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ventù; ragionato e preciso nella virilità; anfaneggiante in vecchiaia. I progressi adunque che le favelle fanno nelle doti razionali e analitiche son sempre a spese delle qualità poetiche; ed è perciò che le lingue colte son sempre assai men poetiche dei dialetti.

Ogni popolo inoltre al par dell' uomo passa per l'età della fantasia innanzi di pervenire a quella della ragione allorchè la sua coltura va secondo l'ordine naturale. Indi in Grecia e in Italia le età da Omero a Sofocle e dal Dante al Tasso precorsero a quelle di Aristotile e di Galileo. Con ciò dubitiamo se mai fosse buon progresso quello in cui si vide un Leibnizio ed un Cartesio anteriori a Schiller ed a Racine. A noi pare inversa ́ e violentata coltura là ove si hanno i frutti pria de' fiori. Duolci poi l'aggiugnere che di tutte le odierne lingue europee la sóla slava può dare ancora grandi poesie all'Europa. Le altre si lasciaron dietro la gioventù loro; ed il ringiovenire è un impossibile universale. La calda disputa adunque fra' classici e romantici è una erudizione sulle arti passate.

Duolci ancora di dissentire da talune opinioni di un nervoso ed acre pensatore (17), cui non potremmo dare un testimonio di stima maggior di quello nel disputarvi, certa essendo sempre la gloria, anche ove si rimanga vinto, nel pugnar co' gagliardi.

Professando noi il principio che le ragioni più naturali e facili son sempre le migliori e le men erronee, non siamo abbastanza sagaci a veder ghibellinismo nella sentenza dell' Alighieri sulla nostra lingua. Bensì vi veggiamo la possibilità che Dante così dicesse, opinando che il dialetto toscano, non peranco allora ben purgato forse, come il fu poi, delle asprissime rustichezze di Fra Guittone, potea salire alla forbitura e nobiltà di lingua colta e scritta, imparentandosi ad altri dialetti, i quali probabilmente erano men aspri e rozzi di quel che sono oggi. Altrimenti supponendo non saprebbesi concepire come quel tanto uomo laudasse l'idioma bolognese, che ora è l'ingratissimo fra'vernacoli italici; e fora assurdo il non asserire in lui una immensa squisitezza musicale d'orecchio per non potersi mai ingannare a sentir soavità e canorità là ove non vi fossero state.

Inoltre, son essi i vari dialetti delle favelle inegualissimi in quella melodia e armonia, che ove più meno sentesi in ogni fa

(17) Vedi, Discorso del march. Gino Capponi all'accademia della Crusca, Ant. N.° 89, 9o.

T. XXXIII. Marzo.

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vella prescelta ad essere la scritta e la colta? Sì. Essi sono più o men canori, come non ugualmente canore sono tutte le voci umane ; ed il toscano, per esempio, è al bergamasco o al siculo ciò che la Catalani è al cieco che canta nel trivio. Ma son poi tutti i dialetti indegni ed impotenti della nobiltà della scrittura nonchè del dire leggiadro o ornato o grave? Nò.

In Grecia lo scrittore o dicitore avea piena latitudine di prescegliere il dialetto che più gli convenisse fra' cinque in uso; però abbondava per lo più nel gionico. In Italia si è sempre abbondato, finchè è prevalso, nel toscano, come in Germania ebbe preferenza il sassonico. Onde mai ciò? Forse pel politico predominio del popolo che il favellava naturalmente? Non al certo; essendochè la Gionia servì più assai di quello che comandasse all' Ellenia ; e nè la Toscana nè la Sassonia non mai furono preponderanti in Italia e in Alemagna. Quale dunque ne fu la ragione? Ne crediamo due. La maggiore soavità e canorità (noi parliamo a coloro i quali sentono una musica nelle lingue ) dei parlari gionici e toscani; non chè Omero e Dante, questi due universalissimi d' amendue le civiltà, gionico l'uno, l'altro toscano. L'immensa celebrità ha sempre imitatori ; e la libera imitazione de' sommi volgesi poi in legge precettiva.

