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assegno perchè dico che ciò non è per intendimento di più non rimare d'Amore, ma perocchè nella donna mia nuovi sembianti sono appariti, li quali m'hanno tolta materia di dire al presente d'Amore. Ov'è da sapere che non si dice qui gli atti di questa donna essere disdegnosi e fieri se non secondo l'apparenza ; siccome nel decimo Capitolo del precedente Trattato si può vedere; come altra volta dico che l'apparenza dalla (1) verità si discordava; e come ciò può essere, che una medesima cosa sia dolce e paja amara, ovvero sia chiara e paja scura, qui sufficientemente veder si può. Appresso quando dico: E poichè tempo mi par d'aspettare, dico, siccome detto è, questo, che trattare intendo. E qui non è da trapassare (2) con piè secco ciò (3) che si dice in tempo aspettare; imperocchè potentissima cagione è della mia mossa; ma da vedere è come ragionevolmente quel tempo in tutte nostre operazioni si dee attendere, e massimamente nel parlare. Il tempo, secondochè dice Aristotile nel quarto della Fisica, è numero di movimento, secondo prima e poi e numero di movimento celestiale, il quale dispone le cose di quaggiù diversamente a ricevere alcuna informazione; chè altrimenti è disposta la terra nel principio della primavera a ricevere in sè la informazione dell' erbe e de' fiori; e altrimenti lo verno; e altrimenti è disposta una stagione a ricevere lo seme, che un'altra. (4) E così la nostra mente, in quanto ella

(1) della verità, malamente tutti i testi.

(2) trapassare con piè secco, le pr. ediz., i codici Marc., il Vat. Urb., ed i Gadd. 134 e 135 secondo. L'ediz. del Bisc.: da trattare con secco piè. Nell'annotazione però è registrata come migliore la variante trapassare.

(3) La vulgata lezione è: secondo ciò. Tralasciamo, coi codici Triv. e Gadd. 134, quel secondo, da cui difficilmente può trarsi un senso lodevole.

(4) Luogo interlineato dal Tasso da queste parole: E così la nostra mente fino a tempo è da parlare, tempo è da tacere.

è fondata sopra la complessione del corpo che ha a seguitare la circulazione del cielo, altrimenti è disposta a un tempo, altrimenti a un altro; per che le parole, che sono quasi seme (1) d'operazione, si deono molto discretamente sostenere e lasciare, (2) perchè bene siano ricevute e fruttifere vengano; sì perchè dalla loro parte non sia difetto di sterilitade. E però il tempo è da provvedere, sì per colui che parla, come per colui che dee udire: chè se'l parlatore è mal disposto, più volte sono le sue parole dannose; e se l'uditore è mal disposto, mal sono quelle ricevute che buone sono. E però Salomone dice nell' Ecclesiaste (3): « Tempo è » da parlare, tempo è da tacere. » Il (4) perchè io sentendo in me turbata disposizione, per la cagione che detta è nel precedente Capitolo, a parlare d'Amore, parve a me che fosse d'aspettare tempo, il quale seco porta il fine d'ogni desiderio, ed appresenta (5), quasi come donatore, a coloro a cui non incresce d'aspettare. Onde dice santo Jacopo Apostolo nella sua Pistola al quinto capitolo: «Ecco lo agricola aspetta lo pre>> zioso frutto della terra, pazientemente sostenendo, >> infinochè riceva lo temporaneo e lo serotino. » Chè

(1) Ma se le mie parole esser den seme ecc. (V. Inf. C. 33. V. 7.) PERTICARI.

(2) Pare che innanzi a perchè abbiavi laguna di un sì. Di ciò ne fa dubitare il membro seguente, che comincia: si perchè dalla loro parte ecc.

(3) Tutti i testi hanno nell' Ecclesiastico; ma nè l'Ecclesiastico è di Salomone, nè trovasi in esso il passo qui citato, ch'è dell'Ecclesiaste, c. 3. v. 7. Vedi la citaz. in fine.

(4) Tutti i testi: E perchè io sentendo ecc.; e la costruzione rimane turbata da quell'E, che certissimamente venne per errore di qualche copista sostituito al legittimo ́ll.

(5) Il Biscioni: e qui rappresenta, quasi come ecc. Noi seguiamo la lezione migliore che ci viene somministrata dalle pr. ediz., dai codici Marc., dal Vat. Urb., e dai Gadd. 134 e 135 secondo.

tutte le nostre brighe, se bene venimo a cercare li loro principii, procedono quasi dal non conoscere l'uso del tempo. Dico, poichè d'aspettare mi pare, diporrò, cioè lascerò stare lo mio stile, cioè modo, soave, che d'Amore parlando è stato tenuto: e dico di dicere di quello valore, per lo quale uomo (1) gentile è veramente. E avvegnachè valore intender si possa per più modi, (2) qui si prende valore quasi potenzia di natura, ovvero bontà da quella data, siccome di sotto si vedrà: e prometto trattare di questa materia con rima sottile e aspra. Perchè saper si conviene che rima si può doppiamente considerare, cioè largamente e (3) strettamente. Strettamente (4), s'intende pur quella concordanza che nell'ultima e penultima sillaba far si suole: quando largamente, s'intende per tutto quello parlare che con (5) numeri e tempo regolato in rimate consonanze cade; e così qui in questo proemio prendere e inten

(1) Il cod. Barb. e il Vat. Urb.: uomo è gentile veracemente. (2) Il Tasso interlineò le parole: qui si prende valore quasi potenzia di natura, ovvero bontà.

il

(3) Da questa parola strettamente fino a conviene esser leno, passo è contrassegnato dal Tasso in margine; e sono interlineate le susseguenti parole: e dice sottile ecc..... e disputando procedono.

