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come presso tutti i popoli ch' ebbero qualche sorta di commercio scambievole può ragionevolmente dedursi un' estesa comunicazione d'idee morali, per le cure de' propri sapienti e di una dose di scienza presso a poco eguale.. pag. 185. I ministri del Sacerdozio, tenuti in altissima stima e venerazione, erano pertanto i veri custodi e gl' interpetri d'ogni sapienza, la quale si comunicava soltanto a coloro, che per nascita ed agiatezze, trovavansi meglio in grado di profittarne . pag. 186. Il popolo contiuuamente impiegato in faticosi esercizj dell' agricoltura o della guerra, o in lavori industri ed utili, era costantemente rimosso dallo studio delle lettere e da qualunque sorta d'istruzione Or mentre pel corso delle cose civili era l'ignoranza tenuta come un utile, se non lodevole strumento della sommissione del popolo, l'ordine sacerdotale, che solo investigava i segreti della Toscana filosofia, occupavasi indefessamente in sottili ragionamenti e curiose esperienze, tendenti al progresso delle scienze ed arti. Principal fondamento della filosofia teoretica degli Etruschi, che aveano per massima di riferir tutto a Dio, era la dottrina ec.

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OSSERV. 63. Sommando il senso di relazione che hanno fra loro questi periodi staccati se ne deduce che il popolo fra gli Etruschi era ignorante ed i sacerdoti nei quali stava riposto ogni sapere della nazione, non si occupavano di ricercare il bello nelle arti. Anzi io suppongo che a similitudine dei sacerdoti Egiziani, quei d' Etruria avranno assegnate ai rozzi artisti o piuttosto meccanici manifattori le dimensioni e le attitudini dettate da religiosa

superstizione per eseguire quei loro simulacri di terra o di legno; e da ciò arguisco che anche in Etruria, al pari che in Egitto, le opere di genio fossero talmente inceppate da superstiziose regole e depresse da tale ignoranza, da non aver mai potuto slanciarsi o far progressi notabili. All' incontro i Greci artisti, che furono i primi a scuotere il giogo dei pregiudizi, lasciandosi guidare soltanto dalla vivacità della nazione ridondante d' Eroi, concettosa nella Mitologia, e tutta poesia nella storia, nella religione, nell' eloquenza, e per fino nella stessa filosofia, trasfusero il sentimento del piacere, del bello e del sublime nelle opere delle arti che da indi in poi chiamaronsi belle. Agelade fu quel felice genio che circa gli anni 230 di Roma fece in Grecia i primi tentativi per togliere dalla scultura il carattere di rozzo meccanismo, atto soltanto a richiamarci alla memoria la preesistenza d' un Nume o d'un Eroe, e sostituirvi quello di arte imitativa della bella natura. Pensò che il moto è una delle più belle caratteristiche della natura vivente, e volle imprimerne l'idea nelle sue statue non facendole posare più su due piedi. Nel 300 di Roma Fidia con più maraviglioso ingegno seppe dare ad ogni figura un carattere il più bello ed insieme il più espressivo che convenisse all' indole della persona che rappresentava. La Grecia segnò con quest' epoca fortunata il vero principio delle arti belle che servono ad imitare la bella natura, il cui scopo è di destarne piacere pel sentimento della bellezza. Questo passo così importante nello sviluppo dell' umano ingegno dovea necessaria

ente esser segnato con particolar distinzione ne' fasti della storia degli uomini. In fatti quanti mai scrittori contemporanei e successori a tale avvenimento sì Greci, che Latini, ed Egizj ci han lasciate chiare memorie dei prodigj dell' arte che in quei tempi si videro in Grecia! E` da riflettere che da quell' Epoca in poi abbondando noi di notizie istoriche si della Grecia come d'Italia e d'Egitto, ove furono esercitate le arti, pure tutti gli scrittori ci dicono e tutti concordemente convengono, che l'arte fece in Grecia soltanto i primi passi verso la perfezione. Come dunque si può accordare al nostro A. che l'arte perfezionandosi in Etruria con una più studiata imitazione della natura merità che i suoi monumenti fossero ricercati e sparsi per tutto il mondo conosciuto? Perchè tanto silenzio di tutti gli autori sul perfezionamento delle arti in Etruria e tanta fama di quel de' Greci? Perchè tanti nomi di artefici Greci, tante opere loro rammentate con lode, e nessun nome nè d'artefice nè di lavoro Etrusco anteriore al dominio de' Romani lodato con distinzione da veruno scrittore? A tale obiezione risponde il nostro A.