Ma non perciò gli altri dialetti son degni sol di trattare sceniche scurrilità, o tutt' al più gioconde cicalate, ed impotenti dell' altezza sia del dire sia de' sensi. Parlamentavasi in veneziano nel senato veneto; e senza dubbio si converrà che non lievi o scurrili fossero gli interessi che vi si discuteano; che anzi eran sempre gravi e altissimi. Prestavasi adunque quell' idioma alla forza ed alla nobiltà oratoria. E perchè poi dovrebbe essere risibile una storia scritta nell'idioma istesso ? Sublime assai più che in ogni colta favella è il dire e il sentimento della nenia che ulula la donna calabrese quando piange la morte dello sposo o dell'amante o del figlio. Sublimi sono le frasi nella minaccia o nello scoppio della vendetta ne' ferocissimi montanari di quella provincia. Nella Gerusalemme liberata volta in quel vernacolo, il traduttore dovendo supplire alla povertà di que' parlari, non tradusse il verso

A Re malvagio consiglier peggiore

ma il parafrasò con la imagine

A cavallu sfrenatu lu speroni;

e certo all' infuori dell' insoave ritorno frequente dell'U fina

le,

non si vorrà sentire bassezza buffonesca si nel pensiero come nell' elocuzione. Dicasi lo stesso di tutte le altre, tutte nobili, situazioni e avventure,e arringhe di quell'altissimo poema.

Se mai vi è un istituto il quale, perchè inspiri sempre maggiore riverenza, presceglie ognora il dire augusto ed ognora evita lo scurrile, è 1 linguaggio della religione. Or vedemmo in Catalogna che le omelie e le pastorali de'vescovi son sempre scritti in catalano, comunque fosse questo vernacolo appo il castigliano più assai duro insoave e rozzo di ciò che è appo il toscano il calabrese. In catalano leggevamo ancora que' bandi incitantissimi che pria da Siviglia e poi da Cadice faceansi per esaltare lo sdegno nazionale; e ciò malgrado vi si sentiano gagliarde d'gnità e bellezze meritorie dell' imperativa favella del popolo-Re. Obliamo il Brighella e gli altri attori personati, a quel modo che non ci rammentiamo del lepore dell' inimitabile Vestri nel leggere il Machiavelli il Dante il Tasso, e se non sparirà, si memomerà oltremodo la prevenzione contro alla entità scritturale de' dialetti.

Al pari del meritissimo pensatore, di cui oppugnamo le opininioni, diremo, tolga Iddio d' intendere a riacerbar discordie omai quasi conciliate. Nonchè scisma, vogliamo anzi salda unione nell'unica unità italiana, che ne può e deve essere ancora salvatrice. Senonchè oseremo dire a' legittimi custodi di un tanto Palladio in questo argomento, al pari che in altro di altra indole, non vale forse meglio lo slargare il campo della libertà concessa e legale che il patire ovunque una violenza nuocevole ? E se ad un gran fine mira l'unità in discorso, non gioverebbe forse il chiamarsi in concorso e rappresentanza gli idiomi delle altre provincie nella parte che ne abbiam degna ?

Ma vuolsi finire. E finiremo da buon giornalista; cioè con un po' di critica dopo le laudi date e debite al signor Balbi. In vece adunque della quinta categoria, tutta inutile tostochè que' nomi e quelle date ognun li legge in ogni anno negli almanacchi avvisiamo che fora stato giovevole utilizzarne lo spazio addicendolo a notiziare con segni convenzionati il grado della legislane e quello dell' erudimento delle nazioni. Le leggi sono al par delle lingue l'indice metrico di un popolo; e quando son messe al fianco dell' erudimento del popolo istesso, è facile e certo il giudizio se esso le meriti migliori, o se ben gli stanno quelle che il reggono. Quanto alla coltura poi la diremo il primario degli elementi donde i Potentati traggono vita e vigore. La dimostrazione del quale asserto, già data con raziocinii dall' abate

Genovesi (18), fu ultimamente dal signor Carlo Dupin incifrata in semplici computi arimmetici, e fatta popolana mercè le lucidissime prove in numeri. Ormai è evidente assioma il dire ai governanti: "Volete assai più ricco il fisco? Insegnate,, ed a'governati: "Volete essere assai più ricchi ? Imparate.,,

G. P.

(18) V. Le Lezioni di Economia civile.

