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pire altramente. L'oppressione non comincia se non allora che l'uso delle mie facoltà si trova ingiustamente impedito o ristretto da una forza esteriore, e che, per quanto io m' astenga di nuocere alla comunità, non posso ottenere che sieno riconosciuti i miei proprj diritti, que' diritti che io tengo direttamente dalla natura.

Da ciò risulta che nell'assicurare e nel mantenere il diritto di che si tratta, si viene precisamente a stabilire la libertà nello Stato. Il che dimostra ad un tempo che la prima condizione della libertà si è l'esistenza d' un' autorità suprema. Come infatti avrebbe ciascuno il diritto di fare ciò che agli altri non nuoce, se non esistesse un poter superiore che valesse ad impedire la violenza e la ingiustizia? Ora l'autorità presuppone la sommissione; e il diritto di comandare non si concepisce senza la obbligazion d'obbedire.

In conseguenza, ho da stabilire come principio: che per esser libero, bisogna ch' io rispetti la legge del Sovrano. E non solo questa sommissione non è contraria alla libertà, ma essa è la base e il fondamento d'ogni libertà non mentita.

Egli è vero che la obbedienza ha i suoi confini, come vediamo averne la libertà, e che nessuna potenza umana ha il diritto di comandarmi ciò che la legge naturale proibisce, nè di proibirmi ciò che la legge naturale comanda. Una obbedienza illimitata ad ogni sorta di leggi, anche alle più ingiuste, diverrebbe la negazione della libertà; ed un simile soggettamento sarebbe sì empio come vile e contrario alla dignità dell'uomo.

Noi abbiamo già fatto osservare fin dove si estenda l'obbedienza e dove si arresti. Da un canto, ella eschiude la insurreziane e la rivolta; da un altro, ella non ammette il comando ingiusto e tirannico. Trattasi dunque di vedere ciò che divenga la sommissione quando siamo esposti alla violenza, e se, in questo caso, torni meglio obbedir che resistere.

Sarà necessario appena far osservare che i cattivi trattamenti possono venir da due parti, cioè dalla società e dal potere. Noi abbiamo veduto che per la repressione de' primi, vale a dire di quelli de' privati ad aggravio nostro, è stata appunto stabilita la sovranità; e non s'ignora che questo rimedio è generalmente efficace. In ogni Stato regolare, il potere superiore garantisce i cittadini dalle aggressioni de' loro consocj; e se, a mal grado della sua vigilanza, avvengono eccessi, questi non si possono riguardare che siccome eccezioni.

Convien dunque ristrignerci a considerar la violenza esercitata dal potere; ed infatti è qui dove incontriamo le obbiezioni che ci siam fatte alla fine dell'ultimo nostro articolo. Se il Sovrano egli stesso è quei che sconosce la giustizia, che trasgredisce la legge naturale, che maltratta ed opprime li cittadini, in qual maniera la sommissione, che verso di lui si osserva, si concilia colla libertà?

A questo riguardo si presenta un' osservazion generale che qui bisogna di primo tratto raccogliere. Ed è che la dottrina politica, la quale consacra il principio della resistenza e della insurre

T. XI.

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zione, è precisamente quella che ha più contribuito alla violenza ed alla persecuzione dalla parte della pubblica podestà. È un fatto riconosciuto che la filosofía del secolo decimottavo, messa in pratica da' governi, ha renduto l'autorità dura ed ingiusta. Ella è sopra tutto quella che ha fatto la guerra alle credenze religiose, e con tutto il suo proclamare la libertà delle opinioni, non ha rispettato le dottrine più venerabili. Il Giuseppismo e gli altri sistemi che, sotto lo specioso titolo di riforma e di progresso, hanno tormentato a' nostri giorni le coscienze, e le tormentano ancora, (*) non hanno avuto altra origine. I Re, divenuti filosofi, od operando sotto l'influenza de' filosofi, non hanno indugiato a mostrarsi persecutori; ed a questo punto di vista, non si presenta quasi veruna eccezione. Alle novelle dottrine sono seguitate le vessazioni; e il potere non è stato giammai più ingiusto, più violento, più nemico della vera libertà, che da

