FLOGIO DI PIETRO METASTASIO TRATTO DAGLI ELOGI DEGLI UOMINI ILLUSTRI DI MONSIGNOR Ebbe abbe ragione un gran maestro dell' arte poetica di pronunziare, che niente è bello se non che il vero, e che il vero solo è amabile. Tutti i più venerati codici del buon gusto, tutte le metafisiche ricerche sull'arti d'imitazione si possono riguardare come tanti commentarii di questo precetto il più sacro, che a noi venisse dall'oracolo stesso d'Apollo. Ma l' unico oggetto dell'arte di quante varie forme non è egli capace, quanta diversità d'ornamenti non ammette egli, a quanti genii tutti differenti fra loro non si presta per ricevere da essi quelle modificazioni, che convengono alla natura di ciascheduno? Felici quei maestri, che sanno accomodare a questa le loro istruzioni, e felicissimo sopra ogni altro Gian - Vincenzio Gravina, che formo co' suoi consigli e precetti nel Frugoni il maggior lirico, e nel Metastasio il maggior drammatico, che vanti l'età nostra! Ma se il Frugoni potè avere, e gli ebbe infatti, de' censori e degli imitatori, non ne ebbe alcuno il Metastasio; e il rarissimo titolo d'inimitabile è certamente quello, che più di tutti deve lusingare l'amor proprio di uno scrittore. Abbiam detto altrove del primo; diremo ora qui del secondo, non per aggiungere il più piccolo grado alla fama di essi, che viverà immortale ne' loro scritti, ma per pagare un grato tributo alla loro amicizia. Nacque egli in Roma il di 3 di gennaio dell' anno 1698 da Felice Trapassi d' Assisi e dalla Francesca Galastri di Bologna. Fu oscura la sua prima educazione, come lo era la condizione de'suoi genitori, obbligati di procacciarsi dal lavoro delle mani il necessario sostentamento alla vita. Il padre Dentibus antiquas solitus producere pelles Et mordere luto putre vetusque solum (1) destinò il giovinetto a una più nobile arte, e l'acconciò con un orefice. Conobbelo a caso il Gravina, e dalla grazia, con cui lo senti cantare versi, e dalla facilità di comporli, e dalla venustà delle maniere e del volto indovinò, che sarebbe divenuto un giorno un de' più diletti amici delle Muse. Ottenne pertanto di averlo in casa sua per educarlo ed istruirlo a suo piacimento; e come se quest' epoca fosse una nuova nascita pel Trapassi, trasformò al (1) Mart. Lib. 1x. Epig. LXXV. METASTASIO lora questo nome nel Greco meglio sonante di METASTASIO. Tutto annunziava nel giovane una singolar disposizione alla poesia, che studiosamente coltivava il Gravina; e non altrimenti che fanno i giudiziosi agricoltori, che ad un terreno soverchiamente fecondo lasciano produrre in principio ogni erba ed ogni fiore per trarne poi messe più ricca e più gradita, lasciò che sfogasse fino all'anno decimosesto il suo talento di parlare in versi su qualunque soggetto all' improvviso. Il Rolli, il Vannini, ed il Perfetti, improvvisatori allora già maturi, furono i suoi contradittori più illustri. Intanto il saggio maestro aprivagli i fonti del sapere, e nella moltiplicità de'suoi insegnamenti aveva grandissima cura, che il tutto fosse disposto con propria simetria, da cui diceva dipendere la misteriosa piramide, colla quale gli antichi sapienti la scienza umana e la natura delle cose simboleggiarono. Imperocchè tutte le idee disposte per grado pendono da un sol punto, e stanno affisse e concatenate alla cima dell' idea semplicissima ed universale, onde esse si reggono e si diffondono. E perchè la facoltà poetica si estende tanto, quanto la stessa università delle cose, non avendo altri confini che l'immenso spazio del vero e del verisimile, or poggiando al sublime, or piegandosi all'umile, or sul mediocre rattenendosi, non trascurò il Gravina di tentare il suo prediletto scolare a quale di questi differenti