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nianza dell' uomo ucciso, di cui si dicesse ch' egli è contentissimo dello stato suo, perchè non grida vendetta (4).

V. Nelle quattro Rettificazioni che seguono, il nostro Autore, nota gli sbagli dal sig. Daru presi intorno alla interna ed esterna politica del governo veneto: tratta le questioni riguardanti il consiglio de'Dieci, e il tribunale degl'inquisitori di stato si ferma a discutere il tenebroso affare del co. di Bedmar: offre di alcune consuetudini o pratiche civili e politiche, più rette idee che non offra nella sua storia il dotto Pari di Francia. Se noi potessimo, come veramente ameremmo, fermarci sopra ciascuna di queste ricerche importanti, dovremmo spessissimo commendare l'urbanità, la dottrina, la veracità dell'ill. A.; dovremmo assentire a non poche delle sue osservazioni; intorno a cert' altre dovremmo proporre alcuni dubbi, forse non facili a sciogliersi con molto onore della veneziana politica. Nè con ciò temeremmo di offendere l'erudito A., o pur dispiacergli: chè le macchie di quel governo al quale egli è superbo d' essere appartenuto, certo non ne oscuran la gloria. E quale repubblica, qual monarchia può vantare d'essersi dal primo fino all'ultimo giorno dell'esistenza sua, potuta serbare intemerata e perfetta? La storia. delle nazioni più illustri è, come la vita dell' uomo più puro, un misto di grande e di abbietto, di magnanimo e di vile e fortunate quelle poche dove il bene soverchia; dove gli sforzi dell' uomo non paiono direttamente congiurati a ritardare il progresso della comune civiltà!

Diremo quì in fine cosa spiacevole, ma necessaria a ridirsi; che una storia vera di Venezia ancor manca: e innumerabili sarebbero le difficoltà a ben riuscirvi. Le prime origini, che tanta luce diffondono su tutto il resto, che molte volte servirebbero a giudicare in bene ciò che, ignorando le circostanze, si tiene per ingiusto o per subdolo, le prime origini, io dico, sono, a detta de' Vene

(4) Le cagioni dell' affettuosa memoria che lasciò di sê ne' suoi sudditi la dominazione veneta, daranno soggetto ad un secondo articolo, se questo primo non sarà mal gradito.

ziani più dotti, involte d'oscurità impenetrabili; pochi ed incerti ne rimangono i documenti; le testimoniauze, passionate, contraddittorie fra loro. In questa storia principalmente sarebbe ad adottare per canone sicuro di critica, questo, che ben di rado s'osserva: credere il male, quan. do il male è palesemente o tacitamente confessato da coloro medesimi ch' avevano interesse a celarlo: credere il bene, quando il bene è schiettamente od involontariamente attestato dagli stessi nemici, dagli emuli.

K. X. Y.

Cours de Littérature française professé par M. VILLEMAIN, etc. Paris, Pichon et Didier, 1828, in 8.o

(Continuazione)

Nel secolo decimosettimo (lez. 7 e 8) la letteratura francese, ammirata per tante opere d'eloquenza e di poesia, era divenuta l'arbitra generale del gusto europeo. Nel secolo seguente, prendendo a trattare i più alti argomenti della morale e sociale filosofia, divenne per così dire la grande aringatrice d'Europa, e le sue discussioni parvero toglier pregio alle stesse discussioni parlamentari d'Inghil terra. Le une infatti, ristrette quasi esclusivamente agli affari dell'Inghilterra medesima, appena erano allora ascoltate al di fuori. Le altre risuonavano tanto più lontano ed esercitavano sugli animi tanto maggior potere, che davano speranza non d'alcune riforme locali o parziali ma d'una specie di riforma universale. Questo fatto troppo memora bile, dice Villemain, per non esser qui ricordato, è insieme il motivo delle mie escursioni fra le straniere letterature, da cui se ne raccolgono ad ogni passo le testimonianze. Nessuna letteratura peraltro ce lo attesta in modo più distinto che l'italiana, cioè la letteratura di quella fra le nazioni moderne, che precedette ogn' altra nella carriera della civiltà, e che merita pur oggi a tanti riguardi la nostra speciale considerazione.

L'Italia, lo so, ha trovato a' nostri giorni de' rigidi censori (e qui cita uno storico illustre e un celebre poeta); ma de loro sentenze sono contradette da molti fatti, che onorano il presente e fanno presagir bene dell' avvenire. Del resto, ei prasegue, io debbo soltanto occuparmi del passato, cioè di quel tempo in cui la nuova letteratura, la letteratura filosofica della Francia, divenne quasi indigena all'Italia. A tal uopo ei comincia dal delineare quella ch'ei chiama carta politica del nostro paese, dalla pace d'Aquisgrana (epoca siccome ei nota della prima publicazione dello Spirito delle leggi) sino alle guerre della rivoluzione, o, per usare d'una sua frase, sino all'epoca in cui le opinioni della nuova letteratura si trovarono armate. La sua carta ci rappresenta, parmi, con molta fedeltà quel cangiamento progressivo, che in tal tempo si andò fra noi operando, ove più sensibilmente ove meno, nelle idee, ne' costumi, nella pubblica amministrazione, e ch' egli crede in gran parte l'effetto della letteratura di cui ragiona. Questo cangiamento, promosso in origine da' governanti, fu potentemente secondato da alcuni scrittori, che diedero così all'Italia una letteratura novella, a cui se mancò l'originalità della letteratura d'altri tempi, non mancò sicuramente nè il candore, nè l'elevatezza, nè quello che può chiamarsi sentimento generale dell' umanità.

