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Perchè l'occhio dappresso nol sostenne;

Ma china' 'l giuso: e quei sen venne a riva 40 Con un vasello snelletto e leggiero

Tanto, che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.

Da poppa stava il celestial nocchiero,
Tal che parea beato per iscritto,

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gliarsi che sinceramente favelli chi non doveva altrimenti; e che, volendo comentare a modo del Venturi, avrebbesi preso, non Dante, ma l'Astuzie di Bertoldo. Poi, che si degnasse egli almeno di specificarne quale di queste varie appellazioui, che attribuisce Dante all'Angelo, sia quella che si meriti scherno. Della voce galeotto è già detto al v. 27., ed il Venturi stesso l'argomenta peggiorata a' giorni nostri di condizione. Del divino uccello crederei che il qui detto possa bastare. Spiacerebbe a lui forse il celestial nocchiero? chi sa?

39 Perchè vale per la qual cosa, in conseguenza di che, in conseguenza, cioè, dell'apparir l'Angelo più chiaro di mano in mano che si appressava, crebbe tanto lo splendore, che l'occhio nol potè più sostenere.

40 china'l, troncamento di chinail, lo stesso che il chinai.chinail giuso, nettamente il cod. Poggiali.←

41 vasello per vascello, qui pure come è detto Inf. xxvm. V. 79. Vedi quella nota. →→ Osservisi qui aver diminuito l'aggettivo snelletto invece del sostantivo; il che spesso usasi dai Latini. Cic.: Hanc scripsi ante lucem ad lychnum ligneolum. Epist. 7. lib. I.; e Catullo negli Endecasillabi: Tam gratum mihi, ,quam ferunt puellae, - Pernici aureolum fuisse malum. PORTIRELLI. ←

44 Tal vale talmente, in aria talmente vaga e maestosa. -parea beato per iscritto. Leggere in viso ad alcuno la beatitudine, la maledizione ec., la è frase comune. Or come il leggere suppone lo scritto, però Dante usò l'uno per l'altro; ed invece di dire, tal che si leggeva in lui la beatitudine, dice, Tal che parea beato per iscritto. Il Caet. legge, Tal che faria beato pur descripto, lezione seguita dall'E. R. nella 2. e 3. edizione, spiegandola nel modo seguente: era tanto bello e maestoso quell'Angelo, che, se potesse descriversi in rima, faria beati gli ascoltanti. Tal le

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E più di cento spirti entro sediero. In exitu Israel de Egitto

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zione è preferita dalla E. B. Noi però stiamo qui colla comune, che è pur quella dei codd. Vat. 3199 e Antald., E. R., interpretando come il Lombardi; od anche col Castelvetro e Venturi: «< beato con sicurezza di non perdere la beatitudine » per promessa che gli era stata (come con istrumento auten»tico ed irrevocabile scrittura) data da Dio. »←#

45 sediero hanno malamente creduto alcuni che sia invece di sederono. No: sta per sedieno, mutata le n in r per accomodare la rima. Così nel Prospetto de' verbi toscani, sotto il verbo Sedere, n. 14.; cosa però non approvata dal Mastrofini. Vedi detto verbo, n. 5., nella nuova Teoria e Prospetto.

46 In exitu Israel de Ægytto: così io scrivo questo incominciamento del salmo 113.; segno cioè l'accento sopra l'a della voce Israel; imperocchè, acciò sia qui suono di verso, dee la voce Israel pronunciarsi, come l'hanno pronunciata pure alcuni poeti latini [a], coll'a lunga; ed ove le moderne ediz. scrivono Egitto, e con carattere diverso dalle antecedenti parole, ad indicar cotale voce italiana, io scrivo Ægytto, e col medesimo carattere dell' In exitu Israel, ad indicarla voce latina, così per antitesi dal Poeta aggiustata in grazia della rima; tanto più che trovo tutti i mss. della biblioteca Corsini leggere chi Egypto e chi Egipto. -* Il sig. Portirelli ha seguito tal lezione e nota del Lombardi; ha aggiunto però la bella osservazione, che sembra tratta dal Comento del cod. Caet., cioè che le anime canebant istud psalmum in liberatione, quia evaserant manum Diabuli, sicut Hebraei evaserant manum Pharaonis. E. R. →→→ La Nidob. legge de Ægypto, e così anche la 2. e 3. rom. ediz. Noi preferiamo qui di leggere italianamente e colla comune Egitto, sembrandoci che la parola Egypto, come la scrivono il Lombardi ed il Portirelli, non sia nè italiana nè latina. Il senso mistico di questo cantico del Profeta ce lo indica Dante stesso nel Convito, pag. 103, ove dice che per esso spiritualmente s’intende, che nell'uscita dell'anima del peccato, essa si è fatta santa, e libera in sua podestate. E. F. ←

[a] Vedine gli esempj nella Reg. Parn, art. Israel,

Cantavan tutti 'nsieme ad una voce
Con quanto di quel salmo è poi scritto.
Poi fece'l segno lor di santa croce:

Ond'ei si gittar tutti in su la piaggia,
Ed el sen gì, come venne, veloce.
La turba, che rimase lì, selvaggia
Parea del loco, rimirando intorno,
Come colui che nuove cose assaggia.

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Da tutte parti saettava il giorno

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Lo Sol, ch'avea con le saette conte

Di mezzo 'l ciel cacciato 'l Capricorno;

48 scripto legge l'E. R., avvertendo che l'edizioni del sec. XV., compresa la Fulginate, leggono questo e gli antecedenti versi 44. e 46. col pt.

