Obrazy na stronie
PDF
ePub
[merged small][merged small][ocr errors]

I

Convito di Dante, benchè da Giovanni Villani («) e dal Boccaccio (b) esaltato con magnifiche lodi, è venuto alla posterità lacero e guasto per guisa, che in si deplorata condizione non si trova forse alcun libro d'antico scrittore. La cagione di che non è già da attribuirsi all'essergli stato troppo tardi conceduto l'onore della stampa, poichè anzi esso fu dato in luce dal Bonaccorsi nel 1490, e vale a dire diciotto anni solamente dopo la Divina Commedia, la cui prima edizione, della quale i bibliografi conoscano con certezza la data, è del 1472. Ma vuolsi pensare che Dante, rivoltosi con tutto l'animo al gran Poema, lasciasse non solamente imperfetta quest'opera, come diremo più avanti, ma nè pure si curasse di ripulire il manoscritto di quella parte di essa che avea terminata. Il perchè tra pel cattivo stato della scrittura, con molte cancellature, con vocaboli più accennati che finiti, o scritti nel calore del pensiero diversamente da quello che debbono essere, con aggiunte e correzioni incastrate qua e là come davano agio gli spazii voti della carta, e per l'arduità del subiętto

(a) Lib. 9. Cap. 134. (b) Vita di Dante.

Vol. I.

pa

trattato con parole ed espressioni tutte fuori del modo volgare, doveva naturalmente avvenire che colui a cui fosse dato l'incarico di trarne la copia, se non era uomo di non ordinaria capacità, ne componesse un mostro. Tale, secondo ogni apparenza, è stata la sventura di questo libro. Ed è forza di confessare che tutti i codici che di esso sussistono sieno derivati, come da infetta sorgente, da un primo informe esemplare tratto dalle carte postume dell'Autore. Chè altrimenti, se le copie ne fossero girate mentr'egli vivea, dovrebbe anche al presente ritrovarsene alcuna di lezione, se non in tutto sicura, almeno nella più parte ragionevole, come trovansi a penna ed a stami buoni testi della Commedia e delle altre sue cose. Nè poi era possibile che Dante avesse lasciato correre per le mani degli uomini quest' opera così storpiata, essendo si tenero de' suoi lavori, che al fabbro ed all'asinajo che gli sconciavano i versi fece quel mal complimento, di cui parlano Franco Sacchetti (a) e Leonardo Bruno Aretino (b). Certo ch'ei non l'avrebbe risparmiato a' suoi copiatori. Ma di costoro non è a stupire che le si ree cose facessero dire al divino Alighieri. Gente eran essi educata, prima dell' invenzione della stampa, alla materiale fatica del trascrivere l'opere altrui; come il sono oggidì a quella di accozzare caratteri di piombo i così detti compositori delle nostre tipografie. Onde se tanti svarioni s'incontrano ne'manoscritti pure delle Cronache, delle Novelle, delle Leggende compilate a bella posta per

(a) Nov. 114. 115. (b) Vita di Dante.

l'intelligenza d'uomini idioti, come non dovea cangiar forma nelle mani di coloro che non avevano spesso salutate altre scuole che quelle dell'alfabeto, nè sapevano di Gramatica, nè di Latino, un libro destinato dal suo Autore a contenere i tesori della Filosofia, e dettato con elocuzione modellata sulle regole della Gramatica latina, e con linguaggio nobilissimo vaporato dell'alto stile de' latini scrittori? Che poi i primi editori così lo mandassero alle stampe come lo trovarono in qualche codice de' meno cattivi, nè qui ancora è da far meraviglia. Ma grande bensì debb'essere la nostra ammirazione sul chiarissimo Biscioni, chè, riproducendo il Convito nel 1723 in Firenze (a), non ne abbia data una lezione gran fatto migliore dell'altre, accontentandosi di dirne che vi rimanevano alcuni luoghi alquanto al suo parere oscuretti (b). E l'ammirazione convien crescere all'infinito sopra tutti quegli eruditi che, come le pecorelle, gli uni facendo quello che gli altri facevano, stettero contenti a quanto il Biscioni aveva pubblicato, come se fosse il vero testo dell'Autore. Nel che è da dire che mai non si dessero pensiero di mettere in consulta col buon giudizio quello che leggevano, e di provare se lor veniva fatto d'intenderlo. Nè poi Dante era uomo (a voler considerare ogni cosa) che ad ogni passo sospinto potesse cadere in errori d'ogni fatta, e spesso ridicolissimi. Con quegli eruditi vanno

(a) Prose di Dante Alighieri e di messer Giovanni Boccacci. Per Giovanni Gaetano Tartini e Santi Franchi. (b) Pref. pag. XXXIX.

pa

a schiera gli Accademici della Crusca, che della stamdel Biscioni si servirono per l'ultima edizione del Vocabolario, in luogo di quella del Sessa, di cui si erano prevaluti gli antecedenti compilatori. Quel testo quindi prese posto di lezione volgata, e fu più volte ristampato nel secolo scorso: qual fede esso meriti il vedranno i lettori nelle note che si trovano ad ogni pagina della nostra edizione.

Ben è il vero che monsig. Dionisi, ammiratore di Dante caldissimo oltre ogni termine, accortosi che alcune lezioni del Convito non reggevano col buon discorso, erasi provato di sanarle ne' suoi Aneddoti. Ma quegli Aneddoti furono trascurati, perchè il Dionisi avea cert' aria di stravaganza nelle sue cose e nelle sue opinioni, che allontanava da lui gli animi poco pazienti de' letterati. Questi però furono meglio assennati sulla fede che si meritano i testi degli antichi scrittori, da che l'insigne Perticari ne rivelò molte piaghe nell' aureo suo Trattato degli scrittori del Trecento. Ed appunto dal Convito ei prese molti esempii di scorrezioni, siccome da quell'opera che il Salviati stesso diceva la più antica e la principale di tutte le illustri prose italiane; e mostrò come poteano rimediarsi, quando non si fossero poste in biasimevole dimenticanza le sane ed acute discipline dell'arte critica.

E certamente quest'arte, ch'è la sola fiaccola per rimettere nella nativa bontà le opere de' Classici, quando chiaramente essa vedesi smarrita per la supina ignoranza de' copisti e degli editori; quest' arte, di cui i Poliziani, i Vittorii, i Beroaldi, gli Heine,

« PoprzedniaDalej »