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te; e la prima parte cioè la monarchia, cede alla Flegetontea, perchè le mancò il suo capo e rappresentante, che era Arrigo. Ed in vero se questi non fosse mancato, la monarchia avrebbe sicuramente trionfato, e Dante avrebbe deposte le sue ossa in Firenze, e non in terra straniera. Onde quel pars par che ne indichi la prima delle due parti in opposizione, anzi il suo figurante medesimo : onde spiegherò così: Ma poichè la parte imperiale (9), Arrigo, cede peregrina ed ospite in migliori alberghi (sed quia pars cessit hospita melioribus castris), e più felice cercò negli astri il suo autore (et felicior petiit auctorem suum astris); è avvenuto che io Dante esule dalle patrie rive sono qui chiuso in terra straniera (ego Dantes, exterris ab oris patriis, claudor hic): io, cui generò Firenze madre di poco amore (quem Florentia, mater parvi amoris, genuit). E si noti che Arrigo, figurante la parte imperiale, il quale cesse e corse sugli astri a cercare il suo autore, esprime appunto che Iddio è institutore, tipo ed autore della monarchia universale sulla terra dolce desio e caro sogno di Dante.

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"Io so bene che se alla parola pars si dà il senso di parte immortale dell' uomo cioè di anima; e se al cessit si dà il valore di decessit, cioè partì, altro ne risulta: ma qual sentenza sarebbe mai questa ? ma perchè la mia anima partì, io sto chiuso in questa tomba, o sia, io sono qui sepolto perchè morii. Non so se Dante il quale si studiava tanto per esprimere belli e profondi concetti, volesse tenersela per sua questa balordaggine.,,

"Dunque tutto l' epitaffio significa: Finchè i fati vollero cantai la monarchia e l'antimonarchia, e i loro principali agenti antagonisti, figurati nei superi e ne' laghi infernali: Ma perchè la parte monarchica cedè (Arrigo) e corse nel cielo a trovare il suo autore, io morii esule dalla mia patria disamorata, e sono qui sepolto in terra straniera.

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Dopo avere posto che la Divina Commedia è un poema politico (10), che il Flegetonte è l' antimonarchia o il guelfismo, passa

(9) Pars si trova spesso in questo senso presso i latini: Pars adversa: Quint. Romanae partis erant : Liv Partes Caesaris defenderunt : Cic. Ducere aliquem in partes: Tac. Habebat in partibus Pallantem: id.; e cosi altri.

(10) Riguardo al vero senso della parola COMEDIA dice l'aut: Ob se sapeste che cosa significa quella parola, ne restereste maravigliati! Ma non potrò mostrarlo se non ne' seguenti volumi delle mie illustrazio..i. Quando saremo a laogo proprio uscirà di per sè stessa dal vecchio nascondiglio, e di tale evidenza raggiante che non sarà possibile di nou ravvisarla per vera e per genuina.

l'A. a far notare che non mai bisogna omettere di fare attenzione ai sensi ancora che sono celati nelle similitudini, le quali quasi sempre sono altrettante magistrali indicazioni col mezzo delle quali significò l'oggetto nascosto nelle sue finzioni: e ne cita alcune in questo canto. Così l'arena ardente che punisce i peccatori violenti contro Dio, cioè i nemici dell' impero, è rassomigliata a quella che fu calpestata da'piedi di Catone nemico di Cesare, e che contro di lui combattè : e per accennare che Arrigo ristoratore dell'impero romano procurò di spengere l' ardore de' Guelfi estinguendone le prime faville, dice che Alessandro accrescitore della monarchia greca faceva calpestare il vapore acceso che cadeva in quelle parti calde d'India, perchè me' si stingueva mentre ch' era solo: e con paragonare quel rosso fiumicello che spiccia fuor della selva al rio che escito dal bulicame si partono le peccatrici, allude a Viterbo, che devoto alla prima parte imperiale, fu poi diviso per maneggi de' guelfi. Con questo l' A. pon fine alle sue riflessioni sul Can

to XIV.

