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ANTOLOGIA

N. XCIX Marzo 1829.

RIVISTA DAntesca.

A conforto de' buoni spiriti italiani, a decoro e sostegno della nostra letteratura, vediamo che ogni anno abbiamo occasione di discorrere o di nuovi lavori sul nostro maggior poeta, o di nuove edizioni della divina commedia, o d'altre opere di quell'ingegno. Rispetto a ciò se mettiamo a confronto tutto il secolo XVII colla sola quarta parte del secolo presente, troviamo in queste due epoche notabile diversità e non ordinario progredimento, che è misura comparativa dello spirito pubblico civile e letterario. Nella prima età fu Dante messo in oblio, ed anzi fu posto in discredito; e a tal circostanza potremmo forse attribuire la nascita di quel mostro di poesia, che a torto fu creduto nato unicamente presso noi italiani, solo perchè allora avemmo un numero troppo grande di scrittori di versi. Del resto la malattia fu generale in Europa, e non mancano documenti a provare che quasi tutte le colte nazioni europee fossero presso appoco tinte della stessa pece, e seguissero la stessa scuola.

E vi fu taluno che forse a torto ebbe opinione che in quel tempo ciò avvenisse, perchè l'istruzione letteraria essendo allora quasi esclusivamente affidata ad una società di maestri diffusi per l'Europa tutta, facessero questi porre in oblio Dante e le opere sue, dirigendo gli studi letterari per altra via. E forse questa strana opinione ricevè appoggio dai tentativi fatti per arrestare

lo studio delle cose dantesche ancora oltre la prima metà del secolo passato, da due rinomati scrittori di quella stessa società di maestri uno de' quali prendendo a dichiarare la divina commedia, prese occasione di spargere i suoi commenti di amare critiche contro il poeta. L'altro poi evocò dagli Elisi l'ombra di Virgilio a dare un men favorevole giudizio sul poema sacro. Ma vi è di buono che ai commenti del padre Venturi e alle lettere virgiliane dell' exgesuita Bettinelli, che riuscirono inefficaci allo scopo, è stato dato nel presente secolo quel pregio che meritano. Di fatto non ci è stato mai un tempo (eccettuati i primi tempi dopo la morte di Dante) in cui, quanto al presente, egli abbia occupato le menti e le penne degli studiosi e dei letterati.

E quel che più fa lusinga a noi italiani si è, che vediamo entrare a parte di questo studio non la sola Italia ma eziandio le altre culte nazioni europee; cosicchè possiamo dire che oggi lo studiar Dante non è più occupazione municipale italiana, alla quale siamo d' avviso che partecipino, quanto è dovere, anco i concittadini del sommo poeta.

In proposito di che non merita intera credenza il buono editore veronese del vocabolario della Crusca, oggi mancato ai vivi con non lieve danno della nostra letteratura e della lingua italiana ; e fu solo perdonabile la sua credulità al suo zelo per la nostra lingua, se facendosi eco delle voci altrui, nella sua prefazione asserì di sapere, che al presente (ne'primi 10 anni del secolo corrente) in Firenze si sprezzano come anticaglie gli esemplari del puro e bello scrivere, quali sono il nostro Boccaccio, il Dante, il Petrarca, il Villani, ec. ; e che erano presso noi scherniti coloro che li leggevano e li studiavano; e che i veronesi ne avevano la loro parte. Ei dimenticò o non seppe che appunto in Firenze più che altrove si facevano, e si fanno tutto dì, edizioni economiche di alcuni di quelli scrittori, e in grandissimo numero di esemplari, appunto per uso degli studiosi: le quali non si sarebbero tutte fatte nè si farebbero, se non ve ne fosse stato o non vi fosse un continuo smercio. Ma le sue parole di rimprovero specialmente contro i fiorentini si fondarono sulla troppo facil credenza data a quei giovani, che ei dice mandati a studio da Verona a Firenze, ai quali convenne studiar celatamente e di furto su i buoni scrittori per non esser colti da' loro maestri col Dante

in mano.

Se la storia è vera, dubiterei che quei suoi giovani, forse per dar nel genio al buon prete dell' oratorio, conoscendolo credulo quanto Apella, gli dicessero ciò per burla, ed ei se la bevve.

Ed ebbe il torto, e tanto più che nel compilare le aggiunte al suo vocabolario, aveva tra mano gli studi d'alcuni fiorentini e ne trasse partito, e si fece autore anco di ciò che a quelli apparteneva. Così non rifiutò di far passare per cosa sua ciò che l'editore dell' inedito volgarizzamento di Sallustio fatto da fra Bartolommeo di San Concordio, notò su quella versione, senza citar nemmeno quel povero editore fiorentino. Ma l'amor del vero mi ha menato fuor di cammino a dire quel che forse io non doveva. Mi si perdoni questa digressione, ed io tornerò a parlare di Dante.

