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BIBLIOGRAFIA

I. Intorno alla riforma ed ai tentativi per introdurla in Italia. Avvertimenti che il Card. Gaetano Baluffi Arciv. Vescovo d'Imola dirige a' suoi amatissimi diocesani. Imola, 1850, presso Vincenzo Dal pozzo.

Noi siamo come coloro che danzano sopra il ghiaccio d'un lago o d'un fiume, tenendo per impossibile che la crosta si rompa; ma talvolta la crosta si rompe, e molti sciagurati vi affogano. Non pare alla più parte credibile che l'eresía possa levare stendardo in Italia; ma quando si riflette che tanti, qui nati cattolici, pur ci vivono luterani di fatto per la violazione o lo strapazzo continuo de' precetti di santa Chiesa; quando si conosce la supina ignoranza di tanto volgo (e quando si dice volgo, bisogna dare al termine molta estensione), il quale di catechismo ne sa quanto i ciottoli delle strade o le seggiole del teatro; quando a solenni prove è scoperta quella schifosissima ipocrisía che della religione si fa mantello, trasformandolo in ogni guisa più conducente all'esecuzione de' suoi perversi ed empj disegni; oh si scorge allora l'agevolezza di conficcare l'asta in un terreno pur troppo così preparato, e la grandezza del pericolo al quale si trova esposto il privilegiato ma sconoscente nostro paese! Non sono cieche nè tacite sopra tanto rischio le vedette d' Israello, e da ogni punto più minacciato a noi fanno intender gli avvisi. Quando non avessimo che le parole dell'emin. Baluffi, queste basterebbero a salutar disinganno e cautela per tutti gli uditori di buona fede. Ma si vorrebbe ripeterle di provincia in provincia, e farle giugnere sin dove gli emissarj di Satana sono giunti con le aperte o le clandestine loro predicazioni. La stampa non si potrebbe esercitare in meglio, anche per riparare in parte a' suoi scandali.

Così vorremmo veder riprodotti e diffusi gli avvertimenti dati a' popoli da' Vescovi dell' Umbria, della Toscana, del

Regno di Napoli e di qualunque altra parte ove i sacri Pastori sono convenuti a concilio per provvedere alla comune difesa della Santa Città. Avremmo desiderato, come per alcuni di tali documenti abbiam fatto, poterli tutti inserire in queste Memorie; ma i discreti lettori ben veggiono che tanto non comporta la condizione del nostro periodico. È per altro in questo caso cagione di rallegrarsi il potere anche dire Inopes nos copia fecit.

II. Discorso sull'antica, e moderna Gesuitofobia, ossia Delle vere cagioni dell' odio in Europa contra la Compagnia di Gesù, per Enrico Borgianelli della medesima Compagnia ; coll' epigrafe: Disceptatione sublata Pellitur e medio sapientia, vi geritur res (Ennius ap. Lact. Divin. Instit. L. v, c. 1). Napoli, Tip. di Federico Vitale,

1850.

L'odio contro alla Compagnia di Gesù, traportatosi in questi anni fino alla vertigine, al delirio, al furore, ha così travolto ogni ragione storica, ogni critica ponderazione, non pur del passato ma del presente, che buon numero di coloro i quali hanno assistito al fiero dramma della calunnia e della persecuzione di quel santo istituto, ora che par calato il sipario, essi o per ricredersi o per render conto a sè medesimi dell' ossequio che prestano alla verità, sentono il bisogno d'illuminarsi o d' assicurarsi intorno alle probabili e provate cause di tanti effetti. A questi può supplire per un'intera biblioteca il libro del P. Borgianelli, il quale meditando sopra la guerra ultimamente divampata contro alla Compagnía, dalla simiglianza e concatenazione de' fatti rispondentisi in diverse epoche, è stato condotto fino a' primordj dell' Ordine; donde ha preso le mosse a discorrerne pe' varj tempi le imprese generose e le sostenute battaglie. É quinci ragionando con metodo sopra tutta la serie di tali avvenimenti, ha potuto cumulare sotto gli occhi del lettore un' esuberanza di prove per la conchiusione irrepugnabile che i veri proprj_nemici della Compagnia, sono quelli della Chiesa di Gesù Cristo. Se egli non la formola sì ricisamente, il lettore medesimo non può declinarla per un' altra più vaga e più mitigata. L'ordinaria

