Obrazy na stronie
PDF
ePub

tico è tanto, quanto operativo), l'uno e (1) l'altro dilettosissimo; avvegnachè quello del contemplare sia più, siccome di sopra è narrato. Quello del pratico si è operare per noi vertuosamente, cioè onestamente, con prudenzia, con temperanza, con fortezza e con giustizia; quello dello speculativo si è, non operare per noi, ma considerare l'opere di Dio e della Natura: e questo (2) uso e quell'altro è nostra beatitudine e somma felicità, siccome veder si può: la quale è la dolcezza del soprannotato seme, siccome omai manifestamente appare, alla quale molte volte cotal seme non perviene per mal essere coltivato, e per esser disviata la sua pullulazione, e similemente può esser per molta (3) corruzione occulta; chè là dove questo seme dal principio cade, non si puote inducere del suo processo sin che

(1) La volgata lezione è: l'uno è dell'altro dilettissimo. Ma la nostra correzione ha per base la proposizione che Dante ha stabilita di sopra: l'uso del nostro animo è massimamente dilettoso a noi, quello è nostra felicità ecc. V. il SAGGIO, pagina 150.

(2) I codici e le stampe hanno e questo è uno, e quell' altro è nostra beatitudine. Guasta lezione, che potrebbe anche emendarsi : e quest'uno e quell'altro ecc.; e dovrebbesi intendere e l'uno e l'altro.

(3) Questo passo leggesi alterato nelle stampe e quasi in tutti i codici. Essi hanno per molta corruzione, e coltura; che là dove questo seme dal principio non cade, si puote inducere del suo processo; sicchè perviene ecc. E primieramente l'aggiunto molta non può convenire egualmente a corruzione ed a cultura, poichè la molta cultura, tutto al contrario della molta corruzione, è giovevole a far fruttificare il seme; poi è vizioso il non innanzi a cade, parlandosi qui del diverso processo del seme secondo la diversità del luogo ov'egli cade, chè dove non cade non vi può essere processo veruno; finalmente la conclusionale sicchè è manifesta corruzione dell' avverbiale sin che. Quanto al non di cui si è parlato, noi siamo d'opinione che sia stato dai copisti malamente traslocato; e, levandolo dal verbo cade, lo rimettiamo al suo posto innanzi a si puote. La

perviene a questo frutto. Ed è un modo quasi d'insetare l'altrui natura sopra diversa radice. È però nullo è che possa essere scusato; chè se di sua naturale radice uomo non acquista sementa, bene la può avere per via d'insetazione: così fossero tanti quelli di fatto (1) che s'insetassero, quanti sono quelli che dalla buona radice si lasciano disviare. Veramente di questi usi l'uno è più pieno di beatitudine, che l'altro; siccome è lo speculativo, il quale sanza mistura alcuna è uso della nostra nobilissima parte, e lo quale per lo radicale amore, che detto è, massimamente è amabile, siccome lo intelletto. E questa parte in questa vita perfettamente lo suo uso avere non può, il quale è vedere (2) Iddio (ch'è sommo intelligibile (3)), se non in quanto l'intelletto considera lui e mira lui per li suoi effetti. E che noi domandiamo questa beatitudine per somma, e non l'altra (cioè quella della vita attiva), n'ammaestra lo Evangelio di Marco, se bene quello volemo guardare. Dice Marco, che Maria Maddalena, e Maria Jacobi, e Maria Salome andarono per trovare il Salvatore al monimento, e quello non trovarono; ma

bella lezione per molta corruzione occulta ci viene somministrata dal cod. Gadd. 135 primo.

(1) Tutti i testi: di patto. Errata lezione.

(2) La comune lezione è il quale avere è Iddio. A rettificarla ne porge lume quel passo del Poema (Par. 28. 106), ove l'Autore parla de' Troni che stanno in contemplazione del divino aspetto, e dice:

» E déi saper che tutti hanno diletto,

>> Quanto la sua veduta si profonda
>> Nel Vero, in che si queta ogni intelletto.

>> Quinci si può veder come si fonda

» L'esser beato nell'atto che vede, ecc.

(3) Sommo intelligibile significa il sommo fra quegli esseri che si vedono (e vale a dire, si comprendono) solo coll' intelletto, non essendo sensibili; il più alto oggetto delle speculazioni dell'umano intelletto; quel Bene in cui ogni intelletto si acqueta.

trovarono un giovane vestito di bianco, che disse loro: "Voi domandate il Salvatore, e io vi dico che non è qui: e però non abbiate temenza; ma ite e dite alli discepoli suoi e a Pietro, che ello li precederà in » Galilea; e quivi lo vedrete, siccome vi disse.» Per queste tre donne si possono intendere le tre sette della vita attiva, cioè gli Epicurei, gli Stoici e li Peripatetici, che vanno al monimento, cioè al mondo presente, ch'è ricettacolo di corruttibili cose, e domandano il Salvatore, cioè la beatitudine, e non lo (1) trovano; ma uno giovane trovano in bianchi vestimenti, il quale, secondo la testimonianza di Matteo, ed anco (2) degli altri, era Angelo di Dio. E però Matteo disse: « L'Angelo di Dio discese del Cielo, e (3) vegnendo volse la pietra e sedea sopr'essa, e 'l suo aspetto era come fol» gore, e le sue vestimenta erano come neve. » Questo Angelo è questa nostra nobiltà che da Dio viene, come detto è, che nella nostra ragione parla, e dice a ciascuna di queste sette, cioè a qualunque va cercando beatitudine nella vita attiva, che non è qui; ma vada, e dicalo alli discepoli e a Pietro, cioè a coloro che'l vanno cercando, e a coloro che sono sviati, siccome Pietro che l'avea negato, che in Galilea li precederà; cioè che la beatitudine precederà noi in Galilea, cioè nella speculazione. Galilea è tanto a dire, quanto bianchezza. Bianchezza è un colore pieno di luce corpo

