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medesimo. Onde noi non dovemo vituperare l'uomo perchè sia del corpo da sua natività laido, perocchè non fu in sua podestà di farsi bello; ma dovemo vituperare la mala disposizione della materia ond' esso è fatto, che fu principio del peccato della natura. E così non dovemo lodare l'uomo per beltade che abbia da sua natività nel suo corpo, chè non fu egli di ciò fattore; ma dovemo lodare l'artefice, cioè la natura umana, che 'n tanta bellezza produce la sua materia, quando impedita da essa non è. E però disse bene il prete allo 'mperadore che ridea e schernía la laidezza del suo corpo: « Iddio è Signore; esso fece noi, e >> non essi (1) noi: » e sono queste parole del Profeta in un verso del Salterio, scritte nè più, nè meno come nella risposta del prete. E perciò veggiamo li caitivi malnati, che pongono lo studio loro in azzimare la loro persona (2), che dee essere tutta con onestade; che non è altro a fare, che ornare l'opera d'altrui, e abbandonare la propia. (3) Tornando adunque al proposito, dico che (4) nostro intelletto, per difetto della virtù, della quale trae quello ch'el (5) vede (che è virtù organica, cioè la fantasia), non puote a certe cose salire, perocchè la fantasia nol puote ajutare, chè non ha il di che; siccome sono le sustanze partite da ma

(1) Nota l'essi nella stessissima forza dell'ipsi de' Latini; imperocchè questa è traslazione del non ipsi nos non essi noi. PERTICARI.

(2) Anche questa bella emendazione ci fu suggerita dalla Bi-` blioteca Italiana; ed è indubitata, perocchè risulta assai chiaramente da tutto il discorso. Nella volgata leggevasi opera

zione.

(3) Luogo segnato dal Tasso fino al termine del Capitolo. Egli ha di più interlineate le parole: siccome sono le sustanze partite da materia.

(4) che il nostro intelletto, cod. Vat. Urb.

(5) L'ediz. Biscioni: che 'l vede.

teria (1); delle quali (se alcuna considerazione di quelle avere potemo) intendere non le potemo, nè comprendere perfettamente. E di ciò non è l'uomo da biasimare, chè non esso fu di questo difetto fattore: anzi fece ciò la Natura universale, cioè Iddio, che volle in questa vita privare noi di questa luce; che, perchè egli lo (2) facesse, presuntuoso sarebbe a ragionare. Sicchè se la mia considerazione mi trasportava in parte dove la fantasia venía meno allo 'ntelletto, se io non potea intendere non sono da biasimare. Ancora è posto fine al nostro ingegno, a ciascuna sua operazione, non da noi, ma dalla universale Natura; e però è da sapere che più ampii sono li termini dello 'ngegno a pensare, che a parlare; e più ampii a parlare, che ad accennare. Dunque se'l pensiero nostro, non solamente quello che a perfetto intelletto non viene, ma eziandio quello che a perfetto intelletto si termina, è vincente del parlare, non semo noi da biasimare, perocchè non semo di ciò fattori; e però manifesto, me veramente scusare quando dico: Di ciò si biasmi il debole intelletto, E'l parlar nostro, che non ha valore Di ritrar tutto ciò che dice Amore; chè assai si dee chiaramente vedere la buona volontà, alla quale avere si dee rispetto nelli meriti umani. E così omai s'intenda la prima parte principale di questa Canzone che corre

mo per mano.

(1) Cioè gli Angeli, che gli Scolastici chiamano sostanze separate.

(2) perchè egli lo si facesse, cod. Barb. e Vat. Urb.

CAPITOLO V.

Quando ragionando per la prima parte, aperta è la sentenzia di quella, procedere si conviene alla seconda; della quale per meglio vedere, tre parti se ne vogliono fare, secondochè in tre versi si comprende. Chè nella prima parte io commendo questa donna interamente e comunemente, si nell'anima come nel corpo; nella seconda discendo a laude spezial dell'anima; e nella terza a laude speziale del corpo. La prima parte comincia: Non vede il Sol, che tutto'l mondo gira; la seconda comincia: In lei discende la virtù divina; la terza comincia: Cose appariscon nello suo aspetto; e queste parti, secondo ordine, sono da ragionare. Dico adunque: Non vede il Sol, che tutto 'l mondo gira; (1) dov'è da sapere, a perfetta intelligenzia avere, come il mondo dal Sole è girato. Prima dico, che per lo mondo io non intendo qui tutto il corpo dell' Universo, ma solamente questa parte del mare e della terra, seguendo la volgare voce, chè così s'usa chiamare. Onde dice alcuno: quegli ha tutto il mondo veduto; dicendo questa (2) parte del mare e della terra. Questo mondo volle Pittagora e li suoi seguaci dicere che fosse

(1) Luogo segnato in margine dal Tasso fino a perchè assai basta alla gente, a cui io parlo, per la sua grande autorità. Sono anche interlineate le parole: « dice alcuno quello ha tut» to 'l mondo veduto; » e le altre: ma che 'l suo tondo tutto si girava attorno al suo centro, seguendo ecc.... per la massima distanzia da quello; e qui postillò nel margine: Ascrive a Platone falsa opinione.