49 Poi, la Nidob. Po', l'altre edizioni. — fece 'l segno ec., die loro la benedizione.

51 gì, la Nidob.; gìo, l'altre edizioni.

52 53 selvaggia - del loco. Pone selvaggio per inesperto; proprietà essendo del selvaggio di non esser pratico d'altro luogo che della sua selva. →→→ Espressione ardita, come osserva il Biagioli, ma giusta e bella. Gli Editori della E. B. spiegano questo passo così: « selvaggia- Parea del loco. Inten» di: parea piena di quello stupore che mostra l'uomo selvag» gio che viene in luoghi da lui non più veduti.»←@

55 al 57 Da tutte parti saettava il giorno ec. Allusivamente al favoleggiar de' poeti, che il Sole sia Apolline, e che armato sia Apolline d'arco e di saette, dice che il Sole saettava il giorno invece di dire che irradiavalo, rendevalo illuminato. Ed aggiunge da tutte parti: non, cioè, solamente dalla parte d'oriente, come quando sta il Sole per alzarsi, ma per ogni dove, come quello che già cacciato aveva di mezzo'l ciel il Capricorno, segno del zodiaco discosto da Ariete (in cui trovavasi allora il Sole [a]) una quarta parte di circolo; il quale perciò non può esser cacciato di mezzo 'l cielo, se non sia Ariete totalmente dall'orizzonte uscito. saette conte, colla

(a) Vedi al v. 5.

Quando la nuova gente alzò la fronte
Ver noi, dicendo a noi: se vo'sapete,
Mostratene la via di gire al monte.
E Virgilio rispose: voi credete

Forse che siamo sperti d'esto loco;
Ma noi sem peregrin come voi siete:
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
Per altra via, che fu sì aspra e forte,
Che 'l salir oramai ne parrà giuoco.
L'anime che si fur di me accorte,
Per lo spirare, ch'io era ancor vivo,
Maravigliando diventaro smorte:
E come a messaggier che
porta olivo,

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medesima allusione già detta, appella i solari raggi; e l'aggettivo conto, che altrove fa valere per chiaro all'intelletto [a], non può qui significare che chiaro, rilucente all'occhio. Lucida tela diei nota il Volpi appellati i medesimi solari raggi da Lucrezio pure.

62 sperti per esperti, aferesi molto praticata. Vedi il Vo

cab. della Crusca.

64 Dianzi ec., poco fa, un po' più prima di voi venimmo. 65 Per altra via, intende l'attraversamento dell'Inferno. 67 68 Per lo spirare, ch'io era ancor vivo, la Nidob.; Per lo spirar, ch'i' era ancor vivo, l'altre edizioni. Vedi (critica qui il Castelvetro) se è cosa verisimile, che essendo l'aer temperato, e non freddo, e levato il Sole, che altri vegga il fiato di persona, il qual non si suole vedere, se non d'inverno [b]. Ma anche di bella mezza state ci possiam accorgere ch'altri fiata, o per qualche difficoltà ed interrompimento di voce, se parla, ( nel qual modo Sapìa ad occhi cuciti si accorse dello spirare di Dante, Purg. XIII. 132.) o pel solo movimento della gola o del ventre, se non parla, come parimente il conobber vivo Catalano e Loderingo. Inf. xxIII. 88.

70 71 E come ec. Accenna il Poeta durante fino a'suoi

[a]Vedi, a cagion d'esempio, Iuf. m. 76. [b] Opere varie critiche, fac. 161.

Tragge la gente per udir novelle,

E di calcar nessun si mostra schivo; Così al viso mio s'affissar quelle

Auime fortunate tutte quante,
Quasi obbliando d'ire a farsi belle..
lo vidi una di loro trarsi avante,

Per abbracciarmi con sì grande affetto,
Che mosse me a far il simigliante.
Oi ombre vane, fuor che nell'aspetto!
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tornai con esse al petto.

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tempi l'antica costumanza, che chi desiderava la pace mandava ambasciatori a richiederla con rami d'ulivo in mano; ai quali perciò traeva, camminava, accorreva, la gente curiosa di udir novelle, di ascoltare a quali condizioni la pace richiedevasi. Avvisa il Daniello a questo proposito i versi di Virgilio: Iamque oratores aderant ex urbe latina, Velati ramis oleae, veniamque rogantes [a];

e que' due altri:

Tum pater Aeneas puppi sic fatur ab alta, Paciferaeque manu ramum praetendit olivae [b]. 72 E del calcar ec., il cod. Poggiali. 73 Così agli occhi miei ec., il Vat. 3199. E. R.← 75 Quasi obbliando ec.: quasi di vista perdendo il fine cui erano state li condotte; perchè, cioè, entrassero in Purgatorio a scancellar quelle reliquie di peccato ch'erano in esse.

per

76 Io vidi una di loro trarsi avante, la Nidob.: I vidi una di lor trarresi avante, l'altre edizioni, e il codice Vaticano 3199. E. R. ↔

79 Oi ombre, la Nidob.; O ombre, l'altre edizioni. 81 E tante ec.: mi tornai, cioè, senza stringer nulla . È imitazione virgiliana, dice il Landino:

Ter conatus ibi collo dare brachia circum;

Ter frustra comprensa manus effugit imago [c].

[a] Aeneid. xi. 100. [b] Ivi vu. 15. e seg. [c] Ivi vi. 695. e seg.

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