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me dice il testo, quando dice: E sua persona acconcia (1). E questo acconcia è verbo, e non nome (2). Ov'è da sapere che anche è necessaria (3) quest'opera alla nostra buona vita, chè la nostra anima conviene gran parte delle sue operazioni operare con organo corporale e allora opera bene, che 'l corpo è bene per le sue parti ordinato e disposto. E quando egli è bene ordinato e disposto, allora è bello per tutto e per le parti; chè l'ordine debito delle nostre membra rende un piacere, non so di che armonia mirabile: e la buona disposizione, cioè la sanità, getta sopra quelle uno colore dolce a riguardare. E così dicere che la nobile natura lo suo corpo abbellisca, e faccia compto e accorto, non è altro dire, se non che l'acconcia a perfezione d'ordine: e queste (4) altre cose, che ragionate sono, appare essere necessarie all'adolescenza, le quali la nobile anima, cioè la nobile natura ad essa primamente intende (5), siccome cosa che, come detto è, dalla Divina provvedenzia è seminata.

(1) In ambidue questi luoghi tutti i mss. e le stampe hanno adorna in vece di acconcia; ma perchè poi tutti concordemente nella Canzone, st. 7. v. 7, leggono acconcia, noi abbiamo creduto che anche qui si dovesse così stampare, per mettere d'accordo il comento col testo. Leggi poi quello che segue, e vedrai che qui tanto può stare acconcia, quanto adorna. Rispetto alla Canzone il dire adorna nel verso di cui ora si tratta, sarebbe stato ripetere una voce di già messa al principio della stanza; ragione per la quale forse Dante volle cangiar la, ma non ricordossi di fare altrettanto qui nel comento.

(2) Abbiamo qui espunto quello che seguita in tutti i testi, ed è glossema: verbo, dico, indicativo del tempo presente in terza persona.

(3) Così colle pr. ediz., coi codici Marc. e coi Gadd. 134, 135 primo. L'ediz. Biscioni: necessario.

(4) e con altre cose leggono con evidente guasto tutti i codici e tutte le stampe.

(5) intende, cioè somministra, o simile.

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CAPITOLO XXVI.

Poichè sopra la prima particola di questa parte, che mostra quello per che potemo conoscere l'uomo nobile alli segni apparenti, è ragionato; da procedere è alla seconda parte, la quale comincia: In giovanezza temperata e forte. Dice adunque, che siccome la nobile natura in adolescenza ubbidiente, soave e vergognosa, adornatrice della sua persona si mostra, e così nella gioventute si fa temperata, forte ed amorosa, e cortese e leale: le quali cinque cose pajono e sono necessarie alla nostra perfezione, in quanto avemo rispetto a noi medesimi. E intorno di ciò si vuole sapere che ciò che tutta quanta la nobile natura prepara nella prima etade è apparecchiato e ordinato per provvedimento di natura universale, che ordina la particulare alla sua perfezione. Questa perfezione nostra si può doppiamente considerare. Puotesi considerare secondochè ha rispetto a noi medesimi: e questa nella nostra gioventute si dee avere, che è colmo della nostra vita. Puotesi considerare secondochè ha rispetto ad altri: e perocchè prima conviene essere perfetto, e poi la sua perfezione comunicare ad altri, conviensi questa secondaria perfezione avere appresso questa etade, cioè nella senettute, siccome di sotto si dirà. Qui adunque è da ridurre (1) a mente quello che di sopra nel ventiduesimo Capitolo di questo Trattato si ragiona dello appetito, che in noi dal nostro principio nasce. Questo appetito mai altro non fa, che cacciare e fuggire: e qualunque ora esso caccia quello che è da cacciare (2), e quanto si conviene, e fugge quello che è da

(1) riducere, P. E., cod. Gadd. 134 e Vat. Urb.

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(2) Le due clansule da cacciare, e da fuggire, emancano in tutti i testi. V. il SAGGIO, pag. 80.

fuggire, e quanto si conviene, l'uomo è nelli termini della sua perfezione. Veramente questo appetito conviene essere cavalcato dalla ragione; chè siccome uno sciolto cavallo, quanto ch'ello sia di natura nobile, per sè sanza il buono cavalcatore bene non si conduce, e così questo appetito, che irascibile e concupiscibile si chiama, quanto ch'ello sia nobile, alla ragione ubbidire conviene; la quale guida quello con freno e con isproni; come buono cavaliere lo freno usa, quando elli caccia; e chiamasi quello freno temperanza, la quale mostra lo termine infino al quale è da cacciare: lo sprone usa, quando fugge per lo tornare al loco onde fuggir vuole; e questo sprone si chiama fortezza, ovvero magnanimità, la qual vertute mostra lo loco ove è da fermarsi e da pungere (1). E così infrenato mostra Virgilio, lo maggior nostro poeta, che fosse Enea nella parte dell' Eneida ove questa età si figura, la quale parte comprende il quarto e 'l quinto e 'l sesto libro dell' Eneida. E quanto raffrenare fu quello, (2) quando avendo ricevuto da Dido tanto di (3) piacere, quanto di sotto nel settimo Trattato si dirà, e usando con essa tanto di dilettazione, elli si partì, per seguire onesta e laudabile via e fruttuosa, come nel quarto dell' Eneida è scritto! Quanto spronare fu quello, quando esso Enea sostenne (4) solo con Sibilla a entrare nello Inferno a cercare dell'anima del suo padre Anchise contro a

(1) pungere, così con buona lezione le pr. ediz. Il Biscioni: pugnare. I codici Marciani hanno pungare, evidente corruzione di

pungere.