(*) Quando l'autore così scriveva, erano tuttavia aspettate le risoluzioni dell' Imperatore d' Austria, le quali per sua parte sono state il più grand' atto di ammenda che la storia potesse a questi dì registrare. Nondimeno la suddetta frase non è per ancora superflua, rimanendo in fatto da vincere la forza delle triste abitudini e la pervicacia di quegli esecutori che dovrebbero operare a ritroso delle false norme, passate per essi in natura (Siane prova la connivenza per la malvagia stampa, massimamente nelle province italiane). Oltre di che, se un paese ha gittato la feccia del vaso di Pandora, non ne vediamo altri premurosamente raccorla, e serbarla come un balsamo della loro politica? (Nota scritta nel settembre del 1850.)

quando la parola di libertà fu altamente proclamata e messa in testa a tutte le leggi.

Questo risultamento, che a primo aspetto sembra meraviglioso, in sostanza è tutto naturale. La filosofia della quale parliamo e donde sono emerse tutte le mostruosità che invadono e spaventano la società nel tempo corrente, ha cominciato le sue prove consecrando l' indipendenza della ragione e la nativa eguaglianza. L'uomo è nato libero, e niuno ha il diritto di comandargli. L'autorità è la porzione di tutti, e l'ultimo della plebe ha di sua natura gli stessi diritti che l'uomo ricco e potente. Questa dottrina, che è il principio di tutte le costituzioni moderne e che riceve oggigiorno la più larga applicazione, conduce direttamente alla ruina dell'autorità. Il buon senso dice e l'esperienza giornaliera dimostra che dove tutti hanno il diritto di comandare, il verace impero deve sparire. Se l'intero popolo è il sovrano di diritto, il sovrano primitivo e reale, non si vede sopra quel fondamento sarebbe stabilita la sommissione. In questa ipotesi, qualunque stato sociale è l'opera dell'uomo, e la macchina governativa non esiste che in virtù di una finzione. Se tuttavía si obbedisce, questo non avviene più per dovere; e conseguentemente non si obbedisce che per quanto si trovi conforme all'interesse proprio l'obbedienza.

Quello che ora diciamo, non è esagerazione, ma sì la storia esatta dell'epoca nostra. Noi poniamo per fatto che generalmente l'autorità è fiaccata, annichilita. Indi il disordine universale, indi lo stato di anarchía ond' oggi è desolata la maggior

parte d'Europa. E notiam bene che quanto più si propaga e si sviluppa praticamente la dottrina della sovranità popolare, tanto più la podestà pubblica divien debole e incapace di procurare l'ordine e la sicurezza fra cittadini. (*)

Ma perchè la società non saprebbe sussistere senza un qualsiasi potere, ne viene che all' autorità forte e tutelare subentri un'autorità precaria, un potere di fatto che vive alla giornata, senza essere giammai sicuro di esistere tranquillamente due di successivi. Questo potere che si stabilisce colla violenza, deve mantenersi collo stesso mezzo, poiche non è rispettato se non in quanto è temuto. Imperocchè, da una parte, essendo impura la sua

(*) La Civiltà Cattolica riceveva nell'agosto p. s. dal Piemonte il seguente ragguaglio (v. il suo fasc. 10):

<< I nostri fogli dottrinarj e democratici.... venendo al Piemonte, lo ritraggono come la terra della prosperità e il paradiso delle delizie.... Or bene sappiate che qui con tutto l'esercito, con tutta l'energia dei reali carabinieri, con tutta la imponente milizia nazionale, siamo soggetti a tale e tanta infestazione di ladri e d'assassini, che non si può guari uscir di casa anche in Torino, anche in pien meriggio, senza giusti timori di trovarsela sgombra e derubata al ritorno. In pochi giorni furono commessi moltissimi furti con infrazione di porte, con violenza arditissima, assaltando a mano armata i cittadini nelle loro stanze, e spogliandoli del buono e del meglio dei loro averi, e ciò a poca distanza dei corpi di guardia. Nelle campagne poi, almeno in certe province, si dovettero ordinare vere spedizioni militari di bersaglieri, carabinieri e squadroni di cavalleria per dare la caccia a bande di malfattori che assaltavano i viaggiatori, spogliavano le ville, malmenavano i contadini; e a poca distanza da Torino v'ebbe una

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