generi di poesia era più per natura disposto. Ben presto si avvide egli, che il sublime Pindarico non era fatto per lui, e con dolce paterno sorriso or lo mirava incidere nella nuova e verdeggiante scorza degli alberi il nome di una ninfa, ora coronare il vomere di lauro, e spargere il solco di gemme, se quella diveniva coltivatrice di campi, or udivalo descrivere l'amata pastorella guidante ai pascoli il suo gregge, ed esclamare che a lei non si conveniva l'umiltà di quel grado, ma che doveva con aurea verga guidare in danza le stelle, ora cantare i trionfi della Dea del piacere, e per far più lieta la sua corte ridire in versi quello, che espresso avea sulla tela delicato pennello. Ma già la natura era impaziente di palesare al pubblico d'averlo destinato ad esser non solo il restauratore, ma ancora il creatore del dramma italiano. Di quattordici anni compose egli il Giustino; tragedia, che ben dimostra quanto il Gra vina avesse a cuore, che il suo allievo seguisse le pedate de' greci maestri, e quanto l'età giovanile sia incapace di distinguere l'oro dal piombo in quelle miniere medesime, che somministrano doviziosa copia di ricchezze. L'azione in essa è debole, e tutta la condotta è timida; non felice la pittura de' caratteri e de' costumi, senza interesse è l'amorosa passione di Giustino e di Sofia, e del fatidico Cleone per Asteria son comuni le sentenze, e caricate le descrizioni; e ben si può presumere che il Gravina, perpetuo flagello di coloro, che peccavano contro le regole dell'arte in ogni componimento appartenente alla scena, sarà stato rigido censore di questa immatura produzione del suo allievo. Ma anche i primi passi, che fa un originale scrittore, divengono interessanti, perchè mostrano i progressi della natura e dell'arte, e perchè servono col paragone a meglio giudicare del perfetto, che nelle produzioni di gusto non può essere se non l'opera di un'età adulta e di un lungo e non interrotto studio. Fu pertanto premuroso il Gravina, che il suo Metastasio fosse istruito nelle divine ed umane leggi e nelle origini di queste, che conoscesse la varia natura delle azioni e de' costumi degli uomini, e che si trapiantasse in lui la prima intera e sana idea della poesia, tal quale fu concepita nella mente de'greci autori, e da questi ai Latini tramandata, e come questo dolce regalo del cielo nel lungo viaggio e nella disagiosa via, che ha fatto dai primi maestri fino a noi, rimanesse defraudato della sua parte migliore. La musica, il ballo, l'arte de' mimi, quella del disegno, ciascuna delle quali secondo la propria natura esprime le azioni e le cose, e tutte insieme sono strettamente legate colla poesia drammatica, dovettero far parte di questa prima istruzione. Volle ancora che ascoltasse il suo venerato maestro di filosofia Platonica Gregorio Caroprese, e a questo fine lo condusse a Crotone città della magna Grecia una volta si celebre per la scuola Pitagorica. Ma il cielo non gli permise di vedere i rari frutti, che produsse nel Metastasio una si attenta cultura. Imperocchè tornato a Roma lasciò di vivere, e segnò gli ultimi momenti della sua vita col monumento il più tenero e glorioso dell'amor suo, dichiarando erede lo scolare di tutti i suoi beni, a riserva di quei pochi, che si crede in dovere di consacrare alla pietà materna (1). Giovane, ricco, avvenente e sciolto da ogni legame di soggezione, il Metastasio non fece forse il miglior uso dell'eredità del maestro. Non rallento però mai i suoi studii poetici, e pubblicate le sue poesie giovanili, che poi adulto disapprovò, si volse con tutto l'animo alla riforma del dramma italiano. L' Opera, spettacolo in cui per cagionare piacere ed illusione quasi tutte le arti si