(2) questa s'aggiunge, perciocchè è detto poche parole prima: che per lo mondo io non intendo qui tutto il corpo dell Universo, ma solamente questa parte del mare e della terra. Ora si direbbe il globo terracqueo, che fa parte del gran sistema' che, scientificamente parlando, si chiama Mondo.

Vol. I.

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una delle stelle, e che un'altra a lei fosse opposita così fatta e chiamava quella Antictona (1): e dicea ch'erano ambedue in una spera che si volgea da Oriente in Occidente, e per questa revoluzione si girava il Sole intorno a noi, e ora si vedea e ora non si vedea; e dicea che'l fuoco era nel mezzo di queste, ponendo quello essere più nobile corpo, che l'acqua e che la terra, e ponendo il mezzo nobilissimo in tra li luoghi delli quattro corpi simplici; e però dicea che 'l fuoco, quando parea salire, secondo il vero al mezzo discendea. Platone fu poi d'altra opinione, e scrisse (2) in un suo libro, che si chiama Timeo, che la terra col mare era bene il mezzo di tutto, ma che 'l suo tondo tutto si girava attorno al suo centro, seguendo il primo movimento del Cielo; ma tarda molto per la sua grossa materia, e per la massima distanzia da quello. Queste opinioni sono riprovate per false nel secondo di Cielo e Mondo da quello glorioso Filosofo, al quale la Natura più aperse li suoi segreti (3); e per lui quivi è provato, questo mondo, cioè la terra, stare in sè stabile

(1) Antiscona, così per errore tutti i testi. E il Biscioni, il quale non consulta mai una volta i libri citati dal suo Autore, mette la postilla: Antiscona, Gr. Avtigxov. Laddove la vera parola è Antictona, dal Gr. Avtiyov, opposita pedibus nostris terra, terra antipodum. E il luogo d'Aristotile (de Cœlo et Mundo, lib. 2. cap. 13.) lo dice assai chiaro. Vedi le citazioni in fine.

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(2) Così i codici Barb., Vat. Urb., Marciano secondo, e tutti i Gaddiani. Il Biscioni: e scrisse su un suo libro.

(3) Aristotile. E si confronti questa coll'altra circonlocuzione, onde lo nomina nell' Inferno. PERTICARI.

Il luogo qui citato è quello notissimo (Inf. 4. 130):
» Poi che innalzai un poco più le ciglia,

>> Vidi 'l maestro di color che sanno ecc.

Anche nell'ultimo Trattato del Convito (Cap. 8.) lo chiama quello maestro de' Filosofi; e di altre simili onorifiche appellazioni gli è largo qua e colà, fino a dirlo il maestro dell'umana ragione. (Tratt. 4. Cap. 2.)

e fisso in sempiterno (1). E le sue ragioni, che Aristotile dice a rompere costoro e affermare la verità, non è mia intenzione qui narrare; perchè assai basta alla gente, a cui io parlo, per la sua grande autorità sapere che questa terra è fissa e non si gira, e che essa col mare è centro del Cielo. Questo Cielo si gira intorno a questo centro continovamente, siccome noi vedemo : ; nella cui girazione conviene di necessità essere due poli fermi, e uno cerchio ugualmente distante da quelli, che massimamente giri. Di questi due poli, l'uno è manifesto quasi a tutta la terra discoperta, cioè questo settentrionale; l'altro è quasi a tutta la discoperta terra celato, cioè lo meridionale. Lo cerchio che nel mezzo di questi s'intende, si è quella parte del Cielo, sotto 'l quale si gira il Sole quando va coll'Ariete e colla Libra. Onde è da sapere, che se una pietra potesse cadere da questo nostro polo, ella cadrebbe là oltre nel mare Oceano, appunto in su quello dosso del mare, dove se fosse un uomo, la stella (2) gli sarebbe sempre sul mezzo del capo; e credo che da Roma a questo luogo, andando diritto per Tramontana, sia spazio quasi

(1) Qui si può bene esclamare con Dante medesimo: Quanto son difettivi sillogismi! Che avrebb' egli detto questo grandissimo uomo, e sapientissimo secondo i suoi tempi, se fosse vissuto in quelli del Galileo? Avrebb' egli osato di scrivere che basti la grande autorità di Aristotile a sapere che questa terra è fissa, e non si gira; e che essa col mare è centro del Cielo? O piuttosto non avrebbe affermato che la Natura, più che ad Aristotile, aperse i suoi segreti a que' Pittagorici che parlarono degli Antipodi, e dissero la Terra una Stella che si volgea da Oriente in Occidente, e che per questa revoluzione si girava il Sole intorno a noi, e ora si vedea, e ora non si vedea?

(2) Si legga questo e l'altro già notato passo, onde intendere cosa abbia significato Dante nel suo Poema alla parola Stella. Questa di Dante è una imitazione de' Greci che dicevano il Sole per antonomasia l'Astro. PERTICARI.

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