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che solo di natura intellettiva sono perfette. Onde, quando l'anima nostra non ha atto di speculazione, non si può dire che veramente sia in filosofia, se non in quanto ha l'abito di quella, e la potenzia di poter lei svegliare; e però è talvolta con quella gente che qui s'innamora, e talvolta no. La terza è quando dice l'ora che quella gente è con essa; ciò è quando Amore della sua pace fa sentire; che non vuole altro dire, se non quando l'uomo è in ispeculazione attuale ; perocchè della pace di questa donna non fa lo studio se non nell'atto della speculazione sentire (1). E così si vede come questa donna è primieramente di Dio, secondamente dell' altre Intelligenzie separate per continuo sguardare, e appresso della umana Intelligenzia per riguardare discontinuato. Veramente sempre è l'uomo, che ha costei per donna, da chiamare filosofo, non ostante che tuttavia non sia nell'ultimo atto di filosofia, perocchè dall'abito maggiormente è altri da denominare. Onde dicemo alcuno virtuoso, non solamente virtù operando, ma l'abito della virtù avendo: e dicemo l'uomo facundo, eziandio non parlando, per l'abito della facundia, cioè del bene parlare. E di questa Filosofia, in quanto dalla umana Intelligenzia è participata, saranno omai le segrete commendazioni a mostrare, come gran parte del suo bene alla umana natura è conceduto. Dico adunque appresso: suo essere piace tanto a chi gliele dà, dal quale siccome da fonte primo si deriva, che superata n'è la capacità (2) della nostra natura, la quale fa bella e virtuosa. Onde, avvegnachè all'abito di quella per alquanti si vegna, non

(1) sentire è sensatissima aggiunta del sig. Witte.

(2) che sempre attrae la capacità, P. E., codici Gadd. 134, 135 secondo, Vat. Urb., Marc. secondo. Il testo del Biscioni: che'nsemprata è la capacità; ma nella nota riconosce per migliore l'altra lezione. Al sig. Witte è dovuta la bella emendazione che noi abbiamo adottata.

vi (1) si viene sì per alcuno, che propiamente abito dire si possa; perocchè il primo studio, cioè quello per lo quale l'abito si genera, non può quella perfettamente acquistare. E qui si vede l'umile sua lode; che perfetta o (2) imperfetta, nome di perfezione non perde. E per questa sua dismisuranza si dice che l'anima della Filosofia Lo manifesta in quel, ch'ella conduce; cioè, che Dio metta sempre in lei del suo lume. Dove si vuole a memoria riducere, che di sopra è detto che amore è forma di Filosofia; e però qui si chiama anima di lei: il quale amore manifesto è nell'uso della sapienzia; il quale uso (3) conduce mirabili bellezze, cioè contentamento in ciascuna condizione di tempo, e dispregiamento di quelle cose, che gli altri fanno lor signori. Per che avviene che gli altri miseri che ciò mirano, ripensando il loro difetto, dopo 'l desiderio della perfezione caggiono in fatica di sospiri; e questo è quello, che dice: Che gli occhi di color, dov' ella luce, Ne mandan messi al cor pien di disiri, Che prendon aere e diventan sospiri.

(1) vi si viene, codici Gadd. 134, 135 secondo, e Vat. Urb. Le stampe: si viene, senza il vi.

(2) perfetta e imperfetta, i mss. e le stampe. Può dubitarsi che Dante abbia qualche volta usato l'e in vece di o; come se, nel luogo presente, per cagione d'esempio, avesse detto: e quando è perfetta, e quando è imperfetta, tenendo quell'e di mezzo, colle altre parole sottintese, il luogo della particella disgiuntiva. Nulladimeno essendo incerto quest'uso, e potendo produr confusione, reputiamo più sano consiglio il ridurre la lezione all'ordinario e più corretto modo di favellare. Giovi però l'averlo avvertito, onde niuno ci accusi di aver fatto le nostre correzioni troppo alla scapestrata.

(3) Malamente in tutti i codici e nelle stampe: il quale esso.

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CAPITOLO XIV.

Siccome nella litterale sposizione, dopo le generali lode alle speziali si discende, prima dalla parte dell'anima, poi dalla parte del corpo; così ora intende il testo, dopo le generali commendazioni alle speziali discendere. Onde, siccome detto è di sopra, Filosofia per suggetto materiale qui ha la sapienza, e per forma amore, e per composto dell' uno e dell' altro l'uso di speculazione. Onde in questo verso che seguentemente comincia: In lei discende la virtù divina, (1) io intendo commendare l'Amore, ch'è parte di Filosofia. Ov'è da sapere che discendere la virtù d'una cosa in altra, non è altro che ridurre quella in sua similitudine; siccome negli agenti naturali vedemo manifestamente, che discendendo la loro virtù nelle pazienti cose, recano quelle a loro similitudine, tanto quanto possibili sono a venire ad essere (2). Onde vedemo 'l Sole, che, discendendo lo raggio suo quaggiù, reduce le cose a sua similitudine di lume, quanto esse per loro disposizione possono dalla sua (3) virtù lume ricevere. Così dico che Dio questo amore a sua similitudine riduce, quanto esso è possibile simigliarsi a lui. E ponsi la qua

(1) Da queste parole io intendo ecc. fino a Ove ancora è da sapere che'l primo agente, il Tasso ha condotta in margine la solita linea, e vi ha apposto il segno N (Nota).