porgono come sorelle la mano, ebbe il suo nasci (') Janus Vincentius Gravina ita testor: Annam Lombardam matrem meam haeredem instituo in bonis, quae habeo in Consentina Provincia Abrutiorum; in bonis vero aliis omnibus haeredem instituo Petrum Trapassum, alias Metastasium, Romanum, adolescentem egregium, alumnum meum. mento, come tant' altre belle cose, in Firenze l'anno 1594. Prima di quel tempo niuno, benche illuminato scrittore, aveva compresa la stretta unione che passa fra l'armonia musicale e la poetica, e quanti vi erano stati fin' allora poeti italiani pensarono unicamente ad esser letti, e non mai ad esser cantati. Ottavio Rinuccini, aiutato specialmente da Iacopo Peri musico valentissimo, crede di aver trovato il vero antico recitativo de' Greci, e ne fece prova nella compo sizione della favola boschereccia intitolata Dafne, che fu posta in musica dal Peri medesimo e da Giulio Caccini. Il buon successo di questo primo tentativo produsse l'altra favola pastorale l'Euridice, che cantata nelle nozze di Maria de'Medici col re di Francia Enrico IV parve un insolito dono di celeste armonia per renderle più liete e più festose. Il poeta fu l'anima e il regolatore dello spettacolo, e quantunque non andasse esente da ogni difetto per ciò che spetta allo stile e al costume proprio de' pastori, merita ciò non ostante la lode d'aver dato un luminoso esempio di bella naturalezza musicale. Il Metastasio medesimo si glorierebbe d'aver distesa la narrazione, che fa la nunzia Dafne della morte d'Euridice, e le stanze che canta Orfeo prima di giungere innanzi a Plutone. I cinque cori di questa favola, e quel che canta Tirsi a solo nel secondo, servono a convincere d'errore il Crescimbeni, che grossolanamente asserì, che nei drammi antichi non avevan luogo i cori, e il Tiraboschi e il Signorelli, che al Cicognini attribuiscono l'introduzione dell' arie nei drammi. Un genere di poesia, che ai più severi censori può parer mostruoso, non costò poco ai suoi inventori; e la prefazione del Peri è un chiaro testimonio dei grandiosi soccorsi, che implorarono ed ottennero dalla filosofia. Chi il crederebbe però, che dopo questi felici principii il melodramma ricadesse nella sua primiera barbarie, e che fosse contaminato di tutti quei vizii, ed ancora peggiori, che tanto deturparono la poesia italiana nel secolo XVII ? Non meritano pertanto d'esser tolti dall' oblivione, in cui giacciono, i nomi di tanti cattivi compositori di drammi ; e se ricordiamo i Maggi, i Lemene, i Capece, gli Stampigli, è per pagare loro unicamente il tributo di lode d'avere in gran parte liberato il coturno dalla scurrilità del socco, ma non già d'aver formati drammi di felice invenzione e di regolata condotta. Questa palma meritò il primo Apostolo Zeno, prendendo dal vasto campo della storia, non già dalla mitologia, come avean fatto i suoi antecessori, sublimi esempii o di amor di patria o di grandezza e di fortezza d'animo, o di tenero amore, o di altre somiglianti virtù, per istruire ed interessare i suoi spettatori. Il suo stile è corretto e sostenuto, è vario nell' invenzione, giudiziosamente prepara gli avvenimenti, e da per tutto spira dignità e regola. Se non fosse nato il Metastasio, ei sarebbe rimasto il signor del teatro, ma la differenza tra genio e talento è quella che distingue le produzioni dell' uno e dell'altro. Il primo dramma, in cui il Metastasio manifestò questo dono, di cui a pochissimi è liberale la natura, fu la Didone abbandonata. L'argomento è semplice, e ciò non ostante dà luogo non solamente a scene piene di calda passione, ma anche a splendide comparse, a magnifiche ambascerie, imbarchi ed incendii. Si può dire che per quel dramma divenisse più esteso