Obrazy na stronie
PDF
ePub

co, traendo seco una persona, che dice essere il colpevole richiesto da Creonte, e in cui questi con finta, il coro con ingenua sorpresa ravvisano Antigone. Il corpo di Polinice era stato esposto di nuovo agli augelli e ai cani; le guardie vegliavano sopra di esso da un poggio vicino, quando, passata una breve procella che loro ne tolse la vista, scopersero una donna che fra strida e singulti il ricopriva di polve e gli facea libazioni; accorsero, la presero, e l'inviarono a Creonte. Il conduttore geme del tristo ministero che gli è affidato; pure, dic' egli colla solita ingenuità del suo egoismo, tutte cose io deggio meno estimar della salvezza mia.

Noi siamo ben lungi, come vedete, dal sublime entusiasmo del cominciamento della tragedia. Il poeta, che sta per ricondurvici, ce ne ha fatto discendere progressivamente, mettendoci innanzi la virtù timida, la tirannide ipocrita, la connivente servilità, quasi gradi medii di questa sua scala morale, alle cui estremità noi troviamo ciò che avvi di più elevato e di più basso nella nostra natura. Così componeva Corneille, quando intorno al suo Nicomede e al suo Polieutto collocava quelle figure meno grandi ma ancor nobili d'Attalo, di Paolina, di Severo, e in un canto del quadro trovava pur luogo pei vili terrori d'un Felice & d'un Prusia, pei bassi artifizi d' un' Armida e d'un Flaminio, particolarità familiari che una critica meschina ha biasimate in nome di non so qual dignità. Così i grandi artisti italiani (il cui genio ha tanta conformità col genio poetico de' Greci) componevano que' loro quadri, ove fra tante espressioni diverse d'affetti terrestri e volgari (la fredda durezza de' giudici, il brutal furore de' carnefici, la curiosità indifferente o la muta pietà della moltitudine) splende sul volto d'un martire, il cui corpo è alterato dalle sofferenze, la gioia sublime dell'anima e la sua celeste speranza.

L'ordinamento e l'effetto di questi quadri è molto simile a quello della composizione di Sofocle. Rappresentiamoci i vecchi di Tebe pieni d'una dolorosa sorpresa; rappresentiamoci Creonte, che nasconde sotto un apparente impassibilità il piacere di trovar una colpevole in una nemica; e innanzi a loro Antigone pronta a rispondere di quello che ha fatto. Quale aspettazione debbono destare le sue parole, che per un artificio familiare a'Greci son tuttavia ritardate dai racconti della guardia e dalle interrogazioni del tiranno! Ma l' aspettazione è sorpassata dalla grandezza improvvisa delle parole medesime, che giova riferire. E tu rispondi, ma breve, a me, dice Creonte

[ocr errors]

sapevi ?

ad Antigone la promulgata legge che ciò vieta, Antigone: Io la sapea - palese ell' era. Creonte: E trasgredirla osasti? Antigone: S; poi che a me promulgator di quella Giove non fu nè degli Dei d' Averno la compa

gna Giustizia: essi altre leggi

han posto all' uom; nè mai ch' io trapassar dovessi le non

[ocr errors]

pensai cotanto valer la tua
scritte da' Numi immote leggi.
jer, ma sempre
non è chi 'l sappia. Io l'arrogante fasto
temendo a lor m'attenni,

Queste non d'oggi e non da

ebber vita e l'avranno ; e il nascer loro

[ocr errors]

d'uom nessuno

e non ho colpa in ver gli Dei.

Morire
non l'avessi or se anzi tempo.

già mel sapeva, e come no? se ingiunto -anco tu
morrò, guadagno e non ga-

stigo io 'l nomo.

[blocks in formation]

Per chi vive, com' io, tra tanti affanni - non è lucro il cessar? No di tal morte nulla mi cal. Ben mi dorria se avessi insepolto lasciato il fratel mio: - d'altro non duolmi; e se stolta a te sembro di sembrar tale ad uno stolto io godo; o come interpreta non letteralmente ma più inecentemente allo spirito del testo un vecchio toscano che poi si nominerà e chi di tal pensier mi tiene stolta ben lo potrei chiamar vile e crudele.

