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immagine della stella, che viene per esso, per sezza in oscurità, e per l'umido e per lo secco in colore. Però puote anche parere così per l'organo visivo, cioè l'occhio, lo quale per infermità e per fatica si trasmuta in alcuno coloramento e in alcuna debilità; siccome avviene molte volte, che per essere la tunica della pupilla sanguinosa molto per alcuna corruzione d'infermitade le cose pajono (1) quasi tutte rubiconde: e però la stella ne pare colorata. E per essere lo viso debilitato incontra in esso alcuna disgregazione di spirito, sicchè le cose non pajono unite, ma disgregate, quasi a guisa che fa (2) la nostra lettera in sulla carta umida. E questo è quello per che molti quando vogliono leggere si dilungano le scritture dagli occhi, perchè la immagine loro venga dentro più lievemente e più sottile; e in ciò più rimane la lettera discreta nella vista. E però puote anche la stella parere turbata; e io fui esperto di questo l'anno medesimo, che nacque questa Canzone, chè per affaticare lo viso molto a studio di leggere, in tanto debilitai gli spiriti visivi, che le stelle mi pareano tutte d'alcuno albore ombrate: e per lunga riposanza in luoghi scuri e freddi, e con affreddare lo corpo dell'occhio con acqua chiara, rivinsi (3) la virtù disgregata, che tornai nel primo buono stato della vista. E così appajono molte cagioni per le ragioni notate, per che la stella può parere non com'ella è.

(1) pajono tutte rubiconde, P. E., cod. Gadd. 134, 135 primo, e Vat. Urb.

(2) Così i codici Barb., Vat. Urb., Marciani, Gadd. 135 primo e secondo. che fa nostra lettera, il Biscioni.

(3) rivinsi, secondo il Dionisi (Anedd. V. pag. 153), qui significa rilegai, riunii, dal lat. revinxi. Sembra però che più naturalmente significhi ricuperai.

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CAPITOLO X.

Partendomi da questa digressione, che mestieri è stata a vedere la verità, ritorno al proposito, e dico che siccome li nostri occhi chiamano, cioè giudicano, la stella talora altrimenti che sia la vera sua condizione; così quella ballatetta considerò questa donna secondo l'apparenza, discordante dal vero per infermità dell'anima che di troppo disío era passionata. E ciò manifesto quando dico: Chè l'anima temea sì, che fiero mi parea ciò che vedea nella sua presenzia. Dov'è da sapeche quanto l'agente più al paziente sè unisce, tauto più è forte; e però la passione, siccome per la sentenza del Filosofo in quello di Generazione, si può comprendere. Onde quanto la cosa disiderata più s'appropinqua al desiderante, tanto il desiderio è maggiore; e l'anima più passionata, più si unisce alla parte concupiscibile e più abbandona la ragione: sicchè allora non giudica come uomo la persona, ma, quasi com'altro animale, pur secondo l'apparenza (1), non discernendo la verità. E questo è quello per che il sembiante onesto, secondo il vero, ne pare disdegnoso e fero. E secondo questo cotale sensuale giudicio parlò quella ballatetta. E in ciò s'intende assai che questa Canzone considera questa donna secondo la verità, per la discordanza che ha con quella. E non sanza cagione dico: dov' ella mi senta; e non là dov' io la senta. Ma in ciò voglio dare a intendere la gran virtù che li suoi occhi aveano sopra me; chè come se fossi stato diafano (2), così per ogni lato mi passava lo raggio loro: e

(1) pur secondo l'apparenza, non secondo la veritade, P. E., codici Gadd. 134 e Vat. Urb.

(2) diafano, di cui è laguna in tutti gli altri testi, si aggiunge col cod. Marciano secondo.

quivi si potrebbono ragioni naturali e sovrannaturali assegnare; ma basti qui tanto aver detto: altrove ragionerò più convenevolmente. Poi quando dico: Così ti scusa, se ti fa mestiero, impongo alla Canzone come per le ragioni assegnate sè iscusi là dov'è mestiere, cioè là dove alcuno dubitasse di questa contrarietà; che non è altro a dire, se non che qualunque dubitasse in ciò che questa Canzone da quella ballatetta si discorda, miri in questa ragione che detta è. E questa cotale figura in Rettorica è molto laudabile, e anche necessaria, cioè quando le parole sono a una persona, e la intenzione è a un'altra; perocchè l'ammonire è sempre laudabile e necessario, e non sempre sta convenevolmente nella bocca di ciascuno. Onde, quando il figliuolo è conoscente del vizio del padre, e quando il suggetto (1) è conoscente del vizio del signore, e quando l'amico conosce che vergogna crescerebbe al suo amico quello ammonendo, o mancherebbe (2) suo onore, o conosce l'amico suo non piacente (3), ma iracondo all'ammonizione, questa figura è bellissima e utilissima, e puotesi chiamare Dissimulazione; ed è simigliante all'opera di quello savio guerriero che combatte il castello da un lato per levare la difesa dall' altro, che non vanno a una parte la 'ntenzione dell'ajutorio, e la battaglia. E impongo a costei anche che domandi parola (4) di parlare a questa donna di lei; dove si puote intendere che l'uomo non dee essere presun

(1) suddito, P. E., cod. Barb., Marc. secondo, Gadd. 134. (2) menomerebbe suo onore, cod. secondo Marciano, Vat. Urb., Barberino, Gadd. 134, e 135 secondo. — diminuerebbe, Gadd. 135 primo.