il regno dell' Opera; e la musica del Sarro servi talmente al fine del poeta, che Virgilio stesso non avrebbe saputo dar tant' anima e tanto terrore alle disperazioni dell' abbandonata Didone. Vi par proprio di partecipare delle smanie di quest' infelice regina, e dopo di avere sfidato gli elementi tutti e gli Dei celesti ed infernali, di poter dire coraggiosamente con lei: Venite, anime imbelli; Se vi manca valore, Imparate da me come si more. Ecco il primo trionfo, benchè non il più glorioso per la poesia drammatica, e pel creatore di essa. Può dirsi, che il Metastasio salto dal Giustino alla Didone, e che da questa passò al Siroe, alla Semiramide, all' Alessandro, e all'Adriano. Divenuto giudice severo di se medesimo, crede di ravvisare in questi drammi, parti di un'età giovanile, o qualche lentezza nell'azione, o, come dice egli stesso, qualche ozio ambizioso negli ornamenti, o qualche incertezza nei caratteri, o qualche freddezza nella catastrofe ; difetti che facilmente sfuggono all' inconsiderata gioventù. Ciò non ostante a dispetto della sua incontentabilità era forzato di riconoscere nel tutto insieme l'opera del genio, che trionfa specialmente ove parla l'amorosa passione; e come se fosse una vera crudeltà il pretendere di spogliar l'uomo di questa debolezza naturale e interessante, domandava che fosse compatita anche ne' suoi trasporti: Mi basta sol, che in riveder divisa Da che cominciò il Metastasio a servire alla scena, si vide che la natura e l'arte avean prodotto in lui un suo proprio stile, anzi una sua propria lingua, mirabile per le difficoltà, che conviene superare in formarla, e lusinghiera e seducente per quella specie d'interno canto, che dalle regolari sue proporzioni necessariamente risulta. Se la precisione dello stile consiste in non potere levar niente ad un' opera senza che ella perda una grazia o un ornamento, e senza che il lettore perda un piacere, se la brevità col far più rapido il racconto lo rende tanto più interessante, se la riflessione quanto più ella è vibrata, tanto più istruisce e piace, se la naturalezza, che sembra escludere ogni fatica ed ogni studio da quelle cose medesime, che ne sono l'effetto, seduce ed incanta, bisognerà confessare che niuno al pari del Metastasio ha più imperiosamente maneggiato la nostra lingua, facendola servire a tutti i tuoni dal più umile fino al più sublime, che tutti sembrano essere a lui facili e naturali. Par che le parole sieno state a bella posta inventate per inserirsi dove ei vuole, e nella maniera che vuole. Cresce poi a dismisura questo suo merito, se si considera la ne cessità che egli ebbe di servire alla musica, che esclude le parole o troppo lunghe o di suono malagevole, che chiede spesso le sincopate, e quelle che finiscono in vocale accentata, che vuole ora una mescolanza artificiosa di ettasillabi e di endecasillabi per dare al periodo la varietà combinabile coll' intervallo armonico, e colla lena di chi dee cantarlo, e ora i versi rotti nella metà, perchè accorciando i periodi si rende più soave il riposo, che or si compiace, or si disgusta della rima, e sempre ricusa la monotonia, e che finalmente esige tanti metri, quante son le varie passioni, che deve esprimere. E pur non ostante questi legami e queste difficoltà, che il solo Metastasio potè felicemente superare, ei rendere i suoi drammi sì belli e seppe si interessanti, che credè, nè in ciò s'inganno punto, che semplicemente letti e recitati e spogliati di ogni prestigio della musica, dovessero anche vie maggiormente piacere. Non volea dir con ciò, che la musica non debba far parte del dramma, perchè anche Aristotile le dette luogo nella tragedia, ma però l'ultimo, dopo la favola, i caratteri, 1 