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trattar da uguale non solo, ma dirò da superiore coi principali stati d'Europa. Nella Siria, nell'Egitto, nel Bosforo, nel Mar nero, in quello di Azof, nella Spagna, nella Francia, nell' Italia in ogni parte allor conosciuta navigavano, commerciavano, trattavano, stabilivano empori e giurisdizione consolare i Genovesi. Da questi principii mostrerò usciti i meravigliosi ingrandimenti della seguente epoca.

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Storia di Genova. -1.

LIBRO QUINTO.

DELLE SCIENZE, LETTERE ED ARTI DE' Genovesi.

CAPITOLO PRIMO.

Oratori, poeti, imperatori genovesi. Giovanni Buono. Scuole in Liguria.

I. Io lascierò di parlar di Luni, e de' suoi aruspici per non entrare in materie intricate ed oscure. Verrò a' tempi che i Liguri furono dominati dai Romani; i primi che si offrono alla nostra attenzione sono C. Elio Staleno nell'oratoria, Aulo Persio nella satirica poesia valentissimi.

C. Elio Staleno coltivò l'eloquenza ed ambi gli onori che Roma libera concedeva ai più facondi cittadini. Fu questore militare nell' esercito di Marco o Mamerco Emilio fatto console nell' anno di Roma 676. Riconciliò alcuni re dell'Oriente colla Repubblica, e n'ebbe presso al tempio di Giuturna un' aurea statua con elogio incisovi nella base. Chiese anche l'edilità, ma non ci è noto se l'ottenesse. Ben sappiamo ch' era senatore l'anno 687, e che trovandosi tribuno della plebe nel 695 si oppose vanamente al richiamo di Cicerone dall'esiglio. E perciò non è meraviglia se questo grande oratore non si lascia fuggire occasione veruna di censurare ed avvilire Staleno. Tuttavia non gli potè negare la lode di eloquente, e di attestare nel libro de claris oratoribus, che ove non si fosse chiusa la via alle dignità con avvilupparsi in cose indegne sarebbe giunto per la sua eloquenza agli onori della Repubblica; perciocchè parlava in maniera gradita ed approvala da molti. (Storia lett. della Liguria, tom. I, pag. 35.)

II. Il secondo fiori sotto l'impero di Claudio e di Nerone, regnando il quale, cessò di vivere l'anno di Gesù Cristo 62, in età di forse ventinove anni o poco meno; egli ebbe a precettore verso l'anno diciassettesimo del suo vivere, e poscia a

stretto amico, il filosofo stoico Anneo Cornuto (Sat. V.); grande amicizia legavalo ancora a Cesio Basso poeta lírico. Egli seguitava la filosofia degli stoici; però quel dispetto, quella non curanza nei modi del dire, essendo dottrina di tali filosofi che i vocaboli non sieno nè onesti, nè turpi, bene il sieno i fatti umani; quindi il pudore nelle sue satire è spesso offeso; inoltre ei voleva ricondurre ad una certa alterezza di pensieri le latine lettere cadute in viltà e sdolcinatura sotto il regno di Augusto e di Tiberio che disegnavano farle mezzo a tirannide; ma ne successe una oscurità e malagevolezza di dire, per la qual cosa le sue satire peccano spesso di contorto e di difficile; ad ogni modo Persio è dotto ed arguto, oltre l'essere pieno di sali acerbi ed ardenti. (Stor. lett. della Liguria, tom. I.)

III. Della Liguria eziandio sono due imperatori Publio Elvio Pertinace, e Tito Elio Proculo. Publio nacque in Vado, dico in Vado perchè mi pare indubitato dopochè la quistione della patria di esso fu con tanta dottrina trionfata dal D. Spotorno. Fu sulle prime semplice maestro di scuola; poscia entrato nella via dell' arte militare e degli onori civili, giunse finalmente all' impero di Roma, il quale tenne ottantasette giorni senza più; ucciso da coloro che non potevano patire si egregia virtù l'anno di Gesù Cristo 193.

IV. «< Tito Elio Proculo nacque in Albenga di famiglia no>> bile e cosi potente che ad un bisogno metteva in armi due>> mila schiavi. Non si può negare, dice Vopisco, ch'egli non » fosse oltimo e fortissimo. Trovandosi egli nelle Gallie al co>> mando delle truppe romane, accettò l'impero che queste gli >> vollero conferire; e si mostrò degno di esser principe de'Ro>> mani, rispingendo più volte gli attacchi de' barbari, con >> rendere tranquille e fiorite quelle province. Ma essen>> dovi entrato Probo imperatore, il nostro Proculo, tradito >> da' Franchi, cadde in potere del nemico, che gli tolse la » vita l'anno di Gesù Cristo 280. I talenti militari dell' ucciso >> ed i segnalati servigi da lui prestati all'impero, indussero

Si vedano le lettere del Romito di Toirano, o del Romito, Don Fronimo e Filandro, dove con molta e bella dottrina è dimostrato che la città di Alba non può in alcun modo aspirare all' onore di essere la patria di questo imperatore.