TESTO Tom II. pag 164. Plinio in vero, che distese questa parte delia sua opera su le compilazioni de' Greci, non dette il catalogo degli Artefici Etruschi, come fece degli stranieri, i quali meritamente provarono il vanto a' tempi suoi; ma deesi perciò argomentare, conforme vorrebber taluni, che nulla trovasse da lodare nella scultura Toscanica? Pur troppo accade che la fama d'uomini eccellenti con esso loro perisca; senza che sa ognuno, come la gelosia e

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l'invidia si portano di leggieri sopra gli oggetti vicini, mentre c'inducono ad ammirare quelli che vengono di lontano.

OSSERV. 64. Questa rancida difesa proposta dal Guarnacci (1) e seguita da pochi (2) ammiratori dell' ingegnoso ma falso suo sistema sulle Origini Italiche, e rintuzzata ormai da' moderni scrittori delle Etrusche antichità, non dovea ora formar nuovamente l'appoggio del nostro A. in difesa del suo sistema; o almeno dovea egli annullare le obiezioni dottissime fatte a questa difesa dagli Abb. Lanzi e Zannoni, le quali mi piace di riprodurre preferendole alle mie osservazioni.,, Alcuni han tacciato d' invidia e lui (Plinio) ei Romani tutti, quasi ,, cospirassero con affettato silenzio a deprimere le glorie degli Etruschi: supposizione ingiuriosa a quella magnanima nazione, che stimo ,, sempre la virtù di qualunque patria ella fosse. Roma antica, che inalzò statue ad Annibale il suo più fiero nemico, che fece i maggiori encomj della Grecia unica sua rivale non ebbe questa vile debolezza, nè questa piccolezza di cuore verso l'Etruria. Tutti i suoi storici l' han lodata dopo la Grecia: tutti i suoi poeti l'han celebrata sopra ogni altra nazione d'Italia: che più? non fu scritta co,,piosamente la storia di lei da Claudio Augusto? (Svet. in Claud c. 42 ) E poi qual motivo avea Roma d'invidiarla? Benchè tanto più giovane non l'avanzò in tutto? o non

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(1) Orig. Ital. Tom. II. pag. 519.

(2) Carli delle Antichità Ital. Tom. I, pag. 13. Tavanti Ist. d'Etr. p. XII, e XIII.

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avviene tra le nazioni quel che tra particolari, ove il sospetto d'invidia non cade nel più forte, ma nel più debole? (1) Se i Romani avessero sparso nei loro libri d'essere stati maestri di tutto il genere umano, sarebbe plausibile il sospetto; ma non può ammettersi tosto che veggiamo fare i più grandi elogj alla Grecia loro rivale da cui si ,, protestano essere stati istruiti. Questa inge,, nua confessione ci muove a credere che avrebbero fatto lo stesso per gli Etruschi; anzi con più ragione giacchè sarebbe ridondato a loro ,, maggior gloria l'essere stati istruiti da una na,,zione Italiana da cui si gloriavano di discen,, dere, anzi che da stranieri, e stranieri sug,, giogati. (2) Ma Quintiliano che scende al particolare sulle arti dei Toscani dei tempi anteriori alla presa di Siracusa ci dà una chiara idea dello stato di esse a quei tempi. Riporto le parole del nostro A. sul passo di questo scrittore per esaminarlo anche nelle sue difese.

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TESTO. Tom. II. pag. 159. Quintiliano (L. XII, 10.) il quale paragonò in certo modo l' eloquenza Attica e l' Asiatica con la statuaria Toscanica e Greca, potè dire con verità, che ognuno di questi generi avea le sue particolari bellezze ed i suoi ammiratori; onde, secondo il giudizio di sì gran critico, la durezza che vedevasi nelle opere Toscaniche rassomiglianti molto a quelle di Callone ed Egesia. (1] Duriora, et tuscanicis proxima Callon, atque Hegesias fecere. Callone d'Egina, scolare di Tetteo ed An

(1) Lanzi Notizie prelim. pag. VIII.
(2) Zannoni degli Etruschi Dissert. pag. 38.

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