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tico. Queste opinioni, che si mantennero nel tempo del papato degli avignonesi, crebber poi negli anni dello scisma. L'università di Parigi ebbe in quel tempo e Gersone e Giovanni il Piccolo ed altri celebri teologi, che son lodati come i maggiori sostenitori delle opinioni particolari intorno al governo esteriore della chiesa che distinguono i dottori francesi. Molte di queste cose si sarebber dovute dire sotto il regno dell'infelice Carlo VI, ma le calamità della Francia sotto quel regno richiedevano tutta la nostra attenzione. Ma non voglio avanzarmi più oltre senza avvertire i lettori già stanchi ch'io mi trattengo a parlar di delitti e di sventure non per libera scelta ma per storica necessità. 1 tempi che abbiam presi a considerare non ci offrono in Francia che tristizie, e queste al certo non si devono tacere. Dubito anch' io che gli uomini raramente imparino per le vie del dolore, e credo piuttosto che l'eccesso delle calamità li faccia anco più vili che infelici. Perocchè il continuo succedersi de' mali toglie dal cuore la speranza, e ti avvezza a considerar necessario ciò che vedi accadere; così le simpatie a poco a poco vengono meno, e dall'altro canto manca l'ardire di por mano ai rimedii. Peggio poi vanno le cose se essendo tu avezzo a riguardare le calamità onde sei afflitto come mezzi di bene, i pregiudizi t'impediscon la via di cercarne le vere cagioni. Allora si che rimane difficile il definire sin dove giunger possa l'avvilimento degli uomini, e sino a qual segno i tristi che ne godono possano aggravare la mano sopra di loro. Pure se fosse possibile rinvenire una certa misura della pazien

e della rassegnazione di cui gli uomini son capaci, si avrebbe un dato sicuro pei calcoli di probabilità onde può risultar la speranza nel perfezionamento morale e civile. degli uomini. Disgraziatamente quanto più si studia la storia, meglio si conosce la somma difficoltà di stabilir con sicurezza una regola generale, si scopre la fallacia di tutti i sistemi, e si vede quanto nella felicità degli uomini sia sempre permesso all'impero di fortuna, che pare si eserciti più spesso in danno che in benefizio dell' umanità. Nondimeno vi sono de' bisogni così forti nella natura umana,

che a tutta possa vogliono esser sodisfatti, che vincono gli ostacoli materiali, superano i pregiudizi, e trionfano facil. mente quando la società è già in tal modo corrotta, che le quistioni si decidano quasi per la sola fisica forza. Ma in uno stato di media civiltà, se i pregiudizi aggiungon potenza morale alle forze fisiche dalle quali derivano i mali sociali, riman sommamente difficile agli uomini di avanzare, poichè i pochi che si avvisano di pensare da senno ai propri interessi, van piuttosto ad accrescere il numero de'malvagi, che a farsi procuratori della comune utilità. Le moderne nazioni europee sono escite anco da questo secondo stato, ma vi hanno faticato più che ad escire dalla barbarie per giungere allo stato di civiltà mediocre, e molte nazioni rimangono ancora sulla terra delle quali non si saprebbe dire se e quando potranno avanzare. Queste difficoltà non muovono già da difetto naturale di forze ma da una disgraziata influenza delle idee sulle azioni, che o rende sterili i doni di natura, o più spesso spinge gli uomini a rivolger le proprie forze contro sè stessi.

Il filosofo che considera quanto sieno semplici le ragioni d'interesse che avrebber dovuto condur gli uomini per la diritta via, quanto agevole a farsi il calcolo delle forze, deve rimaner maravigliato nel vedere con quanta lentezza si giun. ga ad una larga civiltà. Ma se riflette un momento non può mancare di conoscere di qual ritardo sieno state cagioni le larve dell'immaginazione, e le vane astrazioni che son ricevute senza essere ragionate nè intese, e però riduconsi ad una potenza di nomi. Concederò volentieri, poichè niente parmi doversi tenere per assolutamente e costantemenre vero, che queste stesse cause di guai, ab biano anco prodotto de' beni; ma dubito assai che il male superi di gran lunga il bene. Bisognerebbe poter far ragione del sangne sparso per le questioni che non aveano alcuna utilità, dell'avvilimento che viene dal soffrire dell' inquieto moversi de'popoli, del loro frequente vendicarsi senza sapere precisamente e che volessero e cosa avesser dritto di volere, e poi se ne avrebbe un qualche lume per scioglire la questione. Per nostra mala ventura il calcolo

degli enti morali non può ridursi a matematica dimostrazione, dipendendo dalla diversa misura con che ciascuno è solito estimarli. Solo sarà utile osservare che nel gran movimento che agitò i popoli negli ultimi cinque secoli dell'età di mezzo, se tutte le forze che spiegarono fossero state dirette ad un fine di ben conosciuta utilità, se ne sarebbe dovuto ottenere un risultamento anco maggiore di quello che difatto si conseguisse. E poichè vediamo dal Xlll al XVI secolo la Francia procedere assai più lentamente, non dirò soltanto dell'Italia, che non sono neppure da fare confronti, ma dell'Inghilterra e della Germania comechè non cedesse loro in agitazione sociale, mi pare che si abbia un argomento di più per sostenere la tesi che di sopra annunziava. Perocchè la condizione politica della Germania e dell'Inghilterra era tale da richiamare più facilmente che in Francia gli uomini alle considerazioni dei fatti; e per quanto si voglian suppor gli uomini poco capaci di ragionevolezza, pure l'esperienza dimostra che il fatto ha la forza di vincere se non in tutto almeno in parte le vane speculazioni.

