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da mano occulta potentemente adiuvato, ed avido di stolta rinomanza, per combattere e far crollare dalle fondamenta quella fortissima torre, ove pendono innumerevoli trofei, ed ove alto siede un Pontefice, che per soavità di costumi, austerezza di vita, sapienza ed arte di regime è l'ammirazione di tutti i popoli e rispettivi reggitori, sebbene però la deplorevole audacia del Curci oltre che ad esso abbia eccitato lo sprezzo e tra coloro stessi cui giovava esaltarlo non abbia raccolto invece che noncuranza, era nostro debito tuttavia porre in guardia gli inesperti, affinchè non avessero a sorbirne il veleno. E perciò abbiamo dato opera perchè il suo libello, - Il Vaticano regio, tarlo superstite della Chiesa cattolica, fosse da tutti conosciuto qual monumento degli estremi e inutili conati della perfidia umana contro il potere spirituale e temporale dei successori di Pietro, causa e sintesi fulgidissima della civiltà cristiana.

E siccome fin dalla divulgazione dei primi articoli fu unanime il desiderio non solo del giovane clero e del laicato credente, ma degli altri ancora di vederli riuniti insieme in un solo libro, perciò con animo lieto e volenteroso ci siamo pure sobbarcati a tale impresa, acciò da parte nostra nulla rimanesse a fare contro così fieri nemici della Chiesa cattolica e della intera umanità.

Curci e il suo libello famoso.

I.

1

Enormissimo sbaglio commise Carlo Maria Curci, sacerdote, nel dedicare al giovane clero ed al laicato credente, il suo libro, ossia libello famoso, dato in luce nell'anno 1883, sotto lo specioso e impudente titolo: Il Vaticano regio, tarlo superstite della Chiesa cattolica. Imperocchè egli stesso apertamente confessa nell'appendice di siffatto libello, a pag. 322, di essere stato espulso dal claustro, e a pag. 334 che si vide rigettato dalla famiglia claustrale; egli stesso fa noto a tutti a pag. 321 di trovarsi interdetto a divinis da sette anni, sebbene aggiunga: La Messa la celebro, perchè il S. Padre fino dal 1878 si degnò di permettermi a voce dirla in privato; egli stesso, senza ambagi, appalesa a pag. 165e a pag. 329, essergli stato proibito l'altro libello: La Nuova Italia, e il Nuovo Testamento proibito

solamente in odium auctoris; egli stesso, più volte, fino alla nausea, ripete di non essergli stato concesso di amministrare la divina parola.

Con tali titoli in fronte, baldo e pettoruto, si presenta al giovane clero ed al laicato credente, dicendo: ecco, a voi offro i miei studi: Il Vaticano regio, tarlo superstite della Chiesa cattolica. A siffatto oblatore e a tale offerta, a chi del giovine clero e del laicato credente non viene subito dal fondo del cuore e della mente sulle labbra la risposta, che Cristo nostro Signore diè all'angelo dell'inferno: Vade retro Satana! Che anzi se quell'angelo dell'abisso usò tutti i mezzi lusinghieri e confacenti all'uopo per trarre il Redentore nella rete dell'inganno, il Curci invece mise in opera tutti i mezzi ripulsivi, perchè fosse perentoriamente rigettata la sua offerta. Perciò disse bene un giornale che si appella liberale: O Curci è cattolico, ed allora egli non potea scrivere siffatto libro e molto meno dedicarlo al giovane clero ed al laicato credente; o non è cattolico, ed allora sono inutili siffatti studî dedicati al giovane clero ed ai laicato credente. Ma più espressiva fu la sentenza concisa e laconica di un altro giornale,

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che si dice radicale, proclamando: Curci è matto.

Egli però potea risparmiarsi così pubblica e inesorabile censura; perciocchè il Curci stesso nel principio del suo libello, a pagina XXII, narra, che prima di lasciare Roma dovette vedere un Cardinale dei più signorilmente locati, il quale lo esortava a non dare in luce altro libro, di cui si parlava, che era poi il presente, e che si fosse guardato dalle illusioni, perchè poteva il diavolo ficcarvi le corna; egli tuttavia franco rispose essere ciò quasi impossibile, perchè il diavolo sarebbe un balordo, se pensasse trovare seguaci nel mondo con le attrattive della povertà, in cui ei lieto e contento per il voto claustrale versava, concludendo quindi la narrazione in questi termini : « L'Eminentissimo mi udì a bocca aperta; ma avendo ripigliato tosto le sue esortazioni, diè segno di non aver capito nulla di quanto dissi: credo tuttavia, che stava pregando ancora che io sia liberato dalle illusioni; ed io gli sarò gratissimo, se mi ottiene di essere liberato dall'occasione di patir mai la sua. Così io pieno di alacrità e sicuro, quanto uomo può essere, di non soggiacere ad illusioni, me ne venni sui primi di maggio a

Firenze, portandomi in capo tutto intero il mio libro. >>

Dichiara poscia il Curci a pag. xxш, che giunto a Firenze ebbe da Roma un diluvio di lettere anonime, che lo eccitavano a desistere da così triste proposito; perciò si pose colla migliore volontà del mondo sopra altro soggetto, ma fu indarno, perchè quel primo libro, che è il presente, gli empiva la mente e, già maturo, a tutti i patti volea uscire, come il feto dal seno materno, aggiungendo: « Soprattutto quel titolo scandaloso mi piaceva tanto! era così opportuno a scuotere le coscienze. »

Invece però le coscienze dei liberali videro in quel libro e in quel titolo una anomalia, quelle dei radicali, più veggenti ancora, vi scorsero una pazzia, quelle poi del clero e del laicato credente vi ravvisarono un'insolenza empia e maligna, onde con indignazione massima le proteste fioccarono, come neve, dall'un polo all'altro. Il fatto dunque provò ad evidenza, che il Curci soggiacque alle illusioni, e che quell'Eminentissimo, il quale lo esortava a non soggiacervi, era certamente uomo pio e dotto assai, che ne previde il capitombolo.

Nè potea altrimenti accadere: perciocchè

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