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La letteratura politica dell'Italia nel secolo decimosesto ebbe tutt'altro carattere. Nata dalle passioni de' popoli o dall' arti de' potenti, essa non inclinò punto alle generalità o alle astrazioni, non mirò ad alcun tipo ideale di giustizia e di ben essere, non si propose che il viver libero o l'assoggettamento altrui. Machiavello fu egli il segretario della libertà o dalla tirannide? Io nol so ancor bene, dice Villemain: egli ha sofferto la tortura per l'una, ha ricevuto stipendi dall'altra. Quello che so di certo si è, ch'egli s'è penetrato egualmente dello spirito d'ambedue. Egli ha scritto per avvertire il debole o per armare il potente. Del resto la sua morale è la riuscita ; ciò ch'egli T. XXXIII. Febbraio.

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intende per politica è l'arte di conquistare, di dominare di liberarsi, sia colla forza sia coll' inganno. Nè gli altri scrittori dell' istess' epoca hanno, generalmente parlando idee differenti. Di che non voglio dar colpa nè a Machiavelle nè a loro, ma a' costumi di quell'epoca, o piuttosto alle condizioni d'Italia, alle rivalità de' suoi piccoli stati, che produceano que' costumi. In condizioni affatto diverse poterono alfin sorgere altri scrittori, pubblicisti filosofi, giureconsulti umani e generosi, economisti più o meno illuminati, de'quali si parla tanto più volentieri, quanto più ci stanno a cuore i grandi interessi della vita sociale, a cui essi consecrarono le lor fatiche.

Questi scrittori onorarono certamente la letteratura francese del decimottavo secolo, appropriandosene, spiegandone e spesso avvivandone le idee, per adattarle all'indole o all'intelligenza de' loro concittadini. Un uomo celebre lo storico illustre già citato) nega loro l'ingegno e lo stile, e non loda ne' loro libri che la bontà della materia e la diligenza delle ricerche. Certo il loro stile non è lo stile di Montesquieu, non è quello stile che dà all'idee un'impronta inimitabile, sicchè poste in circolazio ne come le monete comuni, ancor ci sembrano preziose medaglie. Quanto all' ingegno, vari di essi probabilmente n'ebbero più che non poterono mostrarne, o impediti da circostanze locali, o prevenuti da nostri scrittori, di cui si proposero l'esempio. Del resto è pur d' uopo ricordarsi d'una cosa, che dimenticata ci renderebbe ingiusti così verso i nostri come verso gli stranieri scrittori. Molte verità, oggi rese popolari, furono già nuove ed ardite; e l'istessa loro popolarità ci attesta l'ingegno di quelli che primi le annunciarono. La gloria di quegli uomini benemeriti è per così dire scomparsa nel pieno trionfo delle verità medesime; di che eglino, ove fosser vivi, si rallegrerebbero grandemente, dolendosi soltanto (questo passo, ch' io qui reco in compendio, ebbe molti applausi,) che non tutte la verità da essi proferite con un coraggio magnanimo, che spesso parve imprudente, sieno ancor divenute il patrimonio de' popoli. Ma se la loro gloria è

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scomparsa, resti almeno memoria del beneficio; e questa memoria, ch'è parte della nostra gratitudine, giovi a render più giusta la nostra critica.

Singolar vicenda, ei prosegue, delle umane cose! Oggi quanto ha di più deplorabile il passato, quanto pur dianzi pareva incorreggibile agli sforzi del raziocinio, più non ci sembra che un sogno, che un soggetto poetico per l'eser cizio dell'imaginazione. In un libro, che può qui citarsi, poichè appartiene all'alta letteratura sebben sia un romanzo, Manzoni ci fa rabbrividire, allorchè, descrivendoci la peste che desolò Milano nel 1630, ci mostra que' miseri che morivano a migliaia, forsennati pel terrore accusarsi l'un l'altro d' un delitto impossibile; e la tortura; per istrapparne la confessione, mescolarsi agli strazi di cui era spietatamente prodiga la natura. Ma quest'orribile accidente d'un orribile disastro non è per lui (ripetiamo la frase già adoperata) che un soggetto poetico. Settant'anni prima di lui, al tempo d'uno scrittore suo concittadino che ora nominerò, esso era ben altro. La saggezza del conte di Firmian, preposto allora al governo di Milano , pagava il suo debito al secolo, promovendo gli studi utili, proteggendo alcuni scrittori filantropi, ec: ec. Ma nulla o quasi nulla aveva ancor potuto contro i rigori di quelle leggi barbare, che la conquista, il dispotismo, la mal intesa imitazione degli usi romani avea radicate nel suolo lombardo. La tortura, vero delitto delle leggi, ancor si inanteneva, benchè alquanto temperata nella sua applicazione, distinguendosi in preparatoria e straordinaria, l'una un po' men feroce dell' altra, che infliggevasi come pena. Il giovane Pietro Verri, sdegnato di quest' avanzo di barbarie, già da lui combattuto, ma timidamente, in quel celebre giornale che scriveva con alcuni suoi degni amici, e che allora si pochi leggevano, andava cercando argomenti per combatterlo con più franchezza. Egli scopre negli archivi della città la storia giudiziaria dell' orribile accidente che già si disse, ne è commosso nel profondo dell'anima, ne fa soggetto d'un discorso filosofico infinitamente drammatico, e dà così il combattimento a cui ane

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