ---Fil. Eh! via, non ci trattenghiamo di più; non afpettiamo che arrivi a Cafa il Padrone, col quale fi entrerebbe scioccamente in un impegno troppo ferio.

Fulg. Scufatemi; ma quefta volta voglio fare a modo mio. (corre alla Porta, é l'urta moderatamente.)

Beat. E quando la finite? Perchè avete l'indifcretezza di fpaventare una Donna?

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Fulg. Si, si, spaventare una Donna! E voi, Signorina mia, perchè avete la crudeltà di cavar gli occhi agli Uomini, che non ví danno moleftia alcuna?

Beat. Che mi dite voi di cavar gli occhi agli Uomini? Io non v'intendo, e non vi conofco. Bensi vi dico, che partiate tofto, e che ceffiate d'inquietarmi.

Fulg. (alquanto commoffo) Oh Dio! che voce! come mai mi penetra...

Fil. (lo prende per un braccio) Eh! andiamo via. Lafciate star quella Donna; e penfate a medicar il vostr occhio...

Fulg. Parmi di star meglio un pochino.

(in fretta, e tornando alla Porta)

Fil. (da fe) Non ho mai veduto un Uomo più ftravagante di questo.

Fulg. (alla porta) Dunque negar vorrete di non aver voi gettato un Pomo giù del Balcone, che m'ha colpito in un occhio....

Beat. Vi ripeto, che nulla io fo di Pomo; che i Balconi di questa Camera sono chiusi, inchiodati; e che io medefima fono ferrata a chiave in quefta Camera...

Fil. (come fopra) Orsù, avete inteso abbastanza. Sarà un qualche contrabbando del Padrone di Casa. Andiamo via.

Fulg.

t

Fulg. (tutte agitato) Aspettate, alpettate. (con tra fporto) Oh Dio! che voce! che bella voce!

Fil. (contraffacendo) Oh ftelle chè matto! chè gran bel matto!

Fulg. (alla porta, come fopra) E perchè mai il Pa drone vi tiene con tanto rigore?

Beat. Il Padrone? dovete dire, il Padre.

Fulg. (agitato, rivolto all'amico) Il Padre! Infelice; qui fi tratta di qualche compaffionevole cafo. Mi muove a pietà.

Fil. intenerito) Quafi, quafi, moverebbe me an cora; e giacchè avete incominciato, proseguite ad in terrogarla: mà fpicciamoci, prima che arrivi...

Fulg. - Sì, sì, dite bene. (torna alla porta) Signora, perdonate il mio fallo, ed anche l'indecente modo, col quale v'ho difturbata...

Beat. Non fo certamente chi fiate, nè come mai abbiate pótutó introdurvi in quefta Cafa. Tuttavolta se fiete un Uomo d'onoré, voglio credere che non senzą ragione avrete fatto lo ftrepito, che ho udito ancor io.

f

Fulg. Veramente non senza ragionevole motivo.. Mà lasciamo a parte ciò che riguarda me folo, ora che tutto m'occupa l'afpetto del voftro penofo ftato; e piaceffe pure al Cielo ch'io poteffi giovarvi... Ma ditemi, perchè rinchiufa? Perchè cosi maltratta del Padre? perchè il crudele, il barbaro...

Beat. Deh, ceffate dall'infultarlo; e fe bramate ch'io v'ascolti, e vi risponda, non parlate male d'un Padre, che amo teneramente, e da cui fono con pari tenerezza riamata...

Fulg. Mà il tenervi rinchiufa?--

Beat. Il tenermi rinchiusa, è un errore della fua mente, non del fuo core. Egli mi ama; e pretende

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di procacciarmi colla forza un bene, che per me faria una fventura, poich' io il difprezzo e l'abborro.

Fil. (a Fulg.) Voi dicevate: che voce! che voce! e io direi che sentimenti! che nobili fentimenti!

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Fulg. (a Fil. affannofo) Si, avete ragione; mà quella voce, quella voce... bafta; fentiamo, fentiamo. (torna alla porta). Non vorrei, che tratteneste nel parlar meco uno sfogo troppo dovuto alla vostra situazione, credendo ch'io foffi capace o di tradirvi, palefando i vostri detti, ọ d'indurvi a parlare, mentre qui foffe il Padre voftro. No, no, ftate ficura; egli non è prefente; è fuor di Cafa...

Beat. Non più, Signore, non più. Vi perdono il torto che mi fate, poichè non mi conofcete; mà arroffirei, fe mi fentiffi anche folo difpofta a parlar di mio Padre, quando è lontano, in modi diverfi da quelli che adoprerei lui prefente. No, no; l'animo mio può effere tormentato, ed afflitto; mà non potrà mai essere perverfo. Penferò, parlerò del mio Padre, de'’cafi miei, egualmente da me fola, che in faccia di tutto il mondo, fenza mai teinere d'effere rimproverata.