>> Probo a non recare molestia alla famiglia di Proculo, la >> quale continuò a soggiornare tranquillamente in Albenga. >> (Stor. lell. della Liguria, tom. I, pag. 68.)

V. Oppresso il mondo latino dai barbari ed avvolto nelle tenebre, è certo che i primi a veder luce anche nelle lettere furono i Genovesi; laonde mentre gli altri popoli d'Italia debbono il loro risorgimento fissare al principio o poco innanzi del XIV secolo, noi fino dai primi anni del XII ci troviamo avere riscosso pienamente lo squallore e la selvatichezza della settentrionale ignoranza. Questo, come già dissi, è prova che la civiltà romana non andò mai dispersa del tutto tra noi, e il natural vigore dell'ingegno, e il vedere i costumi e le città di molti popoli per mezzo del commercio, diè per tempo uno slancio, una prematura vividezza alle menti nostre da recarne innanzi a tutti. Fa certo stupore che, mentre in Europa gran parte del medesimo clero non si sottoscriveva perchè dichiaravasi illetterata, fosse una legge genovese del 1125, la quale prescrivesse per la prima volta che nei laudi e contratti dovessero sottoscriversi i testimoni. Lo stesso sig. cavalier Luigi Cibrario ci rende questa gloriosa testimonianza. Egli parlando di un laudo del 1117 cosi si esprime: « Notisi per segno della civiltà più avanzata dei » Genovesi che quasi tutti i buoni uomini che assistevano al >> placito avean cognome, fra quali un Guido Spinola, un Avo» gadro, un Fornari, ed altri quorum nomina, dice il Notaio, » sunt difficilia scribere. » (Econom. Polit. del Medio Evo, lib. 3, pag. 35, nota 2.)

VI. Io non mi tratterrò a parlare distesamente di due poeti, Proculo e Quinziano, che fiorirono entrambi circa la medesima epoca dal 425 al 470. Poco pure dirò di Aratore, del quale abbiamo gli Atti degli Apostoli trasportati in versi latini, e che alla poesia congiunse la giurisprudenza.

Del primo parla Sidonio Apollinare con moltissima lode; nato in Liguria da ligure famiglia: humo alque gente cretus in Ligustide. (Sidon., ep. 15.)

Il secondo, da quanto possiamo ricavarne dal medesimo Apollinare che fece una raccolta delle di lui poesie accompagnata da un suo carme, poetava in mezzo all'armi, e se

guitava Aezio di cui cantava le gesta ed il valore contro la gente dei Goti chiaramente dimostrato. È probabile che lo stesso Aezio coronasse tre volte il suo cantore.

<< Aratore, cominciò, come tutti i giovani d'alto inge>> gno dallo studio della poesia profana, attestandolo egli >> stesso in un carme all'amico Partenio, figlio ad una sorella >> di Eurodio. Ma il Partenio consigliò il valoroso poeta di » volgere i suoi carmi ad argomenti sacri. Alla poesia con>> giunse Aratore la giurisprudenza e trattò nel fòro le cause >> con tanta fama del suo ingegno e della sua eloquenza, che >> i Dalmatini avendo a spedire alla Corte un oratore perchè >> trattasse molti affari importanti di quella provincia, ne >> diede l'incarico al nostro ligure; il quale seppe corrispon» dere all' espettazione di quel popolo e meritarsi la grazia >> del re Teodorico. Vuolsi infatti che questo principe lo spe>> disse a Costantinopoli per capo di quella solenne ambasce>> ria che mandò a Giustiniano Augusto; e che Aratore per» suadesse il greco monarca a far compilare quel codice che >> abbiamo tuttavia.

>> Aratore abbandonata la poesia profana, si applicò a >> scrivere in versi eroici la storia apostolica, ch'è una pa>> rafrasi degli atti degli Apostoli scritti da San Luca. È di>> visa in due libri; ed ha talvolta il titolo De vita Sancti Pauli, » libri II. Parve allora a' Romani, presso i quali la lesse con >> indicibile acclamazione, la poesia di Aratore cosa mera>> vigliosa; a noi sembra mediocre. » (Stor. letter., tomo I, pag. 88, 89, 90, 91.)

VII. Verso l'anno 59, fioriva ugualmente Giovanni Buono arcivescovo di Milano, ma genovese, lodato dagli storici milanesi come dottissimo prelato; al quale attribuiscono eziandio l'erezione di alcune chiese magnifiche; anzi si vuole che la regina Teodolinda, presso cui fu Giovanni, quasi legato Pontificio, mandato a risiedere da San Gregorio, a sua insinuazione ergesse in Monza la splendida basilica intitolata a San Giovanni Battista. Il Ripamonti storico milanese parlando di lui, cosi si esprime: Non alius ea tempestate prudentior omnis humani divinique juris habebatur. Ma niun monumento ci rimane della sua dottrina. Egli fu che la sede

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