Venendo al canto XXI, i principali attori, oltre Dante e Virgilio, sono dodici demoni, a'quali tutti il poeta assegna un nome, che non è tutto affatto creato di pianta. Dante è soprappreso da timore di accostarsi al luogo ove sono puniti i barattieri: e al venire di un diavolo nero Virgilio gli grida che se ne guardi. Secondo i suoi principj, l' A. trova in Dante giusto il timore, perchè sondannato già per baratteria dalla parte dei Neri. Passa quindi a notare che i dodici diavoli possono alludere ai priori della città di Firenze, che di sei che erano furono portati a dodici il 2 marzo del 1803; e dodici sindaci neri furono eletti a trattare del ritorno de' bianchi a Firenze. Aggiunge inoltre che i nomi dati a quei dodici demoni non gli sembrano inventati tanto a capriccio quanto apparisce osservandoli superficialmente; perchè trova in quel tempo essere potestà di Firenze Manno Branca da cui forse Dante formò il nome di Malebranche; da Jacopo Ricci, allora gonfaloniere, il nome di Barbariccia. Massaio dei Raffa

L'eleusino significato di quella parola, che fu o d'irrisioni o di dicerie cagione ci farà conoscere che Dante compose un

POEMA SULLA MONARCHIA

Jura Monarchiae cecini.

A chi volesse ridere di questa mia promessa io propongo la scommessa di 100 lire sterline, o di mille, se non disdegna. Così vi fosse, che io me le vedrei già piombar sonanti nelle mani ;

Io le immagino sì che già le sento.

cani fra quei primi priori, è Grafficane. Così Rubicante pazzo forse può venire da Pazzino de' Pazzi; Alichino da Medico Aliotti. Non faremo neppur noi parola, come fa pure l'autore, della provenienza degli altri nomi, per credere che Mala coda sia Corso Donato; Draghignazzo, Betto Brunelleschi ; Scarmiglione, Rosso della Tosa; Ciriatto, Geri Spini; Calcabrina, Marruccio Cavalcanti, ec.

E giacchè parliamo di allusioni fra demoni e dannati a personaggi storici, troveremo al canto XXV fra i ladri Ciacco, Agnello Brunelleschi, Guercio Cavalcante; i quali sospetterebbe l'autore che Dante intendesse essere figura del conte Giovanni fratello del re di Napoli, di Betto Brunelleschi, e di Marruccio Cavalcanti, adducendo qualche ragione per sospettarlo, non già per crederlo.

Nè possiam trattenerci dal notare ciò che troviamo nelle riflessioni apposte al canto XXVIII. Giudica l' A. che Maometto sia figura dello scisma di Firenze, o di taluno che sparse dissensione fra i cittadini, e quindi immagine di qualche scellerato ghibellino. Dante dice che era rotto dal mento fino a tutto il ventre in guisa tale che così non si guasta una botte (veggia), per perdere le doghe del fondo, (lulla e mezzule): e l'autore nota che questa similitudine non è posta a caso; indicando che al giungere di Arrigo innanzi Firenze quella città perdè il MEZZULE luogo così detto, senza però citare lo storico da cui tragga questa notizia.

Passando il lettore alle riflessioni apposte al canto seguente, troverà in primo luogo la parola tegghia e l'altra ventrai la prima in una similitudine, l'altra in una descrizione. L'autore dubita che colla prima il poeta alluda a Tegghia Frescobaldi, il quale con un certo Ventraia, come narra il Compagni, si aggiunse ai fieri nemici di Arrigo.

Lasciamo qualche cosa alla curiosità dei lettori, i quali nelle riflessioni de' canti che rimangono e specialmente in quelle al XXXI, e al XXXIV potranno vedere le allusioni ed allegorie che trova l'autore; per lo che singolarmente notabili sono le riflessioni all' ultimo canto: e passeremo alla Disamina del sistema allegorico della Divina Commedia, che l'autore aggiunge alla fine della cantica dell' inferno.

Questo trattato è diviso dall' A. in parti, in lezioni e in capitoli. Noi sentiamo il dovere di confessare ingenuamente che fino dal principio troviamo difficoltà nel poterne dare ai lettori un' adequata idea, esponendone il disegno, l'ordine, e le tante.

cose nuove, e in apparenza strane, che vi si contengono. Così confidiamo che sia per esserci scusato il disordine che temiamo non sapere evitare nell' esporre lucidamente l' intendimento dell'autore; e forse saremo non accurati e involontariamente non tanto fedeli espositori della sua mente. Invochiamo pure indulgenza se in qualche parte ci avvenisse il dissentire alcun che dalle opinioni di lui.

Egli comincia da stabilire che i Ghibellini avessero unicamente in mira il promovere l'unità dell' Italia, il rettificarne il reggimento civile, e la disciplina ecclesiastica: che essi celatamente concertassero fra loro le operazioni conducenti ad ottenere l'intento loro che per intendersi e non essere intesi da altri avessero un gergo convenzionale che nascondessero con somma gelosia di appartenere al partito de' ghibellini o bianchi, e le loro intenzioni; che fossero in continua relazione fra loro nascosamente alla parte nera o de'guelfi, alla testa della quale era la curia romana : e quindi avere avuta origine una misteriosa favella, che altro mostrasse da quel che intendeva di significare.

