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OSSERV. 99. Credo avere abbastanza provata la difficoltà di ammettere che il bronzo riportato alla Tav. XXI. dia una bell'idea dell' armatura Etrusca: intendo per altro di quella usata dagli Etruschi avanti la suggezione loro ai Romani; onde sopra di ciò richiamo il mio lettore all'osserv. 70. Ora è da notare che i cinque monumenti addotti in esempio delle armature Etrusche, più difficilmente dello stesso citato bronzo si possono ammettere, perchè invece di contener cose Etrusche han fatti Greci, e per tali sono spiegati dal nostro A. che ora gli confonde co' fatti e costumi d' Etruria. Egli ci pone in diffidenza sulla scorta che i monumenti citati dal Bonarroti ci posson fare per conoscere le armature Toscane. Ma è da riflettere che il detto scrittore premette che tutti i b. r da esso citati in esempio rappresentino combattimenti e fatti degli Etruschi; nè siamo certi ancora s' egli erri, perchè a quei b. r. non è stata data per anche diversa spiegazione; quindi Egli ha tutta la ragione di dedurne che se in essi si rappresentano Etruschi in azione, Etrusche esser debbano anche le armi loro, e quanto altro in quei b. r. è figurato. Ma il nostro A. potrà egli pretendere maggior fede dello scrittore ch' ei critica? mentre dichiarando che i fatti espressi nei suoi monumenti son Greci, vuole nel tempo stesso che vi si riconoscano le armature ed ogni altro costume degli Etruschi.

TESTO Tom. II. p. 129. Consistevano le fortificazioni nelle loro alte e forti mura, fiancheggiate da eminenti torri, distanti le une dalle altre quanto comportava il tiro delle armi da lauciare. 31 E noto che dal nome di coteste

torri, di cui eran guarnite tutte le città Toscane, volevasi derivato quello de' Tirreni. Rutilio ( Itin. 1 596.) chiamò pure gli abitanti dell' Etruria Turrigenas. Vedi la pianta di Cossa Tav. IV, e il monumento. Tav. XXXI. con le spiegazioni)

OSSERV. 100. Riportai superiormente all' osserv. 28. la dottrina del nostro A. sulle Torri degli Etruschi, ammessa come vera per dimostrare la contradizione, che dalla medesima ne risulta ́, avendo egli addotta la presa dei Lavici per provare la debolezza delle mura antiche d' Italia riportai parimente l'etimologia dataci dall' A. della voce Tirrenia, per provare che in seguito fu migliorata quell'arte di fortificarsi. Ora esaminando il monumento ch'egli riporta in testimonianza di questa sua asserzione, trovo che non è atto a sostenerla, perchè rappresenta Tebe e non una città Etrusca, di che conviene anche l'A. stesso (1). Inoltre mi è facile il provare inesatta l'etimologia della voce Tirrenia derivante dalle Torri di Etruria, poichè il nostro A. che qui l'ammette come già nota, la controverte anteriormente al Tom. I. pag. 106, not. 2. Aggiungo ancora che Rutilio Numaziano citato dal nostro A. in prova dell' esistenza delle Torri in Etruria, scrisse il suo Itinerario verso l'anno 420. dell' era nostra ; tempo in cui le fortificazioni d' Italia doveano aver già mutato aspetto, nè esser più quelle de' tempi, in cui gli Etruschi non erano ancor soggetti a'Romaui. Finalmente servendomi de' monumenti stessi pubblicati dal nostro A., ( giacchè

(1) V. l'Osserv. 92.

per esso restano quasi sempre inutili) per provare la falsità delle di lui dottrine, osservo che le piante delle città Etrusche di questa raccolta non indicano l'esistenza di tali torri, ad eccezione di Cossa, la quale frattanto dall' A. stesso ci viene indicata per una delle meno antiche città Etrusche (1). Perchè dunque dee Tebe servir d'esempio per le città Etrusche? L' A. nostro nota che in essa vi sono le mura guarnite d'una torre, ed io noto che anche Tebe ebbe Torri fabbricatevi da Anfione e Zeto, come si raccoglie da Apollonio Rodio (2):

Anfione e Zeto

I fondamenti ambo a gittare accinti
Per le torri di Tebe anco sterrata.