Nel punto di mandare il foglio sotto il torchio leggiamo con piacere molti elogi dell'opera del Balbi nel n.o 4.o del Nuovo archivio d'Istoria Politica Letteratura ed Arti, riputatissimo giornale Viennese, che già redatto dal sig. Hornmayer passato al servizio di S. M. il re di Baviera, è continuato con ottimi auspici mercè le cure de' valenti Mühsfeld ed Hohler 'coadiuvati dal celebre Barone De Hammer. Noi siamo molto grati a questi egregi compilatori pel modo gentile ed onorevole con cui nel prefato numero ebbero la cortesia di far menzione dell' Antologia; ma astretti dall'obbligo di rendere il debito omaggio al vero non possiamo lasciare inosservato il non giusto rimprovero all' Italia di negligere gli studi statistici. Certamente non si ignora nè può essere ignoto in Vienna che Milano vede uscir da' tipi un opuscolo periodico intitolato Annali di Statistica; opuscolo il quale oltre al far paghi i voti di tutti gli Italiani amanti dell'utilissima scienza in discorso, ha anche il merito d'esser stato concepito e portato a maturità dall' egregio Melchiorre Gioia, non ha guari con dolore di tutta Italia rapito a' viventi.

(Nota dell' Editore).

RIVISTA LETTERARIA.

Volgarizzamento inedito di alcuni scritti di CICERONE, e di SENECA fatto per Don G10. Dalle Celle, ed alcune lettere dello stesso. Testo di lingua pubblicato dall'ab. GIUSEPPE OLIVIERI. Genova, presso A. Pendola 1825.

L'annunzio di un' opera inedita di antico autore risveglia a prima giunta in ciascuno che legge il desiderio di conoscere ove si trovi il manoscritto, onde fu tolta, per lo innanzi ignorato o negletto e ciò vie maggiormente accade, quando avendosi piena contezza dell'autore, non si era mai saputo che fra gli scritti di lui, quello vi fosse, che vien pubblicato. Nè questa è da chiamarsi indiscreta curiosità, ma sì lodevole premura di apprendere qualche nuova notizia, e giusta precauzione, onde evitare i ridicoli errori, cui spesso soggiace la frettolosa credulità. Quindi è che tutti, per quanto ci ricorda, tutti coloro i quali resero pubblici colle stampe antichi manoscritti, fin sulle prime pagine del libro, ebbero cura di appagare un desiderio si ragionevole e sì facile a prevedersi, e insieme di acquistar fede alle loro pubblicazioni. Solo avvisossi il dotto ab. Olivieri di farsi immune da così lieve pena: e perciò non rechisi a male, se il primo sentimento che ci ispirò il suo libro fu di diffidenza e di dubbio. Infatti benchè egli intitoli questo volgarizzamento testo di lingua: benchè nella prefazione (la quale altro non è, sia detto di passaggio, che una ripetuta invettiva contro il buon Certaldese, cui egli largisce perfino l'epiteto di scempio) benchè nella prefazione cel proponga a modello di bello scrivere, nulla però mai dice del codice, onde lo ha tratto. Si strano silenzio ci pose dapprima in diffidenza di noi medesimi, temendo che forse cosa a tutti palese non fosse a noi soli nascosta e perciò avemmo ricorso alla gentilezza di alcuni uomini eruditi, ed in queste materie singolarmente versati, i quali tutti furon concordi nell' affermarci non esser mai stato a loro notizia che il B. Gio. dalle Celle abbia volgarizzato scritti di Cicerone, o di Seneca. La verità della quale asserzione è quasi accertata dal fatto. Perchè nulla di questo vi ha, nè un piccol frammento, nè un semplice cenno per entro ai varii testi a penna de!l'opere del Beato Giovanni, dei quali abbonda la città nostra. Chè sette ne possiede la sola Laurenziana; uno assai pregiato la Riccardiana; e diversi le private librerie; fra i quali, quello degli Albiz

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