Passa quindi a dare un saggio di questa arcana favella.

AMORE, O AMOR era l'affetto per l'impero; poichè se questa parola tronca s' inverte dice Roma, ove volevano stabilito l'impero se per intera si divide, dice Amo Re.

DONNA e MADONNA voleva significare potestà imperiale.

SALUTE valeva quanto imperatore. Così le parole: madonna manda salute a' suoi amanti significava : la potestà imperiale manda il suo rappresentante a' suoi partigiani.

VITA significò ghibellinismo: VIVERE fu sinonimo di essere ghibellino: VITA NUOVA volle dire il nuovo corso di sua vita politica. NASCIMENTO l'istante in cui vi entrò.

CORTESIA significò imperialismo, da corte, perchè l'imperatore ne era capo.

MORTE si adoprò per indicare guelfismo; e perchè il capo e regolatore ne era Bonifazio VIII, si usò nello stesso significato anco la parola PIETA.

IDDIO era l'impero: LUCIFERO il suo antagonista. CIELO la scienza politica: TERRA fu simbolo dell'azione: MARE della meditazione.

MARIA fu il nostro emisfero: LUCIA l'emisfero opposto: Figli di Maria sono i guerrieri; quei di Lucia i consiglieri.

FONTE, RUSCELLO, ACQUA ec. erano simbolo dell'educazione, e de' popoli che ne erano il soggetto.

UOMINI erano i proseliti attivi: DONNE i loro direttori contemplativi, ec., ec.

Nè queste sono tutte le frasi e i vocaboli di quell' allegorico linguaggio; giudicando l'autore che le fino a qui esposte sieno una chiave bastante a comprendere molte delle idee di Dante espresse sì nel poema che nelle altre opere di lui e di tutti i poeti ghibellini di quel tempo dopo di che soggiunge:

"Gran cose per esse scopriremo: e se per un lato ci farà maraviglia che sieno rimaste interamente sconosciute fino a' dì nostri, a malgrado delle tante ricerche fatte su quel secolo , non ci farà stupore dall' altro il riflettere che era presso che impossibile il capirle, atteso lo stravolgimento totale del linguaggio, per mezzo del quale gli uomini divenivano donne, e di quelli che erano sulla terra belli e sani, altri vivi, altri morti, altri angeli, altri demoni, altri agnelli, altri becchi, altri cani, altri lupi, altri belve, altri piante ed acque ec. ec.; e si scemerà ancor più la sorpresa, quando dalle loro parole ci sarà manifesto con quanto di solerzia e di gelosia custodivano essi tali arcani, ec. (11).

Nè a comprovar ciò mancano all' autore monumenti, ed anzi ne ha troppi; e questi sono quasi tutti i versi scritti o in brevi

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(11) Dopo le parole dell'A. qui riportate forse taluno potrebbe domandare: 1. Se tutte queste cose arcane rimasero sconosciute agli studiosi posteriori a Dante di uno due, o tre secoli, pare che uon avrebbero dovuto essere sconosciute affatto ai commentatori contemporanei, o che dichiararono la Divina Commedia al principio del secolo seguente. Come mai niuno di questi fa parola dei significati misteriosi che nel poema si adombravano ?

2. Se nel secolo di Dante o poco dopo fu quasi impossibile capire i significati e le allegorie nascoste sotto certe parolo, come mai la difficoltà non sarà divenuta impossibilità per chi venne dipoi, e fu costretto a fare indagini su quel secolo tanto lontano da noi ?

3. Se con grande gelosia erano custoditi quelli arcani dagli scrittori coevi di Dante, come si può dire che Dante osservi questo mistero quando parla tanto palesemente contro di Bonifazio VIII, contro Filippo il Bello ed altri del partito guelfo ; quando rimprovera Alberto, l'Italia ec. ec. ; e parla con tanta lode dei più acerrimi ghibellini?

4. Perchè Dante non rispettò questo mistero in infiniti luoghi del suo poema, e poi palesò la sua mente in tanti altri luoghi senza servirsi del gergo necessario ?

5. Come mai avevano i ghibellini bisogno di celare la loro condizione ai guelfi quando combattono in campo co' guelfi, quando Dante si manifesta COme ghibellino nella Divina Commedia e nelle altre sue opere, nelle lettere ad Arrigo, e in altre, e come tale accenna che era pubblicamente conosciuto; e come tale si rifugiava presso i più potenti capi de' ghibellin; ed espulso da Firenze vi si avvicinava quando eravi speranza di credere cacciati i guelfi ?

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