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TRATTATO SECONDO

Voi, che, intendendo, il terzo ciel movete,
Udite il ragionar ch'è nel mio core,
Ch'io nol so dire altrui, si mi par novo:
Il ciel, che segue lo vostro valore,
Gentili creature che voi sete,

Mi tragge nello stato ov'io mi trovo;
Onde 'l parlar della vita, ch'io provo,
Par che si drizzi degnamente a vui:
Però vi priego che lo (1) m'intendiate.
Io vi dirò del cor la novitate,
Come l'anima trista piange in lui;
E come un spirto contra lei favella,
Che vien pe' raggi della vostra stella.
Suolea esser vita dello cor dolente
Un soave pensier, che se ne gia
Molte fiate a' piè del vostro Sire;
Ove una donna glorïar vedía,
Di cui parlava a me sì dolcemente,
Che l'anima dicea: i'men vo' gire.
Or apparisce chi lo fa fuggire;
E signoreggia me di tal vertute,
Che'l cor ne trema sì, che fuori appare.
Questi mi face una donna guardare;
E dice: chi veder vuol la salute,
Faccia che gli occhi d'esta donna miri,
S'egli (2) non teme angoscia di sospiri.

(1) che voi m' intendiate, cod. Trivulz. 5.

(2) Così l'ediz. veneta del 1518, per Guilielmo de Monfer rato, in 8.° picc.: il cod. Gadd. 3 S'elli; gli altri testi mss. stampati Sed e' non teme ecc.

Trova contraro (1) tal, che lo distrugge,
L'umil pensiero (2) che parlar mi suole
D'un'Angiola che 'n cielo è coronata.
L'anima piange, sì ancor len duole,
E dice: oh lassa me, come si fugge
Questo pietoso che m'ha consolata!
Degli occhi miei dice questa affannata:
Qual ora fu, che tal donna gli vide?
E perchè non credeano a me di lei?
Io dicea: ben negli occhi di costei
De' star colui che li miei pari uccide;
E non mi valse, ch'io ne fossi accorta,
Che non mirasser tal, ch'io ne son morta.
Tu non se' morta, ma se' ismarrita (3),
Anima nostra, che sì ti lamenti,
Dice uno spiritel d'amor gentile;
Chè questa (4) bella donna, che tu senti,
Ha trasformata (5) in tanto la tua vita,
Che n'hai paura, sì se' fatta vile.
Mira quanto ella è pietosa ed umile,
Saggia e cortese nella sua grandezza;
E pensa di chiamarla donna omai:
Chè, se tu non t'inganni, tu vedrai
Di si alti miracoli adornezza,
Che tu dirai: Amor, signor verace,
Ecco l'ancella tua; fa che ti piace.

(1) contrario, codici Trivulz. 1, 2, 6, e l'ediz. per Guilielmo di Monferrato, ed il cod. Gadd. 134.

(2) Così i codici Trivulz. 1, 2, 6, 7, ed il Gadd. 135 primo. Altri leggono pensero.

(3) sbigottita leggono tutti i codici Trivulziani, tranne il 2. (4) I codici Trivulz. 1, 3, 7 ed alcune stampe hanno questa. Il Biscioni legge quella.

(5) Altri legge trasmutata.

Canzone, io credo che saranno radi
Color che tua ragione intendan bene,
Tanto (1) lor parli faticosa e forte:
Onde se per ventura egli addiviene
Che tu dinanzi da persone vadi,
Che non ti pajan d'essa (2) bene accorte;
Allor ti priego che ti riconforte,
Dicendo lor, diletta mia novella (3):
Ponete mente almen com'io son bella. (4)

(1) Il cod. Vat. Urb.: Tanto la parli ecc.

(2) Il cod. Trivulz. 2 d'esser bene; il di te bene ecc.

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(3) diletta mia novella. Parole d'affetto dirette alla Canzone, quasi dicesse: diletta mia Canzone, novellamente, ultimamente composta.

(4) Il Tasso notò alcune parole e frasi di questa Canzone, quali sono nel v. 11 anima, v. 12 spirto, v. 16 vostro Sire, v. 20 fa fuggire, v. 21 signoreggia me di tal viriute, v. 28 che 'n cielo è coronata, v. 41 spiritel d'amor gentile, v. 54 faticosa e forte.