elocuzione, la sentenza, e la decorazione; volle unicamente indicare l'enorme abuso, che fanno per lo più a' giorni nostri di così bell'arte gli artisti, impiegandone le fa coltà fuor di luogo e fuor di tempo, fino ad imitare la sfrenata allegrezza delle Bassaridi, quando dovrebbero esprimere il profondo dolore delle schiave Troiane o delle supplici Argive: onde il confuso spettatore spinto nel tempo stesso a passioni affatto contrarie alla poesia e alla musica, che invece di secondarsi, si distruggono a vicenda, non può determinarsi ad alcuna, ed è ridotto al solo meccanico piacere, che nasce dall'armonica proporzione de' suoni, o dalla mirabile estensione ed agilità di una voce. Le bellezze originali dei drammi del Metastasio, perchè non sien punto alterate dalla musica, vogliono un genio che nell' arte sua lo somigli; e ove s'incontri questa rara unione, o l' anima dell'uditore proverà un dolce trasporto, un rapimento, un' estasi, o non provandolo, meriterà quel castigo con cui il Rousseau credè di punire l'insensibilità di colui, che non è capace di sentire l'opere di un genio creatore, destinandolo ad ascoltare o a cantare della musica francese, Ne pretenda alcuno di riprendere il nostro Poeta di aver fomentato l'ambizioso dominio, che ingiustamente esercita la musica sulla drammatica, dandole nella frequenza dell'arie l' istrumento il più autorevole della sua prepotenza. Egli, che aveva profondamente meditato sulla natura dell'arte sua, e che era convinto dalla fisica ragione, che ogni voce che parla al popolo, per essere intesa senza divenire ingrata col soverchio sforzo, ha bisogno di un sistema di progressioni infinitamente diverso da quello del parlare naturale, che vuol dire di una musicale cantilena, concedeva volentieri essere non solamente conveniente, ma ancor necessaria la musica ne'componimenti drammatici. L'esempio e l'autorità, degli antichi confermavano questa sua opinione. Non può dubitarsi, che questi non cantassero l'intere tragedie. Sono chiare le testimonianze di Livio, di Cicerone, di Luciano, di Svetonio, e vaglia per tutte quella d'Aristotile, che parlando dei tuoni ipodorio ed ipofrigio dice essere questi, per l'indole loro attiva ed acconcia ad esprimere passioni agitate, convenientissimi agli attori, che operano, e non ai cori che domandano una melodia sedata e per lo più lamentevole (1). Il discorso armonico misurato e canoro fu riguardato fin dall'origine della poesia come il proprio indispensabile materiale d'ogni imitazione poetica, e la tragedia, che nacque dagli inni, ditirambi o canzoni, che si cantavano in onor di Bacco, ritenne dal suo nascimento fino alla sua perfezione, cioè da Tespi fino a Sofocle, il suo naturale diritto d'essere cantata. E perchè la musica potesse maggiormente ostentare le sue bellezze, cambiavano talvolta i tragici in bocca de' personaggi, a seconda del cambiamento degli affetti, gli usitati iambi in anapesti e trochei, piedi più veloci e vivaci, e quando introducevano i personaggi medesimi a cantare e soli, e fra loro e a vicenda col coro, strofe, antistrofe, ed epodi. Così le arie nostrali provan la loro discendenza dall'antica greca tragedia, non men che la provino i cantici ed i diverbii dei Latini. Ma non per questo può pretendere la musica di far le prime parti. Ovunque si rappresenti un'azione, ovunque si annodi e si sciolga una favola, ovunque sieno personaggi e caratteri, ella è in regno altrui, e non vi deve far da sovrana, ma da suddita. Il Metastasio dalla natura dell'imitazione, e della materia che adopra la drammatica imitando, cavò i principali argomenti per rispondere a coloro che trattano d' inverisimile e sciocco il dramma musicale, perchè in esso gli attori