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CAPITOLO I.

Amore, secondo la concordevole sentenzia delli savii di lui ragionanti, e secondo quello che per isperienza continuamente vedemo, è che (1) congiugne e unisce l'amante colla persona amata; onde Pittagora dice: (2) « nell'amistà si fa uno di più » (3). E perocchè le cose congiunte comunicano naturalmente intra sè le loro qualità, intantochè talvolta è che l'una torna del tutto nella natura dell'altra, incontra che le passioni della persona amata entrano nella persona amante, sì che l'amor dell' una si comunica nell' altra, e così l'odio e 'l desiderio e ogni altra passione; per che gli amici dell'uno sono dall'altro amati, e li nemici odiati; per che in greco proverbio è detto: « Degli amici es>> ser deono tutte le cose comuni. » Onde io fatto amico di questa donna, di sopra nella verace sposizione nominata, cominciai ad amare e a odiare secondo l'amore e l'odio suo. Cominciai dunque ad amare li seguitatori della verità, e odiare li seguitatori dello errore e della falsità, com'ella face. Ma perocchè ciascuna cosa per sè è da amare, e nulla è da odiare, se non per sopravvenimento di malizia, ragionevole e onesto è, non le cose, ma le malizie delle cose odiare, e procurare da esse di partire. E a ciò se alcuna persona intende, la mia eccellentissima donna intende massimamente; a partire, dico, la malizia delle cose, la qual cagione è

(1) Così i codici Barb., Vat. Urb., Marc., Gadd. 134 e 135 secondo. Il Biscioni: è che giugne.

(2) Il Tasso ha contrassegnato questo luogo in margine da nell'amistà fino a in greco proverbio.

(3) Cioè: si fa uno di più uomini.

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di odio (1); perocchè in lei è tutta ragione, e in lei è fontalmente l'onestade. Io, lei seguitando nell' opera, siccome nella passione, quanto potea, gli errori della gente abbominava e dispregiava, non per infamia o vituperio degli erranti, ma degli errori; li quali, biasimando, credea fare dispiacere, e, dispiaciuti, partire da coloro che per essi eran da me odiati. Intra li quali errori, uno massimamente io riprendea, il quale, non solamente (2) dannoso e pericoloso a coloro che in esso stanno, ma eziandio agli altri che lui riprendono, parto da loro e danno. (3) Questo è l'errore dell' umana bontà, in quanto in noi è dalla natura seminata, e che nobilitade chiamar si dee; che per mala consuetudine e per poco intelletto era tanto fortificato (4), che l'opi

(1) Tutti i testi portano con orrenda lezione: la malizia delle cose, la qual cagione è di Dio. La correzione ci venne chiaramente indicata da quello che Dante premette: nulla cosa è da odiare, se non per soppravvenimento di malizia. V. il SAGGIO, pag. 132.

(2) I codici e le stampe hanno con turbata lezione: non solamente è dannoso.

(3) Dalle parole Questo è l'errore fino a chi mira quello che di ciò può seguitare sottilmente, il luogo è contrassegnato in margine dal Tasso. Egli ha poi interlineata la sentenza: «< per>> chè li buoni erano in villano dispetto tenuti, e li villani (così » l'ediz. del Sessa) e malvagi onorati. » E si osservi come ogni lettore sia naturalmente colpito da certe espressioni nelle quali s'incontra, e che potendosi riferire a qualche particolare sua circostanza, gli rimbombano sull'anima profondamente. Qui al grande ed infelice Torquato parve forse di ravvisare sè medesimo nella Corte di Ferrara posposto a quel Pigna ch'ei dipinse nella Gerusalemme sotto le sembianze di Alete, o a qualchedun altro di simil fatta; ed immediatamente la penna gli corse a notare quelle parole uscite del cuore di Dante non meno sdegnoso e bollente del suo.

(4) fortificata, tutti i codici e le stampe malamente; perocchè devesi intendere dell'errore fortificato per la consuetudine.

Vol. I.

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nione di tutti quasi n'era falsificata: e della (1) falsa opinione nasceano i falsi giudicii, e de' falsi giudicii nasceano le non giuste reverenzie, e vilipensioni; per che li buoni erano in villano dispetto tenuti, e li malvagi onorati ed esaltati. La qual cosa era pessima confusione del mondo; siccome veder può chi mira quello che di ciò può seguitare sottilmente. E (2), conciofossecosachè questa mia donna un poco li suoi dolci sembianti trasmutasse a me, massimamente in quelle parti ove io mirava e cercava se la prima materia degli elementi era da Dio intesa (3), per la qual cosa un poco

(1) della falsa, P. E. — dalla falsa, Bisc.; ma dopo legge : e de' falsi ecc.