(2) Pare che debba intendersi venire ad essere simili. Se tuttavia non si dee leggere: venire ad essi, cioè ad essi agenti; ovvero venire ad essa, cioè ad essa similitudine.

(3) Di questo sua è laguna ne' codici e nelle stampe; ma non si può far a meno di aggiungerlo, onde sia chiaro che qui si parla della virtù del Sole. Così poco prima l'Autore dice: discendendo la loro virtù; e dopo: il primo agente, cioè Dio, pinge la sua virtù in cose ecc.; e ne indica come qui pure

stare il suo testo.

debba

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lità della creazione, dicendo: Siccome face in Angelo che 'l vede. Ove ancora è da sapere che 'l primo agente, cicè Dio, pinge la sua virtù in cose per modo di diritto raggio, e in cose per modo di splendore riverberato; onde nelle Intelligenze raggia la divina luce sanza mezzo, nell'altre si ripercuote da queste Intelligenze prima illuminate. Ma perocchè qui è fatta menzione di luce e di splendore, a perfetto intendimento mostrerò differenza di questi vocaboli, secondochè Avicenna sente. (1) Dico che l'usanza de' Filosofi è di chiamare il Cielo lume, in quanto esso è nel suo fontale principio; di chiamare raggio, in quanto esso è per lo mezzo dal principio al primo corpo dove si termina; di chiamare splendore, in quanto esso è in altra parte alluminata (2) ripercosso. Dico adunque che la divina virtù sanza mezzo questo Amor tragge a sua similitudine. E ciò si può fare manifesto massimamente in ciò, che siccome il divino Amore è tutto eterno, così conviene che sia eterno lo suo oggetto di necessità, sicchè eterne cose siano quelle ch'egli ama. E così face questo Amore amare, che la sapienzia, nella quale questo Amore fere, eterna è. Ond'è scritto di lei: «Dal principio dinanzi dalli secoli creata sono; e nel » secolo che dee venire non verrò meno. » E nelli Proverbii di Salomone essa Sapienza dice: « Eternalmente >> ordinata sono. » E nel principio di Giovanni nel Vangelio si può la sua eternità apertamente notare. E quinci nasce che là dove questo amore (3) splende, tutti gli altri amori si fanno scuri e quasi spenti; imperocchè il suo oggetto eterno improporzionalmente gli altri oggetti vince e soperchia; per che gli Filosofi eccellen

(1) Luogo contrassegnato dal Tasso da queste parole: Dico che ecc. fino a eterne cose siano quelle ch'egli ama. Al principio havvi la postilla: Luce, Raggio, Splendore.

(2) Si è corretto l'errore de' testi, che leggono alluminato. (3) L'amore della sapienza. PERTICARI.

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tissimi nelli loro atti apertamente il dimostrano; per li quali sapemo, essi tutte l'altre cose, fuori che la sapienzia, avere messe a non calere. Onde Democrito, della propia persona non curando, nè barba, nè capelli, nè unghie si togliea (1). Platone (2), delli beni temporali non (3) curando, la reale dignità mise a non calere; chè figliuolo di re fu. Aristotile, d'altro amico non curando, contro al suo migliore amico (fuori di quella) combatteo, siccome contro allo nomato Platone. E perchè di questi parliamo, quando troviamo gli altri che per questi pensieri la loro vita disprezzaro, siccome Zeno, Socrate, Seneca, e molti altri? E però è manifesto che la divina virtù, a guisa (4) d'Angelo, in questo amore negli uomini discende; e per dare sperienzia di ciò, grida susseguentemente lo testo: E qual donna gentil questo non crede, Vada con lei, e miri ecc. Per donna gentile s'intende la nobile anima d'ingegno, e libera nella sua propia potestà, che è la ragione; onde l'altre anime dire non si possono donne, ma ancille; perocchè non per loro sono, ma per

(1) Per si tagliava. PERTIČARI.

(2) Il Tasso interlinea queste parole: Platone, delli beni temporali non curando, la reale dignità mise a non calere, e vi fa in margine la postilla: Falsa opinion di Platone. Infatti non si può dire, esattamente parlando, che Platone abbia messa a non calere la reale dignità, essendo figlio di re, per ciò solo che raccontasi della sua origine; la quale volevasi da suo padre che derivasse da Codro di Melanto. Atene non aveva più re da ben sei secoli quando visse Platone. E che questo Filosofo non fosse tanto sprezzatore delli beni temporali può dedursi dall'aver egli accettato in dono da Dionisio più di ottanta talenti (Laert. Vit. Phil. l. 3.), quantunque destinati al nobilissimo uso di comperar libri. Egli era poi nel suo vestire tanto accurato, che parve fino piegare alla mollezza.

(3) non si curando, P. E. e cod. Vat. Urb. (4) a modo d'Angelo, P. E.

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