vanno cantando a morire, e che, confondendo le copie coll' imitazioni, il vero col verosimile, hanno promulgate leggi severissime ed impraticabili intorno all'unità dell' azione, del luogo e del tempo. Abbandonandoli alle loro mostruose opinioni di credere obbligata l' imitazione ad esprimere tutte le circostanze del vero, si studiò di dare alla drammatica poesia la somiglianza al vero in quelle parti sole, nelle quali potè essere dalla materia secondato; cioè nell'artificiosa e insiem naturale condotta di una favola, nella vera pittura de' caratteri e de' costumi, nella nobile, chiara ed espressiva locuzione, e soprattutto nel continuo violento contrasto degli inquieti affetti del cuore umano. Le circostanze del tempo e del luogo, tal quali si pretendono dai moderni critici, come non rappresentabili dalla sua materia, le lasciò all' immaginazione degli spettatori, non altrimenti che l'insigne scultore Cleomene nel fare la sua Venere pensò a darle tutte quelle bellezze, di cui il marmo era capace, lasciando che vi figurasse in essa, chi 'l voleva, il vivace lume degli occhi, l'oro de' capelli, il latte delle morbide carni, e le rose e i gigli del viso. Ma ancor che non fossero stati guidati i passi del Metastasio nella composizione de' suoi drammi da si savie riflessioni, e da si luminosi esempii, l'aver egli saputo conciliare, per quanto era possibile, i più (1) Arist. Probl. Sect. xix. n. xxx. venerati dommi dei maestri dell'arte poetica colle grandiose pompe, che domanda l' opera, e col gusto dominante e spesso capriccioso degli spettatori; l'aver conservato per tal modo i diritti dell' unità dell'azione, che non sieno troppo violati nè dalle varie peripezie, nè dai varii avvenimenti, nè dai diversi personaggi, facendoli tutti cospirare ad un evento solo, e dando loro, per così dire, un centro comune; l'avere con somma cura procurato per conservare alla meglio P'unità del tempo, che quella porzion di tempo da lui ne' suoi drammi supposto, ogni qual volta dovesse eccedere quello della rappresentazione, potesse dallo spettatore figurarsi passata in quegli intervalli, ne'quali fra l'uno e l'altro gruppo di scene annodate insieme il teatro rimane affatto voto d'attori, e presenta ai riguardanti un nuovo sito; l'aver dipinto come in tanti diversi quadri, ma con una stretta unione fra loro, le diverse circostanze di un fatto per non ispogliare il teatro di un de' principali suoi ornamenti, che è la mutazione delle scene, e per servire anche in parte al precetto dell'unità del luogo ; l' aver saputo finalmente in tanto lusso di decorazioni, in tanta varietà d'ornamenti, che han fatto trionfar l'opera de' suoi più dichiarati nemici, non solo richiamare l'attenzione degli spettatori, ma fissarla profondamente su tutto quel che appartiene all' artifizio poetico, è un merito così grande e così proprio del Metastasio, che non ne divide con altri la gloria. È un aneddoto di storia letteraria degno da sapersi, che i rigidi canoni del Gravina sopra le tre metafisiche unità, esposti da lui nel suo trattato sulla tragedia, non erano i medesimi, coi quali guidò il suo scolare nell' ordinatagli tragedia del Giustino; e non trovando questi nel carattere del maestro sempre fermo e costante una ragione per ispiegare questa mutazion di sentimento, è di parere, che dissimulasse i veraci suoi sensi per non irritarsi contro, anzi per rendersi benevola la feroce numerosissima turba dei promulgatori di cotesta nuova dottrina, che trovavasi appunto allora nella sua più violenta fermentazione. I dotti, che riflettono, e che conoscono i gran modelli dell' antichità, e i precetti nati più dal loro autorevole esempio che dalla natura delle cose, ammireranno sempre i felici