In una antecedente rivista (1) fu dato qualche cenno del primo volume della illustrazione fatta al poema dantesco dal sig. G. Rossetti, e pubblicata a Londra ; e fu indicato l'ordine tenuto dall'autore nel suo lavoro, notando alcune sue interpretazioni riguardanti l'allegoria di quel poema. Oggi ci perviene il II volume di quest'opera (2), il quale contiene i canti dell' Inferno dal XII inclusive sino alla fine.

In questo volume l'autore ha cangiato un poco il primo disegno tenuto nell' antecedente, per servire più alla brevità. Ha omessa l'esposizione ad ogni canto, ha voluto esser più parco nelle osservazioni grammaticali, e nelle notizie di mitologia e di storia antica; si è ritenuto più che non fece dal confutare gli abbagli degli altri commentatori, giudicando esser suo assunto il mettere in vista le verità espresse da Dante, e non gli errori de' suoi interpreti. Ha pure omesso di fare minutamente notare gli aggettivi dal poeta applicati a Virgilio, meno che in certi casi; delle imitazioni ha lasciato affatto quelle dai posteriori imitate di Dante, e solo ha rammentato, e non sempre, quello che Dante imitò dagli scrittori antecedenti, e che può servire specialmente all' uopo Idi dichiarare la mente e le intenzioni dell' Alighieri. Come pure è stato più conciso e più parco nelle note aggiunte a ciascun canto, alcuno de quali ne è affatto privo; facendo suo principale oggetto il senso allegorico, morale, storico e politico del poema. Quindi in un discorso preliminare comprende quanto concerne alla parte morale in alcune notizie istoriche intorno all'imperatore Arrigo di Lussemburgo, ciò che riguarda alla parte istorica e politica.

(1) V. Antologia, Vol. XXV. C. pag. 1.

(2) Della Divina Commedia di Dante Alighieri, con comento analitico di GABBRIELLO Rossetti. Iu sei volumi. Vol. II. Londra, John Muirɑy, Albem.rle Street, MDCCCXXVII.

Procede dipoi a dare il testo e le dichiarazioni, ove il bisogno lo richieda, per ispiegarlo secondo la lettera; riserbandosi nelle riflessioni, ch' egli pone alla fine d'ogni canto, ad indicare come debba intendersi secondo l'allegoria. Siccome sarebbe veramente impossibile il render minutamente conto di ciò che in queste riflessioni espone l'autore: in conseguenza prenderemo qua e là alcuni pezzi che bastino a darne almeno un' idea, incomiuciando dall' offrire un saggio del suo lavoro.

Al canto XIV, Dante desiderando saper da Virgilio perchè ei gli noti, come cosa la più notabile fra quante mai ne abbia vedute sinora, quel fiumicello sanguigno che spiccia fuor della selva, Virgilio gli dice: In mezzo al mar siede ec. v. 94 e seg.; cioè, che in mezzo al Mediterraneo siede l'isola di Creta, di cui fu re Saturno, sotto il cui regno il mondo fu casto. Che ivi è una montagna chiamata Ida, già un tempo lieta d'acqua e di fronde, ora deserta, scelta allora da Rea per cuna del suo figlio Giove. Che dentro a quel monte stà dritto un gran vecchio che volge le spalle a Damiata, e che si specchia in Roma. Questo colosso ha la testa d'oro, il petto e le braccia d'argento; fino all' inforcatura è di rame; da indi in giù è di ferro, fuor che il piè destro, sul quale posa più che sull'altro, e che è di terra cotta. Che tutte queste parti, fuor che la testa, son piene di fessure che gocciano lacrime le quali fanno Acheronte, Stige e Flegetonte, e quindi riunite formano lo stagno di Cocito. Dopo avere dichiarata la parte morale di questo racconto, segue così: "Andiamo ora alle parte politica. "Furono tanto ammirate le ingegnose immaginazioni che si contengono in quel giganteo vecchio d' Ida, e giustamente.. Con esse il cantore della Monarchia (3) ha voluto dipingerci a quali colpe e pene andò incontro l'umanità nell' allontanarsi dall'aureo, primitivo stato che godeva per le leggi di quel rege sotto cui fu il mondo casto; e introduce perciò la stessa personificata scienza dell' Impero (4) a favellare

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.....

"Virgilio adunque pose la gran figura del tempo, distinta nelle principali monarchie, in Creta regno di Saturno; con che volle adombrare l'origine primitiva dell'impero, come d'istituzione divina; e la degradazione posteriore come effetto di colpa umana.,,

"Una montagna lieta d'acqua e di fronde, cioè irrigua e vegeta, sorge in un punto quasi centrale delle tre parti del globo

(3) Civè Dante. In progresso vedremo perchè lo chiami così. (4) Cioè Virgilio.

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