Questo linguaggio è non meno semplice che elevato. Non vane circonlocuzioni, non vili scuse, non alcuna di quelle invettive, di cui fanno pompa le vittime di teatro e che ci danno sì buona idea della pazienza de' tiranni che le comportano. Solo qua e là un lieve indizio d'ironia, subito cancellato da' ben gravi pensieri; e alla fine una parola di disprezzo pel giudizio di chi è incapace d'intenderli. Creonte s'adira d'una fermezza e d'una ragione che lo umilia. Altro più vuoi, gli dice Antigone semplicemente, che a me dar morte? Ei sembra infatti voler convincerla prima d'immolarla; e d'accusatore di lei si fa quasi difensore di sè medesimo. Malgrado però i suoi sofismi, la donzella il convince facilmente di barbarie e d'empietà. S'egli si vanta della tacita approvazion de' Tebani, ella gli risponde che il timor li fa muti; s'ei le rimprovera di trattare egualmente il difensore e il nemico della patria, essa gli replica che le sono ugualmente fratelli; che ugualità vuol Dite ec.; s'ei le obbietta che onorando Polinice ha oltraggiato Eteocle, il qual lo odiava, ella gli fa quella sì bella risposta, in cui si mostra tutta la bontà del suo cuore: ai fraterni odii io non nacqui all' amarci bensì.

Dopo questo dialogo giugne Ismene, che il tiranno è ansioso d'interrogare, sospettandola complice della sorella. Nè Ismene

(questi sono i colpi di scena del teatro greco) cerca di dissipare un simile sospetto. Essa non fu coraggiosa abbastanza per prender parte all' impresa d' Antigone, ma è abbastanza affettuosa per volere incontrar seco la morte. Tu vivere scegliesti, ed io morire, le dice Antigone non senza qualche asprezza, sia per desiderio di salvarla, sia per quel difetto di carattere che già si è notato, e che il poeta ha voluto conservarle, pensando che a tali segni (uso una frase di Boileau) si riconosca la natura umana. Ismene si sforza d'impietosir Creonte per quella che doveva essere sposa di suo figlio; ma ogni sforzo è vano contro la durezza del tiranno e la costanza d' Antigone, a cui il poeta pone in bocca queste sublimi parole: Vivi tu pur: sacra è quest'alma a morte. Indi le due sorelle, che all'occhio del tiranno sembran due folli, ma contro le quali ei non prova meno l'odio implacabile di cui è animato contro il sangue d' Edipo, son ricondotte entro la reggia, per aspettarvi la decisione della lor sorte. Il coro, senza cercar di salvarle, s'accontenta di deplorare il destino, che di generazione in generazione si fa sempre più grave sulla casa de'Labdacidi, già presso a scomparire della faccia della terra.

Un nuovo personaggio intanto si presenta, Emone il figlio di Creonte, innanzi a cui vien a difendere quella che gli è più cara di sè medesimo. Egli non si presenta che quando precisamente abbisogna, come avea già notato il nostro Manzoni nella sua famosa lettera sulle unità, ove pur si trovano confronti ingegnosi fra la maniera de' tragici greci e de' moderni. I discorsi appassionati di questo giovane, benchè pieni di timidezza e di rispetto figliale, non fanno che irritar Creonte, il qual minaccia di far perire Antigone sotto gli occhi suoi. Ella, mai non sperarlo, al fianco mio, dice allora Emone fuggendo, no non morrà; né tu questo mio capo · più innanzi a te vedrai. Il senso di queste parole, che annunciano un sinistro disegno, è troppo bene inteso dal coro; ma Creonte, acciecato dall'ira, non lo avverte. Il coro con timida intercessione ottien da lui la grazia d'Ismene innocente, e abbandonando Antigone alla sua vendetta domanda solo qual morte pensi darle ? Creonte comanda che sia tratta in solitaria caverna con solo tanto cibo che basti ad evitar la colpa d'averla fatta morir di fame. Là Dite invocando, ei soggiunge, solo suo nume, prolungar suoi giorni - otterrà forse o s'avvedrà che vana, mal spesa cura è venerar l' Averno. Singolare e caratteristico linguaggio, ove ad un' empia crudeltà si mischia un terrore superstizioso, degna religione d' un tiranno.

Il coro intona quindi un canto (l'autor dell' analisi lo ha

[ocr errors]

forse trovato inopportuno) sulla potenza d'amore, che trae a lite col genitore il figlio; e questo canto, in cui ci si presenta onnipossente nel cuore del giovanetto la cura della soave sposa, prepara noi pure al pianto, che il coro dice di non poter rattenere, Antigone veggendo approssimarsi al talamo funesto, che tutti addorme di perpetuo sonno. Di questo modo siamo introdotti alle due incomparabili scene che seguono, e in cui finisce di manifestarsi il carattere dell'eroina della tragedia. Esse furono già compendiate ingegnosamente dall' autore del Viaggio d'Anacarsi; ma giovava ricompendiarle per far meglio sentire la differenza del gusto antico e del moderno, differenza a cui esse pongono l'ultimo suggello.