Sono sceso in questa digressione più per proporre una questione che per risolvere cosa alcuna. Del resto, siccome credo ch'essa sia una di quelle tante che posson ricever lume dalla storia dell'età di mezzo, così mi pare che nell'accennarla io non sia poi escito dall' argomento. Potrei forse farne una qualche applicazione alle nuove scuole di filosofia trascendente che sembrano prender piede in Francia, ma questa sarebbe davvero una digressione, ed io voglio finirla con Carlo VI.

Il regno di questo principe infelice dette alla Francia 41 anni (1380, 1421) anco più calamitosi dei regni dei due primi Valois. Sono da notare nel medesimo tre periodi distinti, vale a dire otto anni dell' amministrazione degli zii (1380-1388); tre anni ne' quali Carlo Vl governò da sè; e 29 anni di pazzia del re, ne'quali potrebbe dirsi quasi che la Francia non ebbe governo (1392-1421).

Non era ancor morto Carlo V che il Duca d'Angiò uno degli zii del nuovo re, si era violentemente appropria

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essi seguirono età di 12 anni,

to il tesoro regio, ed avea ridotto il governo alla necessità d'imporre ai popoli nuove gravezze. Questo fatto fu il preludio della rapacità colla quale gli zii avrebber gover nato, e che non cessò mai nel tempo della loro amministrazione. Ma fosser eglino almeno stati in pace fra loro! Questo è pure era da sperare da che si eran visti prossimi a venire alle armi per decidere della tutela e della reggenza nella minore età del re. Il perchè il consiglio di dichiarare Carlo VI, allora in capace di reggere lo stato. Ciò non toglieva loro di fatto l'amministrazione, perchè il principe vivendo nell'ozio lasciava agli zii le cure dello stato, e firmava le ordinanze secondo che gli erano proposte. Lo conducevano invero al campo di battaglia, ma tenendolo sempre lontano dal pericolo lo facevan poi godere del lacrimevole spettacolo de'patimenti de' vinti, e contare i morti ch'eran periti per le armi regie. Nè i vinti erano già inglesi. Erano i borghesi delle Fiandre, massime Gantesi, erano quelli di Rouen, eran quelli di Linguadoca, che avean voluto difendere i privilegi municipali acquistati per la forza e già riconosciuti da're. Contro di questi si procedeva con furore più che ostile, quasi non fossero membri della monarchia francese; dirò più chiaramente, quasi non fosse con loro comune una stessa legge di umanità.

La storia della lotta dei borghesi contro l' aristocrazia è forse la sola parte della storia del regno di Carlo Vl, nella quale si scorga qualche virtù, la sola almeno in cui si possa riconoscere il buon senso della nazione. Pare quasi incredibile l'odio che spiegarono i gentiluomini francesi contro i borghesi, ed appena si può capire come un re possa avere avuto disegno di fondare la sua potenza sulle rovine. Si è parlato molto della perfidia dei tiranni d'Italia, ma niuno in quel tempo eguagliava in perfidia il duca di Borgogna e gli altri zii del re di Francia. Un sistema di distruzione e d'impoverimento quale fu da essi adottato non fu mai seguito con tanta perseveranza in quel secolo da alcuno de' signori Italiani.

Gli zii messero nell' animo del re tanta diffidenza

de' borghesi, che di tutto faceva ragione a decretar confiscazioni e supplizi. Nel ritorno del re da una delle sue solite spedizioni i parigini si eran preparati a riceverlo con festa militare chiamando la gioventù a prender le armi. Fu dato ad intendere al re che ciò che era fatto per onorarlo avesse un secondo fine. Quindi esso venne verso Parigi cogli ordini che si terrebbero avvicinandosi a città nemica. Di che avvertiti i parigini richiesero spiegazione del voler regio, per uniformarsi al quale docilmente deposero le armi. Ma che ne avvenne? Oltre i segni di disprezzo che afflissero l'intera nazione, cento cittadini furon condannati come rei di stato, e le sostanze di molti furon applicate al fisco. Queste interne fazioni impedivano alla guerra, che sempre durava cogli inglesi, di avanzare al suo fine. Ma siccome poche erano le forze che allora avea l' Inghilterra in Francia, due volte i francesi avean fatto disegno di portare la guerra nella Gran Brettagna; il popolo avea supplito alle spese, il governo avea fatto le provvisioni, i gentiluomini sempre pronti alle armi erano accorsi; ma gli zii del re convertirono in proprio profitto i denari, e per privati rispetti fecero andare a vuoto l'impresa. Per farsi un idea della disciplina degli eserciti regii che traversavano la Francia, giova riferire un passo di Froissart, nel quale descrive la marcia de' francesi che nel 1386 dovean passare in Inghil

terra.

Adonc vint le roi de France à Baupaume, Arras et Lille et toujours avaloient gens de tout côté si grandement que tout le pays en etoit mangé. On prenoit par tout sans rien payer. Les pauvres laboureurs qui avoint remplit et recueilli leurs grains, n'en avoint que la paille, et s'ils en parloient ils etoient battus ou tués. Les viviers estoient pechés, le maison abbattues pour faire du feú. Ne les anglais s'ils fussent arrivés en France ne pussent point faire plus grand exil (scempio) que les troupes de France y faisoit. La les maudissoient les povres gens. . . . . . maisles maudissoient entre les dents disant: or allez en Angleterre que jamais n'en puisse-t-il revenir piece.

Fra tanta corruzione, Carlo Vl poteva riguardarsi co

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