eccezione per gl'ingannati ed illusi non più d'ora innanzi avrebbe ad essere utilmente proposta. Tutto ridurrassi a crassa ignoranza od a fina malizia.

Per la maniera ond' è scritto il libro, l'autore avverte: «Giusta la varietà delle materie troverai variato lo stile; nè di ciò mi farebbe mestieri ammonirti, per averne indulgenza: te la chieggo invece, e me la imprometto, per que' tratti diversi del mio dettato languidi o disuguali, immagine commiserevole dello spirito affranto ai colpi ripetuti della procella, ondeggiante tra gli orrori della tempesta. » Per noi, se ci toccasse darne parere, diremmo che li trattati i quali ne tornano più accetti, sono quelli dove lo scrittore non ha per avventura posto il maggiore studio. Per ciò che spetta agli effetti di questa lettura, si possono sperare di giusta persuasione e d'intero disinganno in tutti gli animi retti e senza lor colpa falsamente preoccupati. Quanto a' malevoli per sistema, penetrati fino alla midolla da questa specie di rabbiosa affezione, e quindi feroci impugnatori della stessa verità.conosciuta; lasciando a parte i casi di conversione prodigiosa, non sarà strano che per essi ancor si verifichi ciò che di analoghi morbi fisici lasciò scritto il poeta:

Vincere nodosam nescit medicina podagram,
Nec formidatis auxiliatur aquis.

III. La Repubblica Italiana del 1849. Suo processo. Quarta edizione, coll' epigrafe: Quasi velamen habentes malitiae libertatem (1. Petr. 11, 16). Napoli, all' Uffizio della Civiltà Cattolica, 1850.

Et haec meminisse juvabit. È opera di grande carità verso i presenti ed i posteri il chiamare da più parti in giudizio quella sozza disperata fante che ha rinnovato ed avrebbe continuato in Italia le contaminazioni recateci sessant' anni fa dalla vecchia sua madre. L'autore ha volto in particolare la mente all'impresa de' Mazzini, de' Garibaldi, de' Reta, de' Morchio, de' Pigli e de' Guerrazzi, ed ha sotto il nome di Repubblica Italiana inteso quella oscenità politica ed i suoi preliminari e le sue ramificazioni e dipendenze. Ma nel tempo medesimo ha dimostrato come sì fatta putredine intacchi tuttavía quegli stessi governi che, mentre vorrebbero evitar l' infezione, stendono la mano a' propagatori, e sopra le materie pestilenziali fanno assegnamento di consistenza e di lucro.

Sarebbe desiderabile di trovar questo libro dal gabinetto del governante fino alla capanna del pastor che sa leggere. Sì, del pastore, perchè la verità pare che oggigiorno s'incontri col senso comune più spesso nelle selve che nelle città. Ma gran bene specialmente sarebbe che, fra tutti gli altri, sopra vi meditassero quegli uomini di sincera fede i quali tuttavía credessero possibili ed eque le transazioni del buono spirito col maligno. «Volete sapere, grideremo ad essi col novello editore, che significa regime costituzionale per certa generazione d' uomini? significa un ponte alla repubblica: volete sapere che sarebbe la repubblica? leggetene in queste carte il processo. Forse non avrete bisogno di leggerne in altro volume la condanna. »