In una tragedia moderna (e questa non è supposizione poichè ne vedremo in breve le prove) Antigone si sarebbe progressivamente elevata sino al disprezzo della morte, e le sue ultime parole sarebbero state un' espressione pomposa di coraggio. Nella tragedia di Sofocle all'incontro essa comincia coll'entusiasmo ispiratole, come suol avvenire, dall'idea improvvisa d'un atto magnanimo. Passa quindi ad una considerazione più tranquilla della santità di quest'atto e delle sue inevitabili conseguenze. Poi, quando l'atto è compito, getta uno sguardo di tristezza su ciò che le costa, piange la sua giovinezza sì presto mietuta, questa luce del giorno che più non dee rivedere, la dolcezza dell' imeneo e della maternità, che le è negato di gustare, le innocenti gioie della vita che le sfuggono. Non so qual debolezza involontaria ammollisce un istante la sua alterezza che mai non s'era smentita. Una fredda pietà che l' offende (ultimo e incomportabil dolore riserbatole presso il termine fatale) sembra farla passare da un sogno doloroso ad una specie di delirio. Ma alfine la sua anima risale a quell' altezza ond' era discesa. La presenza del suo oppressore, che viene ad affrettare i satelliti che l'accompagnano, la richiama a sè medesima. Ella sostiene innanzi a` Tebani la giustizia della sua causa, e l' iniquità della sentenza che la condanna. Ella approva altamente sè medesima, sebben condannata dagli uomini e abbandonata dagli Dei. Nulla di più commovente che quello sguardo di scoraggimento ch'ella inalza al cielo cercandovi un aiuto. Il poeta non le mette in bocca vane declamazioni, ma solo quel dubbio penoso ch'è naturale alla virtù sventurata. Alfine dopo alcune parole, in cui si manifesta ancora l'umana debolezza, Antigone ridesta tutta la propria virtù, chiama Tebe in testimonio del delitto che si commette contro l'ultimo rampollo de'suoi re, e va con nobile fermezza al supplizio che le è destinato.

[ocr errors]

Queste pitture dell' anima, che lotta contro il dolore e lo vince greco teatro. Gli eroi di questo teasono il gran vanto del > tro sono pur sempre uomini ; il loro eroismo loro costa lagrime, e quindi ce ne fanno spargere; noi non li ammiriamo meno e li amiamo di più. Se avvi un genere di tragedia, a cui convenga il nome moderno di ammirabile, esso non può già essere la fredda rappresentazione d'una stoica insensibilità. Debb' esser piuttosto l'espressione fedele di quel misto di coraggio e di debolezza, che i Greci imitavano dalla natura, la quale non ha potuto cangiare cogli usi teatrali.

Mi sono fermato assai a lungo, prosegue l'autor dell' analisi, sul carattere d' Antigone, poi ch' esso domina tutta la composizione. Non posso quindi che accennar di volo ciò che ancor mi resterebbe a dire di questa innanzi di passare all'Alfieri. L'indovino Tiresia, condotto da un fanciullo, viene ad annunciare a Creonte lo sdegno degli Dei. Quest' annuncio a prima giunta lo irrita, ma poi finisce col turbarlo. Vorrebbe il tiranno riparare al mal fatto; ma già è troppo tardi. Quand' entra nella caverna, ov'è stata rinchiusa Antigone, trova lei senza vita, e il figlio che le si uccide accanto di propria mano, siccome un nunzio viene a raccontar sulla scena. Questa catastrofe ha con quella di Romeo e Giulietta una somiglianza lontana e accidentale, da cui nulla si può conchiudere e che appena interessa la curiosità. Una cosa degna d'essere osservata si è che la passione, la qual produce una catastrofe sì terribile, non è espressa nella tragedia che dalla catastrofe medesima, cioè dalla morte d'Emone, e dalla sua apparizione antecedente per ottener la grazia d' Antigone. Nulla prova meglio che l'amore non era una delle passioni, di cui s'occupasse il greco teatro. E Sofocle forse schivò di fermarsi sopra di essa, per non indebolire l'effetto della tragedia, per non dividere l'interesse fra una passion secondaria e la principale, cioè la tenerezza fraterna, animata da un sentimento religioso.

La sposa di Creonte, Euridice, è presente il racconto della morte del figlio, e uditolo lascia silenziosamente la scena. Così i tragici greci solevano esprimere l'eccesso del dolore, che non ha parole, e pel quale l'arte non deve cercarne. Questo silenzio era per essi ciò che pel pittore del sagrificio d'Ifigenia il panno gettato sul volto d'Agamennone. Anzi pare, avrebbe potuto aggiugnere, che i poeti alcuna volta facessero interamente come i pittori. Eschilo, dice il cav. Mustoxidi nella vita di questo poeta «seppe colpire gli animi non col dialogo e collo spettacolo unicamente, ma col silenzio altresì, più alto e maestoso d'ogni orazione, siccome quan

« PoprzedniaDalej »