Fulg. (che ha dati frequenti fegni di forte commozione a Fil.) Come fi può refiftere à così dolci parole?

Fil. (commoffo anch'egli) Io mi maraviglio poco di voi, mà bensì molto di me. Interrogate, inter

rogate.

Fulg. Lodo, e ammiro, o Signora, il voftro faggio penfare; e fempre più fento crefcere in me la brama di prestarvi foccorfo, fe a tanto valer potrà l'opera mia, e quella d'un amico che qui meco vi ammira e compiange. Ciò che voi non chiedete, io fteffo voglio e debbo dirvi. Io fono il Conte Fulgentio Ventori Parmigiano: e l'altro è il Conte Filinto Rafchi, Parmi-

giano egli pure.

Siamo in Napoli da due giorni per alcuni nostri affari: mà diviene ora il nostro affar principale, quello di fervire voi fola.

Fil. (anch'egli alla porta) Signora, unifco alle pro melle dell' Amico le mie ancora; e v'accerto, che tutto faremo per trarvi presto d'affanno. Parlate libera

mente.

Beat. Vi ringrazio ambidue, che scoperto m'abbiate i voftri nomi, poichè così mi fi fa noto, a cui io sia debitrice della mia riconoscenza per le generose offerte, che m'avete fatte. Ora poi m'accingo a palefarvi io medefima liberamente e con ingenue parole la triftat mia fituazione. Io fono, fe nol fapete, la Contella Beatrice Anfelmi, unica figlia di Don Aftolfo, Padrone di questa Casa. Mio Padre m'ha fempre dati tutti i contraffegni d'affetto, ai quali ho fempre corrisposte colla maggiore docilità e tenerezza. Senza mia faputa, mi fceglie in ifpofo un certo Marchefe Tiberio Cruscati, Fiorentino, giovine, nobile, ricco, d'aspetto che può facilmente piacere, e pronto a ftabilirfi in Napoli, perch' io non debba allontanarmi troppo dal Padre. Mà, oh Dio! quella prima volto ch'egli mi vien presentato, concepifco per lui una invincibile antipatia. Il Padre me lo riconduce di nuovo. Allora tratto dispettofamente il Cavaliere, che parte fdegnato; e dichiaro al Padre, di non poter in modo alcuno fuperare la mia ripugnanza. Ciò accade appunto jerfera. Mio Padre pien di furore mi ha chiusa in questa Camera, colla minaccia di qui tenermi, fin ch'io in'induca ad ubbidire. Altro non posso dirvi, poichè altro non so. Pure fono preparata a qualunque fventura, piutosto che unirmi ad uno sposo abborrito.

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Fulg. (nel tempo di quefto difcorfo ha dati alternativamente indizj di sorpresa, di commozione affai rimarchevoli: refta attomito fenza parlare.)

Fil. (Cominoffo anch'egli, mà più moderatamente) Signora, fiete degna di tutta la noftra compaffione; e fi adopreremo l'amico, ed io, a ridur voftro Padre ad un, più fano partito.

Fulg. (fuori di fe, e fenza rifleffione) Ah! cara ed amabile Beatrice, perchè non pofl'io forzar quefta porta, rapirvi dalle mani---

Beat. Signore, che dite mai? In questa guisa infultate una Dama, prevalendovi della fua misera condizione? Forfe farete ambidue egualmerite difpofti a foccorermi; ma parmi di scorgere più saviezza e prudenza nell' Amico voftro. Però a lui folo mi racconando; mi allontano di quefta porta; nè credo, che, il mio decoro perinetta di far più parole con voi.

Fulg. (con maggior trafporto) No, adorata Beatrice, afcoltatemi per pietà... (accostandofi sempre alla porta.)

Fil. (prendendolo fortemente per un braccio, e fcostandolo) Eh! via, non fate altre pazzie; che ormai fono stanco. E un prodigio, che il Padrone di Casa non fia ancora venuto; ed è un' imprudenza il trattenerfi di più.

Fulg. (paffeggia furente; e il fazzoletto che già di tempo in tempo ha tenuto full' occhio, comincia a ftracciarlo con rabbia.) Fil. Ferinatevi, vi dico. Dove avete la tefta? o per dir meglio, dove avete il giudizio? Già udiste, che quella Donna ha fubito capito, che ne avete poco, ch'io ne ho più di voi.

Fulg. Perchè io fono inamorato, e voi no.

Fil. (con forprefa) Voi inamorato! Come? Di chi? Fulg. Come! come! come fi fa a innamorare. Di chi? Di quella -- -

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