E più anticamente da Omero (3)

Che primiere gittar le fondamenta Di Tebe dalle sette porte, e quella Torriaro, che non potean storrata Abitar l'ampia Tebe ancorchè forte. Sarebbe stato dunque errore dello scultore l'aver rappresentata Tebe senza Torri, ancorchè nessuna città Etrusca le avesse avute.

TESTO Tav. XXXII. Urna in alabastro di notabil grandezza e buona scultura, in cui la figura principale vedesi rovesciata da una quadriga: forse Ippolito assalito dal toro mostruoso mentre da Trezzene incamminato s'era verso Epidauro: esiste in Chiusi nel Vescovado.

OSSERV. 101. Perchè dire forse Ippolito? men

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tre Euripide (1) racconta il fatto precisamente come vien rappresentato nell' Urua. Ciò proverebbe che l' A. non trae le notizie necessarie a tali spiegazioni dai fonti originali, giacchè s'egli avesse letto Euripide non avrebbe posto in dubbio il soggetto di quest' urna. La verità più provata che resulta da questa spiegazione principalmente confrontata con tutte le altre, è che il nostro Autore va sempre al tasto in tutta la classica Antichità: Forse ... potrebbe essere..... son queste le frasi costantemente ricorrenti nella spiegazion dell' Atlante e nel testo, e alle quali l'A. appoggia le sue più foudamentali proposizioni. Sarà forse il dubbio della scienza? ma a questa si giunge dopo rigorosi confronti e discussioni di autorità e di sentimenti; e il nostro A. se ne dispensa costantemente. Sarà modestia? ma ei non è già meno fiero e dommatico in tutti gli ammirabili sviluppi che egli sa trarre da principj così ben provati.

TESTO Tom. II. pag. 124. Non altrimenti le

corazze ес.

OSSERV. 102. Ved. le mie osserv. 69.85.86. 94. TESTO Tav. XXXIII. Urna in alabastro alquanto più grande rappresentante lo stesso soggetto, eccetto che l'animale che assale la quadriga sembra quivi un leone.

OSSERV. 103. Era necessario che l'A. avesse pienamente conosciuto il soggetto precedente per asserire che questo è lo stesso di quello. E' da notarsi la considerabile alterazione che questo monumento ha ricevuto nell'esser quì disegna

(1) Ippolit. Att. V. Scen. II.

to, mentre il Passeri (1), che lo ha veduto ed interpetrato per Enomao assalito da Pelope, confessa che l'urna essendo molto guasta non dà luogo a comprendere che bestia sia quella fatta disegnare dal nostro A. con forme di lenne. Il Dempstero ha pubblicata quest' urna (2) tal quale si trova nell'originale, e molto diversamente dal nostro A. mostrando il suo rame una Tigre piuttosto che un Leone; un sol uomo ha in capo la pelle di fiera e non già due come vuole l'A. Secondo il disegno del Dempstero che io credo il più fedele perchè senza pretensione che la scultura rappresenti piuttosto un soggetto che un altro, potrei spiegare quest' urna con la seguente favola. Sulla sponda Dircea sciolse Bacco dal suo carro le Tigri, che l'avean condotto dall' Indie e fatte mansuete eran custodite ed alimentate dalle Baccanti. Durante la guerra de' Sette a Tebe, avvenne che la Furia sforzò questi animali per porli nel primiero loro stato di fierezza, e se li condusse dietro contro i Greci, i quali non sapevano che quelle fosser le tigri di Bacco. Esse infuriate corron pe' campi, e trovato l' infelice Auriga di Anfiarao lo sbranano, mentre conduce al fiume i bianchi cavalli del suo Signore. Aconteo ch' era Arcade e cacciatore, vedendo tale strage, corre ad assaltar le tigri e le impiaga in modo ch' esse vanno a cadere estinte sotto le mura di Tebe. Ma Tegeo, come ministro di Bacco, volendo vendicare il Nume, assale Aconteo autore

(1) Paralipomena ad Dempster. Tab. LXXI. (2) De Etruria Regali. Tom. I, Tab. LXXI.

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