(2) Tutti i testi leggono: E perchè conciofossecosachè ecc. Leviamo il perchè, il quale ne pare un soprappiù introdotto da qualche copista, e che forse era il marginale richiamo del luogo della Canzone a cui la spiegazione si riferisce. (V. st. 1. v. 5)

(3) Nel SAGGIO (pag. 87) abbiamo esposta la nostra opinione, che Dante abbia scritto: se la prima materia degli elementi era Dio intesa, toccando la dottrina dei filosofi della setta eleatica, e degli altri che sostennero l'eternità della materia ed il panteismo. Perocchè ne pareva che il cercare se Dio intenda la materia prima degli elementi, fosse tal dubbio da non poter cadere nella mente dell'Alighieri. Ora però ci nasce il sospetto, che facendo egli giocare in diversi significati il verbo Intendere, (V. in questo medesimo Trattato Cap. 5. verso la metà, e Cap. 25. in fine, ecc.) qui lo adoperi in senso di creare, e voglia dinotare una falsa opinione da lui avuta un tempo, che la prima materia degli elementi fosse increata. Di guisa che intesa significherebbe prodotta, o quasi diffusa, estesa, distribuita. Intendere per Diffondere, Estendere, Distribuire, e simili, adopera l'Autore, se mal non ci apponiamo, in que' versi del Purg. (C. 25. v. 59):

» La vertù ch'è dal cuor del generante,

>> Dove natura a tutte membra intende. Lasciamo quindi correre il testo secondo la volgata lezione benchè il non aver Dante altrove fatto parola di questo suo errore, ne toglie la speranza di uscire quando che sia del dubbio.

da frequentare lo suo aspetto mi sostenni (1), quasi nella sua assenza dimorando entrai a riguardar col pensiero il difetto umano intorno al detto errore. E per fuggire oziosità, che massimamente di questa donna è nemica, e per distinguere (2) questo errore che tanti amici le toglie, proposi di gridare alla gente che per mal cammino andavano (3), acciocchè per diritto calle si dirizzasse; e cominciai una Canzone, nel cui principio dissi: Le dolci rime d'Amor, ch'io solía; nella quale io intendo riducere la gente in diretta (4) via sopra la propia conoscenza della verace nobiltà; siccome per la conoscenza del suo testo, alla sposizione del quale ora s'intende, veder si potrà. E perocchè in questa Canzone s'intende (5) a rimedio così necessario, non era buono sotto alcuna figura parlare; ma cominciasi (6) per tostana via questa medicina, acciocchè tostana sia la sanitade, la quale corrotta a così laida morte

(1) Tutti i testi leggono: mi sostenne, quasi ecc. Ma l'intero contesto del discorso, massime il dirsi poco dopo entrai, dimostra che la comune lezione è errata. Il cod. Vat. Urb.

legge: dal frequentare.

(2) distinguere qui vuolsi intendere per mettere in chiaro, far vedere. Ma forse è da leggere per distruggere, ovvero, con più conformità a' letterali elementi del testo, per istinguere.

(3) Pare che o qui vada letto andava, o poche parole dopo dirizzassero in luogo di dirizzasse, onde questi due verbi, che si riferiscono allo stesso nome, si corrispondano.

(4) diritta, P. E. e codici Gadd. 134, 135 secondo.

(5) s'intese, P. E. e codici Gadd. 134, 135 primo, e 135 secondo.

(6) Le stampe ed i codici Marciani, Gaddiani, Barberino ecc. portano questo passo così alterato: ma conviensi per via tostana questa medicina, acciocchè fosse tostana la sanità; della quale corrotta, a così laida morte si correa. Onde nel SAGGIO, pag. 133, erasi da noi emendato: ma conveniasi per via tostana questa medicina, acciocchè fosse tostana la sanitade: la quale ecc. Ma finalmente essendone venuta sott'occhio la lez. del cod. Vat. 4778: ma cominciasi per tostana via

si correa. Non sarà dunque mestiere nella sposizione di costei alcuna allegoría aprire, ma solamente a (1) sentenzia, secondo la lettera, ragionare. Per mia donna intendo sempre quella che nella precedente Canzone è ragionata, cioè quella luce virtuosissima Filosofia, i cui raggi fanno i fiori rinfronzire e fruttificare la verace degli uomini nobiltà, della quale trattare la proposta Canzone pienamente intende.

CAPITOLO II.

Nel principio della impresa sposizione, per meglio dare a intendere la sentenzia della proposta Canzone, conviensi quella partire prima (2) in due parti; chè nella prima parte proemialmente si parla, nella seconda si seguita il Trattato; e comincia la seconda parte nel cominciamento del secondo verso, dove e' dice: Tale imperò che gentilezza volse. La prima parte ancora in tre membri si può comprendere. Nel primo si dice perchè dal parlare usato mi parto: nel secondo dice quello che è di mia intenzione a trattare: nel terzo domando ajutorio (3) a quella cosa che più ajutare mi può, cioè alla verità. Il secondo membro comincia: E poichè tempo mi par d'aspettare. Il terzo comincia: E cominciando, chiamo quel signore. Dico adunque che a me conviene lasciare le dolci rime d'Amore, le quali soleano cercare i miei pensieri: e la cagione

questa medicina, acciocchè tostana sia la santà, la quale così corrotta a così laida morte ecc., l'adottiamo di buon grado, rifiutati solamente quel santà e quel primo così.

(1) a sentenzia. Forse, e senza forse, la sentenzia.

(2) prima leggiamo col cod. 135 primo Gadd. Gli altri testi mss. e stampati hanno propia.

(3) Il Tasso interlineò la parola ajutorio, e la trascrisse ancora sul margine,

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