sforzi del Metastasio per uniformarvisi; e coloro, che non sono in stato d'intendere questo merito, portino almeno ai drammi di lui la delicatezza dell'orecchio e la sensibilità del cuore, chè proveranno un insolito piacere di dolce armonia, e tutti que' moti, che suole eccitare la viva espressione delle più nobili e delicate passioni. Ma anche in questa parte è da osservarsi il magistrale artifizio del Poeta. Quel genere d'armonia che tanto raccomanda i versi dei poeti non cantabili, rare volte conviene alla poesia drammatica. Domanda questa un ritmo facile senza che divenga soverchiamente numeroso, una morbidezza di stile, una certa mollezza nelle espressioni non meno che nelle immagini, una mescolanza felice de' suoni nell'ordine e nella combinazion delle sillabe; se prende qualche volta in prestito dalla lirica lo stil figurato per le narrazioni, lo esclude affatto ove parla l'affetto, e si richiede consiglio e sentenza; se si compiace di comparazioni nel- Talor se il vento freme Abbandonar. Se poi dalla montagna Del terreno nel concavo seno Crolla, abbatte, sovverte, distrugge Non son questi esempii di un fuoco, di una grandezza, di un' espressione degna d' Omero? Si vuol la pieghevolezza d'Ovidio? Tanti pregi riuniti nei drammi del Metastasio, e anche in quelli, che divenuto maturo riguardò macchiati di qualche imperfezione, eccitarono tal maraviglia nella colta Italia, che i versi di lui cominciarono a divenir proverbii e ad esser ripetuti e cautati dalle bocche di tutti, come si faceva nella Grecia di quelli di Omero e di Euripide. Il molle sesso sopra tutti offeri corone alla statua di sì raro genio, perchè crede di trovare ne' drammi di lui la scusa o la ragione de' suoi amorosi trasporti, o l'arte di esprimerli e di risvegliarli in altri, o la folle lusinga di potere con una passione, che per esser tutta dell'impero de' sensi, illanguidisce e degrada l'anima, creare degli Eroi, o dare allo stato degli utili cittadini. Ma nell' universale applauso volle distinguersi quel litus beatæ Veneris, la bella Partenope, che colmò d'ogni sorta di onori un poeta, che aveva aggiunto tanti ornamenti e tanto interesse al suo teatro, e che aveva se non fatta nascere, di gran lunga almeno aumentata la gloria dei Vinci, dei Sarri, dei Costanzi, dei Caldara e di tanti altri celebri maestri, per cui ella meritamente è riguardata come la sede della musicale armonia. Grato il Metastasio ai doni dell'amore e della stima sparse di novelli fiori poetici quel fortunato suolo, e si leggono ancora come parti di una ridente fantasia, e come esemplari di uno stil facile e pien di grazie i tre epitalamii, coi quali invitò i Numi sovrani prolettori delle leggi d'imeneo a felicitar nozze si grandiose, che promettevano una razza di semidei. Il nome, che egli s'era fatto, gli apri nell'anno 1729 una strada a maggiori fortune. Quell'augusto Monarca, che amante sopra ogni altro della drammatica poesia e de' teatrali spettacoli aveva invitato alla sua corte lo Stampiglia, e poi lo Zeno, desiderò d'avere ancora presso di se il Metastasio. Le corone poetiche, tante volte riportate dallo Zeno, erano divenute meno risplendenti al comparire di questo nuovo sole. Conobbe anch' egli la superiorità del merito; e la sua confessione, e le testimonianze sincere, che rende ai rari talenti del suo successore, gli produssero un trionfo il più pregevol di tutti, perchè fu quello della virtù. Domandò il Metastasio quattro mila fiorini d'annuo stipendio, quanti ne aveva lo Zeno. Gliene furono assegnati tre mila solamente con la scusa, che non poteva caricarsi di più l'erario Cesareo, che la mancanza d'ordine, e di una illuminata politica bene spesso rendeva esausto. Ebbe però un |