[ocr errors]

(1) non lo trovano legge ottimamente il cod. Vat. Urb., concordando il lo con Salvatore, che è la figura sopra di cui si gira tutto il discorso. Gli altri testi hanno la trovano, cioè la beatitudine, lezione che può sostenersi, ma che a nostro parere è da posporsi alla vaticana.

(2) ed anco degli altri, cod. Gadd. 134 secondo, e pr. edizioni. Il Biscioni: e degli altri, anche era ecc.

(3) L'e mancante nell' ediz. del Biscioni si supplisce coi codici Gadd. 134 e 135 primo, e col Vat. Urb. il quale in vece di del Cielo legge di Cielo, d'accordo col Gadd. 134.

rale, più che nullo altro; e così la contemplazione è più piena di luce spirituale, che altra cosa che quaggiù sia. E dice: « e' precederà ; » e non dice: «<e' sarà » con voi,» a dare ad intendere che alla (1) nostra contemplazione Dio sempre precede; nè mai lui giugnere potemo qui, il quale è nostra beatitudine somma. E dice: «quivi lo vedrete, siccome e'disse; » cioè: quivi avrete della sua dolcezza, cioè della felicitade, siccome a noi è promesso qui; cioè siccome stabilito è che voi aver possiate. E così appare che nostra beatitudine, e questa felicità di cui si parla, prima trovare potemo (2) imperfetta nella vita attiva, cioè nelle operazioni delle morali vertù, e poi (3) quasi perfetta nelle operazioni delle intellettuali (4); le quali due operazioni sono vie spedite e dirittissime a menare alla somma beatitudine, la quale qui non si puote avere, come appare per quello che detto è.

(1) Il cod. Vat. 4778 raddrizza l'errore di tutti gli altri testi i quali, leggendo quasi concordemente: la nostra contemplazione a Dio sempre precede, fanno dire a Dante il rovescio di quello ch'egli ha voluto esprimere, e che ha di già indicato colle parole dell' Evangelio.

(2) quasi imperfetta leggono tutti i testi. Ma Dante fa distinzione tra imperfetto e quasi perfetto; e dice che nella vita attiva trovasi felicità imperfetta, nella vita contemplativa felicità quasi perfetta; e colloca poi la somma e perfetta felicità nella visione di Dio, la quale non può aversi che nella vita

avvenire.

(3) H Biscioni legge d'accordo colle antiche stampe: e poi nella perfetta, quasi nelle operazioni.

(4) delle intellettuali virtù, P. E. delle intellettuali virtudi, cod. Vat. Urb. delle virtù intellettuali, cod. Vat. 4778.

CAPITOLO XXIII.

Poichè dimostrato è sufficientemente, e pare la difinizione di nobiltà (1), e quella per le sue parti, come possibil è stato, è dichiarata, sicchè veder si puote omai che è lo nobile uomo, da procedere pare alla parte del testo che comincia: L'anima, cui adorna esta bontate; nella quale si mostrano i segni, per li quali conoscere si può il nobile uomo, che detto è. E dividesi questa parte in due: nella prima s'afferma che questa nobiltà luce e risplende per tutta la vita del nobile manifestamente: nella seconda si mostra specificatamente nelli suoi splendori; e comincia questa seconda parte: Ubidente, soave e vergognosa. Intorno dalla. prima parte è da sapere che questo seme divino, di cui parlato è di sopra, nella nostra anima incontanente germoglia, mettendo e diversificando (2) per ciascuna potenzia dell'anima, secondo la esigenzia di quella. Germoglia adunque per la vegetativa, per la sensitiva e per la razionale; e disbrancasi (3) per le virtù di quelle tutte, dirizzando quelle tutte alle loro perfezioni, e in quelle sostenendosi sempre infino al punto che con quella parte della nostra anima, che mai non muore, all'altissimo e gloriosissimo. Seminante (4), al Cielo ri

(1) Cioè: appare, si mostra chiara la difinizione di nobiltà. (2) Tutti i testi versificando, lezione certamente scorretta. V. il SAGGIO, pag. 16.

(3) dibrancasi, P. E., codici Gadd. 134, 135 secondo, e Vat. Urb.

(4) I codici e le stampe tutte quante seminando. Sconcia lezione, per rifiutare la quale basta il riflettere che qui si allude al seme divino infuso nell' anima umana, di cui tanto si parla in questo e ne' due antecedenti Capitoli. L'altissimo e gloriosissimo Seminante è il Cielo, come qui subito si soggiunge;

« PoprzedniaDalej »