(2) Tutti i testi leggono che quando. Omettiamo il che, il quale turba la costruzione; e si osservi che Dante nel susseguente periodo, che seguita l'andamento di questo, non ne fa uso, scrivendo: Quanto spronare fu quello, quando ecc.

(3) tanto di piacere, i codici Gadd. 134 e 135 secondo. Il Biscioni legge tanto piacere.

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(4) sostenne, il cod. Gadd. 135 secondo e le pr. ediz. Il Bi

scioni: sostenette.

tanti pericoli, come nel sesto della detta storia (1) si dimostra! Per che appare che nella nostra gioventute essere a nostra perfezione ne convegna temperati e forti: e questo fa e dimostra la buona natura, siccome il testo dice espressamente (2). Ancora è a questa età (3) e a sua perfezione necessario d'essere amorosa; perocchè ad essa si conviene guardare di retro e dinanzi, siccome cosa che è nel meridionale cerchio. Conviensi amare li suoi maggiori, dalli quali ha ricevuto ed essere e nutrimento e dottrina, sicchè esso non paja ingrato. Conviensi amare li suoi minori, acciocchè amando quelli dia loro delli suoi beneficii, per li quali poi nella minore prosperità esso sia da loro sostenuto e onorato. E questo amore mostra che avesse Enea il nomato poeta nel quinto libro sopraddetto, quando lasciò li vecchi Trojani in Sicilia raccomandati ad Aceste, e partilli (4) dalle fatiche; e quando ammaestrò in questo luogo Ascanio suo figliuolo con gli altri adolescentuli armeggiando: per che appare a questa età essere amore necessario, come il testo dice. Ancora è necessario a questa età essere cortese, chè, avvegnachè a ciascuna età sia bello l'essere di cortesi costumi, a questa (5) massimamente è necessario, perocchè nel contrario nulla puote avere la senettute per la gravezza sua e per la severità, che a lei si richiede: e così lo

(1) È da fare osservazione che Dante chiama storia il poema di Virgilio, e così chiamò quello di Stazio; siccome ancora i volgari chiamano storia i poemi del Meschino e de' Reali. Onde non è da far meraviglia, come fa il Ginguené, che il Villani nelle sue Storie parlando degli storici da lui letti vi ponga Lucano e Virgilio. PERTIGARI.

(2) Così il cod. Vat. Urb., Barb., Gadd. 135 primo e secondo. Il Biscioni: ispressamente.

(3) Così le antiche edizioni. Il Biscioni: Ancora è questa età a sua perfezione.

(4) rimosseli, P. E.

(5) è massimamente necessario, cod. Gadd. 134 e P. E.

senio maggiormente. E questa cortesia mostra che avesse Enea questo altissimo poeta nel sesto sopraddetto, quando dice che Enea rege per onorare lo corpo di Miseno (1) morto, ch'era stato trombatore d'Ettore e poi s'era accompagnato (2) a lui, s' accinse e prese la scure ad ajutare tagliare le legne per lo fuoco che dovea ardere il corpo morto, com'era di loro costume: per che bene appare questa essere necessaria alla gioventute; e però la nobile anima in quello la dimostra, come detto è. Ancora è necessario a questa età essere leale. Lealtà è seguire e mettere in opera quello che le leggi dicono; e ciò massimamente si conviene al giovane: perocchè lo adolescente, com'è detto, per minoranza d'etade lievemente merita perdono; il vecchio per più sperienzia dee essere giusto, e non seguitatore (3) di legge se non in quanto il suo diritto giudicio la legge è quasi tutt'uno, e quasi sanza legge alcuna dee (4) sua giusta mente seguitare; che non può fare lo giovane; e basti che esso seguiti la legge, e in

(1) Miseno, cod. primo Marc., Vat. Urb. e Gadd. 134. Il Biscioni: Misene.

(2) Tutti i testi leggono raccomandato. Ma bisognerebbe supporre che Dante avesse mal inteso Virgilio, il quale canta chiaramente (En. 6. 166):

Hectoris hic magni fuerat comes, Hectora circum
Et lituo pugnas insignis obibat et hasta.

Postquam illum vita victor spoliavit Achilles,
Dardanio Æneæ se se fortissimus heros

Addiderat socium.

(3) Tutti i testi erroneamente leggono seminatore. V. il SacGIO, pag. 154.

(4) Tutte le stampe ed i codici (tranne il secondo Marciano, il quale porta: dee questa mente seguitare) hanno: dee giustamente seguitare. L'emendazione da noi fatta ci viene suggerita da quello che Dante dice prima: dee essere giusto ecc.... se non in quanto il suo diritto giudicio ecc.

Vol. I.

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