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sando in rapida rivista gli scaffali d'una biblioteca, ditemi se avete mai veduto altro che lunghe fila di morti rive. stiti, con più o meno ingiuria, di pelli di vitello o di pecora col nome scritto sulle spalle in un cartellino, che per molti dovrebbe convertirsi in iscrizione lapidaria? Io altro non vidi; dunque lasciate che mi rimetta in viaggio, affrettandolo quanto più posso, entrando nella valle ove trovansi i due ultimi oggetti del mio pellegrinaggio. E qui passo in mezzo a una folla di gente a piedi e a cavallo, e in ogni genere di vettura, e tanta è la confusione, che quasi potrei paragonare questa scena a quella descrittaci dal bravo Manzoni, quando la valle ove sorgeva il castello dell' Innominato riempiesi di gente che vi accorrono da tutti i paesi vicini per cercarvi ricovero dalla licenza d'invasori stranieri. La situazione del castello di Lichtenstein potrebbe descriversi con le parole medesime, e così pure la valle pare quella stessa; ma le liete facce di tutti; il vociferare degli studenti della vicina università di Tubinga, che tenendosi sotto il braccio in lunghe fila intuonavano in coro canzoni di allegria; i mazzetti e le ghirlande di fiori che da vari gruppi di poveri fanciulli del contado lanciavansi nelle carrozze, tutto mostrava che lieta caper gione muovevasi quella numerosa brigata. Noi seguivamo lungo un limpido fiumicello gli avvolgimenti della valle ristretta fra monti, che ad ogni momento presentano forme bizzarre di massi, che quasi tutti hanno in bocca del popolo un nome, e una storietta. Quel ciglione di rupe che sporge dalla valle, è detto il Sasso della vergine, perchè da quello si precipitò una bella forosetta perseguitata da un cacciatore. Tra quelle roccie a sinistra trovasi l'abitazione d'uno sciagurato che si è dato al demonio, e che vi dimora rinchiuso in guardia di grandi ricchezze, finchè un mortale intrepido non venga a liberarlo, sottomettendosi per tre notti di seguito alle più terribili prove. I te sori gli sono promessi, ma la morte ha già punita la temerità di più d'uno che ha osato prendersela cogli spiriti infernali. Quel burrone a destra è quello di S. Orsola; e da quelle crepature sbucan fuori certe fatarelle buone

buone che vengono ad aiutare al lavoro le brave contadi nelle, che se lo trovano fatto senza quasi averci messa la mano. E di tali chiacchiere fo qui parola, non tanto per dar nuova prova, che già ne abbiamo abbastanza, che la superstizione appartiene ad ogni popolo, ma perchè ho osservato che queste tradizioni sono più proprie di paesi ove le coltura generale del suolo fa parere all'occhio volgare eccezioni all' ordine della natura, ogni oggetto in cui non si manifesti la vita; onde l'agricoltore ricorre al so prannaturale per ispiegare i motivi dell' esistenza d'ogni rupe e d'ogni spelonca. E di qui negli antichi tempi gli antri di Trofone, e delle Sibille; di qui i tanti ingressi d'Averno; di qui mezza la mitologia. Ma vi domando perdono se mi perdo in vane ricerche, anzichè salire verso quel castello che da tanto tempo ci sta d'innanzi alto al. to, sopra massi che perpendicolarmente s' innalzano dal fondo della valle, e in cima ai quali parrebbero a un poeta un nido d'aquile. Siamo giunti a un paesetto; vi si fermano le carrozze; qui comincia la salita, e bisogna farla a piedi ; ma in tanta compagnia par proprio che uno porti l'altro tanto il conversare e il buon umore universale fa dimenticar la fatica della via. Giungemmo alfine al castello, che ora ha deposto ogni aspetto guerriero, e si è convertito in dimora di cacciatore. Oggi da questo cacciatore aveva ricevuto un'altra destinazione, quella cioè di accogliere centinaia di ospiti, a'quali dopo la faticosa salita non è discaro il ristorarsi. Isolato da tutte le parti, il castello non comunica colla cresta del monte se non per mezzo di angusto ponte. Ci affollammo su questo dietro a quelli che già l'occupavano, e a gran fatica trovai modo di penetrare. Godesi da questo castello stupenda veduta ; cade a piombo, e quasi atterito lo sguardo nella tremenda profondità della valle, in cui scorre un torrente, che ora apparisce quasi lucido nastro, ora è nascosto fralle piante, ora bagna le case di due paesetti, di cui si potrebbe da questo punto disegnare la pianta ; ora freme fra i massi degli opposti monti, fra i quali si è aperta la via, e che son tutti cuoperti di foltissime selve; ma T. XXXIII. Febbraio.

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l'occhio dominando le loro cime scorge fra queste una più ridente pianura, illuminata da un cielo più libero, irrigata da ruscelli più limpidi, rallegrata da più liete dimore e che distendesi col corso del Neckar fino alle vicinanze di Heilbroun, luogo caro alla storia e alla poesia, perchè vi si conserva la mano di ferro di quel celebre Goetz di Berlichingen, che il Goethe seppe con tanta verità storica far rivivere sulle scene.