(4) Che qui debba leggersi Strettamente, e non Stretta, come legge con parola mozza il Biscioni, lo dimostrano le parole antecedenti: cioè largamente e strettamente. Onde siccome l'Autore comincia la seconda clausola della dichiarazione: quando largamente, s'intende ecc.; così è forza che qui si faccia strada alla prima, ripigliando la parola che n'è il tema: Strettamente, s'intende ecc. I codici Gadd. 135 primo e 135 secondo hanno Stretto s'intende; e Stretto non viene in forza di aggettivo, ma di avverbio per Strettamente. Avevamo nulladimeno preferita alla lezione dei Codici quella più sicura della Critica, prima ancora che il codice Vat. 4778 venisse a convalidare la nostra correzione.

(5) Così rettamente la prima edizione. la volgata.

che numeri legge

dere si vuole. E però dice aspra, quanto al suono del dettato che a tanta materia non conviene essere leno; e dice sottile, quanto alla sentenzia delle parole che sottilmente argomentando e disputando procedono. E soggiungo: Riprovando il giudicio falso e vile; ove si promette ancora di riprovare il giudicio della gente piena d'errore: falso, cioè rimosso dalla verità; e vile, cioè da viltà d'animo affermato e fortificato. Ed è da guardare a ciò, che in questo proemio prima si promette di trattare lo vero, e poi di riprovare il falso: e nel Trattato si fa l'opposito; chè prima si riprova il falso, e poi si tratta il vero; che pare non convenire alla promissione. E però è da sapere che tuttochè all'uno e all' altro s' intenda, al trattare lo vero s'intende principalmente: di riprovar lo falso s'intende in tanto (1), in quanto la verità meglio si fa apparire. E qui prima si promette lo trattare del vero, siccome principale intento, il quale agli animi degli uditori porta desiderio d'udire; che nel Trattato prima si riprova lo falso, acciocchè fugate (2) le male opinioni, la verità poi più liberamente sia ricevuta. E questo modo tenne il maestro della umana ragione, Aristotile, che sempre prima combatteo cogli avversarii della verità, e poi, quelli convinti (3), la verità mostrò. Ultimamente quando dico: E cominciando, chiamo quel signore, chiamo la verità che sia meco, la quale è quel signore che negli occhi, cioè nelle dimostrazioni della Filosofia dimora e ben è signore, chè a lei disposata l'anima è

(1) in tanto, in quanto, leggiamo col cod. Vat. Urb. La volgata lezione è intanto quanto ecc.

(2) fugate, il cod. Barb. Tutte le stampe: fuggite.

(3) quella congiunta, hanno tutte le stampe malamente. Il cod. Gadd. 134 ed il Vat. Urb. s'accostano alla vera lezione, portando: quella convinta. — quelli convinti ci siamo avvenuti a leggere nel Vat. 4778, dopo avere fermata questa correzione colla sola Critica.

donna, e altrimenti è serva fuori d'ogni libertà. E dice: Per ch'ella di sè stessa s'innamora, perocchè essa Filosofia, che è siccome detto è nel precedente Trattato amoroso uso di sapienzia, sè medesima riguarda quando apparisce la bellezza degli occhi suoi a lei. E che altro è a dire, se non che l'anima filosofante non solamente contempla essa verità, ma ancora contempla il suo contemplar medesimo e la bellezza di quella, rivolgendosi sovra sè stessa, e di sè stessa innamorando per la bellezza del primo suo guardare? E così termina ciò che proemialmente per tre membri porta il testo del presente Trattato.

CAPITOLO III.

Veduta la sentenzia del proemio, è da seguire il Trattato: e per meglio quello inostrare, partire si conviene per le sue parti principali, che sono tre; chè nella prima si tratta della nobiltà secondo opinioni d'altri : nella seconda si tratta di quella secondo la vera (1) opinione: nella terza si volge il parlare alla Canzone, ad alcuno adornamento di ciò che detto è. La seconda parte comincia: Dico ch'ogni virtù principalmente. La terza comincia: Contra gli erranti mia, tu te n'andrai. E appresso queste parti generali, altre divisioni fare si convengono a bene prendere lo 'ntelletto, che mostrare s'intende. Però nullo si maravigli se per molte divisioni si procede; conciossiacosachè grande e alta opera sia per le mani al presente, e dagli autori poco cercata; e che lungo convenga essere lo Trattato e sottile, nel quale per me ora s'entra, ad istrigare lo testo perfettamente, secondo la sentenzia, ch'esso

(1) vera hanno correttamente il cod. 134 Gadd., il Vat. Urh. e la pr. ediz. Il Biscioni: secondo la prima.

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