CAPITOLO I.

Poichè, proemialmente ragionando, me ministro, (1) lo mio pane per lo precedente Trattato è con sufficienza preparato, lo tempo chiama e domanda la mia nave uscire di porto: per che dirizzato l'artimone della ragione all'òra (2) del mio desiderio, entro in pelago con isperanza di dolce cammino, e di salutevole porto e laudabile nella fine della mia cena. Ma perocchè più profittabile sia questo mio cibo, prima che venga la prima vivanda voglio mostrare come mangiare si dee. Dico che, siccome nel primo Capitolo è narrato (3), questa sposizione conviene essere litterale e allegorica. E a ciò dare ad intendere si vuole sapere (4) che le scritture si possono intendere e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi. L'uno si chiama litterale. (5) e questo è quello che si

(1) Questo passo nelle stampe giace così: me ministro, e lo mio pane, lo precedente trattato è con sufficienza preparato; ne trovasi in miglior condizione ne' codici. Abbiamo quindi levato l'e copulativa viziosamente intrusa innanzi a lo mio pane, e supplita la preposizione per mancante a lo precedente trattato. Con ciò si è rettificata la scorretta lezione.

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(3) nel primo Capitolo è allegato, le prime ediz. ed il cod. Gadd. 134.

(4) Il Tasso segnò con una postilla in margine ed interlineò qua e là la distinzione e le dichiarazioni che l'Autore qui porge dei quattro sensi, litterale, allegorico, morale, anagogico.

(5) La laguna qui è sì grande, che fu avvertita anche dal Biscioni. Noi crediamo che possa supplirsi nel modo che segue: «L'uno si chiama litterale: e questo è quello in cui le » parole non escono del senso proprio rigoroso. Il secondo si » chiama allegorico e questo è quello che ecc. ecc. » Oltre però il mancare la dichiarazione del senso litterale, e l'unirsi malamente in tutti i testi il principio della susseguente clausola al capo non suo, sembra che manchi anche l'esempio del

nasconde sotto il manto di queste favole, ed è una verità ascosa sotto bella menzogna; siccome quando dice Ovidio, che Orfeo facea colla cetera mansuete le fiere, gli alberi e le piante a sè muovere: che vuol dire, che 'l savio uomo collo stromento della sua voce facea mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e facea muovere alla sua volontà coloro che non (1) hanno vita di scienza ed arte; e coloro che non hanno vita di scienza ragionevole alcuna (2), sono quasi come pietre. E perchè questo nascondimento fosse trovato per li savii, nel penultimo Trattato si mostrerà. Veramente li Teologi questo senso prendono altrimenti, che li poeti; ma perocchè mia intenzione è qui lo modo delli poeti seguitare, prenderò il senso allegorico secondo che per li poeti è usato. Il terzo senso si chiama morale: e questo è quello che li lettori deono intentamente andare appostando per le scritture, a utilità di loro e di loro discenti: siccome appostare si può nel Vangelio, quando Cristo salio lo monte per trasfigurarsi, che, delli dodici Apostoli, ne (3) menò seco li tre; in che moralmente si può intendere, che alle secretissime cose noi dovemo avere poca compagnia. Lo quarto senso si chiama ana

senso litterale suddetto, il quale dovrebb'esservi come negli altri. V. il SAGGIO, pag. 57.

(1) E indubitato doversi aggiungere questo non: altrimenti qual maraviglia che Orfeo facesse muovere coloro che già avevano e scienza ed arte?

(2) L'ediz. Biscioni legge in questo luogo: e coloro che non hanno vita ragionevole, alcuni sono quasi come ecc. Le altre ediz. e molti codici portano e coloro che non hanno vita di scienza ragionevole, alcuni ecc. Nel SAGGIO, pag. 113, si è già toccata la necessità di correggere alcuni in alcuna: la vera lezione ci venne poi somministrata dal cod. Gadd. 3. vita di scienza ragionevole legge anche il cod. Vat. Urb.

(3) Il ne manca nell'ediz. pr., nel cod. Barberino, nel Gadd. 134, 135 secondo, e nel 3. Quest'ultimo legge delli dodici Apostoli menò seco tre.

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