Era ben degno, come osserva lo stesso editore, che un'opera tale «fosse riprodotta eziandío in Napoli; in quel paese privilegiato dalla Provvidenza, e che tanto deve al Principe pietoso e forte che lo governa. » Neppure in questa edizione, comparisce il nome dello scrittore; ma non è dissimulato ne' ripetuti annunzj della Civiltà Cattolica, dove si legge: «< Lodarne il merito del dettato è vana opera per chi sa che essa è lavoro di quella nobile, intrepida ed evidente penna dell' Audisio; mostrarne l'interesse della lettura nol faremmo mai con tanta energía quanto il fa il suo titolo medesimo. >>

CENNO NECROLOGICO INTORNO ALL'AB. CARON

Dall'Amico della Religione de' 23 luglio p. s. abbiamo inteso la morte dell'illustre Ab. Caron, maestro nel Seminario di S. Sulpicio, il quale onorò sempre di sua benevolenza le nostre Memorie, mantenendo col loro primo esimio Compilatore e co' suoi Collaboratori una dolce e vantaggiosa corrispondenza, per lo che più amara ce n'è tornata la perdita. Riserbandoci a miglior agio qualche ragguaglio della virtù e della sacra erudizione di questo degno Ecclesiastico, per offrire intanto alla soave di lui memoria un piccol tributo di nostra riconoscenza, metterem sott' occhio a' nostri lettori le parole onde il citato periodico dà l'annunzio di questa morte.

« Il Seminario di S. Sulpicio ha fatto una perdita ben sensibile nella persona del Sig. Augusto Pietro Paolo Caron, Maestro di Cerimonie, in quell'istituto. Egli era nato a' 30 Giugno 1779 a Marsiglia, Diocesi di Beauvais. Entrò nel Seminario agli 11 ottobre 1809, e dopo aver terminato li suoi corsi di filosofia e di teologia, si legò definitivamente al medesimo Seminario, ove egli ha costantemente esercitato gli ufficj di maestro delle Cerimonie, per le quali egli aveva mostrato di buon'ora un' attitudine particolare. La debolezza abituale di sua complessione occasionò insensibilmente una malattia d'intestini, per la quale è morto a' 20 luglio 1850. Questa perdita sarà vivamente sentita nel Clero di Parigi, le cui relazioni continue col Sig. Caron l'avevano messo in grado di apprezzarne le eccellenti qualità, la sodezza dello spirito e la varietà delle cognizioni, massi mamente in materia di liturgía, e di biografía. I funerali di lui hanno avuto luogo lunedì, 22 di luglio, al Seminario di S. Sulpicio, di dove il cadavere è stato trasportato al Seminario d'Issy e deposto nel piccolo cimitero contiguo alla Cappella di Nostra Signora di Loreto. >>

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DELL' AUTORITÀ

(V. questo medesimo tomo, a facc. 44)

ARTICOLO VI.

SE ESISTA UN DIRITTO DI RESISTENZA AL SOVRANO,

E FIN DOVE SI ESTENDA

La soluzione di questa grave questione par di

pendere dalla sentenza che si adotta in ordine all' origine dell' autorità. Se la sovranità risiede nel popolo intero, se tutti i poteri, come dicono le odierne costituzioni, emanano dalla nazione, allora bisogna ammettere che la moltitudine ha non solo il diritto di resistere a' capi, i quali facciano cattivo uso della potenza esercitata da loro per delegazione, ma che di più questa resistenza è per essa un dovere, anzi il più sacro dei doveri. E come potrebbe mai la nazione, il vero sovrano, sopportar l'abuso del potere ch' ella conferisce ? Se l'autorità fu ad essa direttamente ed immediatamente attribuita dal Creatore, nell' istituire la società, non è pur essa tenuta del mal che si faccia, e non debb' essa impedirlo?

A ciò si risponde che il popolo, eleggendo i suoi capi, aliena il suo diritto sovrano e lo perde, e che ad esso non ne appartiene più l'esercizio. Ma

T. XI.

II

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