(3) non piacente o iracundo all'ammonizione, cod. Vat. Urb. (4) domandi parola, cioè domandi licenza. I Francesi Démander la parole per Chiedere di favellare, Avoir la parole per Aver diritto di parlare prima di un altro nelle pubbliche assemblee.

tuoso a lodare altrui, non ponendo bene propio mente s' egli è piacere della persona lodata; perchè molte volte credendosi alcuno dare loda, dà biasimo, o per difetto dello dicitore (1), o per difetto di quello che ode. Onde molta discrezione in ciò avere si conviene; la qual discrezione è quasi un domandare licenzia, per lo modo ch'io dico che domandi questa Canzone. E così termina tutta la litterale sentenzia di questo Trattato; per che l'ordine dell'opera domanda all'allegorica sposizione omai, seguendo la verità, procedere.

CAPITOLO XI.

Siccome l'ordine vuole, ancora (2) dal principio ritornando, dico che questa donna è quella donna dello intelletto che Filosofia si chiama. Ma perocchè naturalmente le lode danno desiderio di conoscere la persona lodata, e conoscere la cosa sia sapere quello ch'ella è in sè considerata e per tutte le sue cose, siccome dice il Filosofo nel principio della Fisica; e ciò ne (3) dimostri il nome, avvegnachè ciò significhi, siccome dice nel quarto della Metafisica, dove si dice che la difinizione è quella ragione che 'l nome significa; conviensi qui, prima che più oltre si proceda per le sue laude, mostrare e dire che è questo che si chiama Filosofia, cioè quello che questo nome significa; e poi dimostrata essa, più efficacemente si tratterà la presente allegoria. E prima dirò chi questo nome prima diede; poi procederò alla sua significazione. Dico adunque che

(1) dicitore, cod. Barb., Vat. Urb., Gadd. 135 secondo, Marc. secondo. Le stampe: dello datore.

(2) ancora al principio ritornando, cod. Vat. Urb.

(3) ne dimostri, codici Gadd. 134, 135 primo. Il Gadd. 135 secondo: e ciò dimostri lo nome. L'ediz, Bisc.: e ciè lo dimostri il nome, con pleonasmo.

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anticamente in Italia, quasi dal principio della costituzione (1) di Roma, che fu settecento cinquant'anni (2), poco dal più al meno, prima che 'l Salvatore venisse, secondochè scrive Paolo Orosio, nel tempo quasi che Numa Pompilio secondo re de' Romani, viveva uno filosofo nobilissimo, che si chiamò Pittagora. E che egli fosse in quel tempo par che ne tocchi alcuna cosa Tito Livio nella prima parte del suo volume incidentemente: e dinanzi da costui erano chiamati i seguitatori di scienzia, non Filosofi, ma Sapienti; siccome furono quelli sette savii antichissimi, che la gente ancora nomina per fama: lo primo delli quali ebbe nome Solon, lo secondo Chilon, il terzo Periandro, il quarto Talete (3), il quinto Cleobulo, il sesto Biante, il settimo Pittaco. Questo Pittagora, domandato se elli si riputava sapiente, negò a sè lo primo (4) vocabolo, e disse sè es sere non sapiente, ma amatore di sapienzia. E quinci nacque poi, ciascuno studioso in sapienzia che fosse amatore di sapienzia chiamato, cioè Filosofo ; che

(1) Costituzione per Fondazione, manca al Vocab. PERTICARI. (2) secento cinquant'anni, errore del Biscioni e degli altri editori e copisti emendato dal sig. Witte. Vedi il Petavio, Rat. Temp. P. 1. Lib. 2. Gap. 7.

(3) Tutti questi nomi sono barbaramente storpiati ne' codici e nelle stampe. Eccone la lezione: il quarto Dedalo: il quinto Lidio..... il settimo Perioneo. Ma oseremo noi dire che que sti svarioni sieno piuttosto del grande Alighieri, che de' suoi ignoranti copisti? Quanto a Lidio, Dante forse avrà scritto Cleobulo Lindio (cioè da Lindo), e gli amanuensi non ritennero che l'aggiunto, e anche quello guastarono. Dedalo poi diveButo in vece di Talete uno de' sette Savii, chi può vederlo e non ridere? Ma il ridere sarà inestinguibile sopra Perioneo, uscito tutto nuovo dalla testa de' menanti, e accolto con grande onore dal dottissimo Biscioni con un forse per Pittaco Mitileneo. Leggi l'annotazione di questo editore ingegnosissimo nel legittimare gli spropositi; ed il SAGGIO, pag. 131.

(4) lo quinto vocabolo, così tutti i testi. Nel SAGGIO, pag. 130, abbiamo proposto diverse correzioni di questo quinto

Vol. I.

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