Disceso dalla mia specola uscii dal castello e m' incamminai verso la Grotta della nebbia. Discesi tra prati e selve, e dopo mezz'ora di cammino un romore indistinto che proveniva da un vicino boschetto mi avvertì che non era lontano il luogo cercato. E infatti scorsi ben tosto fra mezzo ai tronchi molti gruppi di gente, e procedendo mi ritrovai in mezzo a numerosa adunanza, raccolta sopra vago praticello circondato da altissimi faggi. All'ombra di questi gli uni eransi coricati a far merenda; altri si facevano premurosi intorno alle carrozze di belle cittadine; e da una parte erano gruppi di studenti intorno a tavole cuoperte di vivande, da un' altra andavano intorno carretti con botti di vino e di birra e tutti stavano attendendo l'ora che fosse pronta l'illuminazione della grotta. Venne il bramato momento, e il campo si mosse, ognuno affrettandosi giù pel pendio del monte, scorciando quanto più poteva la strada; ed eccoci giunti al tenebroso ingresso. Entriamo e cominciamo a discendere in quel piccolo averno. Fra poco ogni luce del giorno sparisce, e al calore dell' atmosfera succede un' aria gelida che fa abbrividire. Continuiamo a discendere, e già ci colpisce la luce di un gran numero di punti luminosi, i cui raggi traversano le tenebre senza esser bastanti a dissiparle. Finalmente siamo al basso; penetriamo nella caverna, la quale mostrasi a destra alta e spaziosa, e dividesi a sinistra in due rami più stretti, che più allettano l'osservatore. Lunghe fila di lumi rischiarano le pareti composte di massi bianchi e luccicanti, a' quali l'acqua che filtra ha dato in vari luoghi forme singolarissime, alle quali l' immaginazione presta il nome di altare, di frate, di pulpito. Giunti

all'estremità di questi rami della caverna, si passa sotto un arco che riunisce i due rami. Presso a questo arco sorgeva una scala a piuoli, e alzando il capo scuoprii una nuova grotticina ugualmente illuminata, nella quale pe netrai, e nella quale il duca Ulrico di Wurtemberg, perseguitato dalle armi di Carlo V, e da' propri sudditi ribellati, trovò ricovero mentre travestito fuggiva verso la Svizzera. Al mio discendere nella grotta inferiore, venni colpito dal suono di vari strumenti. Era veramente incantatrice la loro melodia in queste volte sotterranee, ove ogui masso ne aumentava l'effetto, ed ove nessun altro romore interrompeva que' suoni se non il monotono cadere di qualche goccia, che sembrava accompagnare misuratamente quella dolce armonia. Godendo di questa, io continuava ad osservare questo bel sotterraneo, la cui voltá in alcuni punti s'innalza a più di 70 piedi, é si estende per più di 500 ne' suoi rami principali, non parlando dei minori, ne' quali è malagevole il penetrare e che non erano illuminati. È questa la caverna che dice+i non so per chè della nebbia, e questa come il castello di Lichtenstein è celebre nella storia di Wartemberg; e nuova celebrità hanno ottenuto recentemente que 'luoghi dalla penna d'un giovine scrittore di Stutgardia, che immaturamente è stato non è gran tempo rapito alle lettere.

Ma non è questo il momento di parlarne, e noi già siamo d'accordo che qui debba finire il nostro viaggetto. Ma se ci ha questo recato qualche diletto, quanto maggiore ce lo recherebbe un simile pellegrinaggio nella nostra ridente Toscana, ove la natura ben altre bellezze ci mostrerebbe che quelle da me descritte, e dove ciascuno potrebbe camminando dir veramente col buon Pananti : Io spiro la soave aura de' colli I profumi de' verdi praticelli, Odo il sussurro delle aurette molli, Le tenere canzoni degli augelli, E passeggiando libero a mio modo, Del ciel, de' campi, e di me stesso godo.

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E. MAYER.

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Discorsi sulla storia Veneta, cioè rettificazioni d'alcuni equivoci riscontrati nella storia di Venezia del sig. DaDel co. DOMENICO TIEPOLO patrizio Veneto, Socio onorario dell'Ateneo. Vol. II. Udine, fratelli Mattiuzzi 1828.

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Confutazione dettata con rarissima urbanità, con singolar buona fede, e con molta cognizione di causa: giacchè il dotto Autore, "per la facoltà che gli dava,, no gli offizi da lui sostenuti, ha potuto vedere le più gelose carte che si custodivano nell' archivio del Senato, detto Secreta.,, I molti sbagli dell' ill. Storico francese, il Patrizio veneto li mette in chiaro con le parole medesime dell'Autore, con le autorità degli storici più riputati; sicchè, quanto a' fatti particolari, le risposte vengono soddisfacenti, e ripongono il vero in piena evidenza. Il dubbio stà ne' principii. Noi possiam facilmente ingannarci nel giudizio di tale o tal altra azione politica e quelle che a noi parranno più ingiuste, tiranniche, vili, possono avere avuta una scusa potente, una ragione legittima, incognita a noi, che le rendeva in sè stesse innocenti, nobili, necessarie quelle all'incontro che a noi parranno più conformi agli ordini della legge e della giustizia, posson essere state, o ne' mezzi o nel fine, degnissime d'ogni biasimo e d'ogni disprezzo. Egli è perciò che voler giudicare un governo da’fatti particolari, è sempre norma fallace: i principii, lo spirito, l'andamento totale, quest' è 'l più degno e il più sicuro soggetto alle meditazioni del saggio. E nel presente articolo s'avrà luogo a vedere come, concessa anche la falsità di tutte le particolari accuse che al governo Veneto si vengon facendo tante e sì gravi, rimane nell'essenza sua stessa un principio, non degno al certo di lode, ed è il potere arbitrario aiutato dalla delazione; velato, ch'è quanto a dire reso più terribile dal secreto. Io dico che in quel celebrato governo l'applicazione di certe leggi politiche non avea legge che la moderasse; difetto comune alla

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