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posto alla pubblica discussione siffatto progetto di legge, ne fu data comunicazione in voce dal ministro Segretario di Stato per gli affari esteri signor marchese d'Azeglio a mous. Antonucci, Nunzio apostolico in Torino, al quale nel seguente giorno 26 di febbraio fu ufficialmente comunicato il progetto medesimo con Nota del predetto sig. ministro segnata ai 22 dello stesso mese. Quindi ancora venne significata la proposizione del medesimo progetto al sig. Card. Antonelli allora pro-Segretario di Stato con Nota dei 4 marzo dal sig. marchese Spinola, incaricato Sardo (Docum. n. XV.). In queste due Note (1) si pretendeva di rilevare la necessità, per cui il ministero dichiarava essere stato costretto a proporre quella legge, sia dall'esito infelice delle trattative ripetutamente riprese dal Governo colla Santa Sede e sempre invano, sia dalla convenienza che il ministero medesimo prevenisse il Parlamento nel prendere le iniziative su tale progetto, affine di poterne regolare la discussione. Di più era detto in quelle Note che, non ostante tale determinazione, niente si opponeva a che la Santa Sede TRATTASSE COL GOVERNO DI SUA MAESTA UN ACCOMODAMENTO, PURCHÈ LE TRATTATIVE fossero aperte in Torino e non altrove, e purchè fosse RICONOSCIUTA PER IMMUTABILE LA DECISIONE GIA' PRESA DAL GOVERNO per essere STATA DETTATA dalla pura necessità. È inutile far notare quanto grande afflizione derivasse nell'animo del SANTO PADRE da cosiffatto attentato, anche perchè a tenore di ciò che non avevano avuto difficoltà i marchesi d'Azeglio e Spinola d'esprimere nelle loro note, e secondo che avea pubblicamente asserito nelle Camere il conte Siccardi, si accreditavano le voci che correvano in Piemonte tendenti a giustificare la proposizione di quella legge pei rifiuti della Santa Sede ad un conveniente aggiustamento. Quindi tanto il Cardinale Antonelli (Docum. n. XVI.), quanto il Nunzio apostolico (Docum, n. XVII.) nelle proteste che spedirono in nome di SUA SANTITA contro a quel progetto di leg ge, significarono che l'animo del SANTO PADRE era acerbissimamente addolorato dalle ingiurie che venivano recandosi alla Chiesa in Piemonte dall'epoca in cui era stata sancita la legge sulla stampa, e misero sotto gli

(*) Il contenuto di queste due Note in sostanza è identico, perciò si è creduto per brevità doverne allegare fra i documenti una sola.

occhi del Governo Torinese quanto a malgrado di ciò fosse stata verso di esso longanime e benigna la santa Sede, e come per parte degli stessi inviati Sardi fosse sempre provenuta l'inefficacia delle loro missioni. Di tali pontificie proteste fu poi data comunicazione a tutti i rappresentanti della Santa Sede presso le Corti estere.

15. Ma quando, ciò non ostante, quel progetto con alcune limitazioni fu approvato dalle camere legislative, e fu sancito con reale decreto dei 9 aprile, allora il predetto Nunzio apostolico per comando ricevutone da Sua Santità, abbandonò Torino; e quindi in poi risultarono da quella legge tanti altri attentati ingiuriosissimi alla Chiesa, i quali bene spesso obbligarono la Santa Sede a presentare nuovi altissimi reclami a quel Governo. Infatti il Cardinale pro-Segretario di Stato reclamò bentosto con due Note ufficiali, l'una dei 14 maggio (Docum. n. XVIII.) e l'altra dei 26 giugno 1850 (Docum. n. XIX.) contro alle scandalose violenze fatte ai due arcivescovi di Torino e di Sassari, i quali per avere dettata alcuna norma provvisoria con cui il loro clero dovesse regolarsi intorno alla menzionata legge sul foro ecclesiastico, erano stati giudicati e condannati dall'autorità laica come prevaricatori di reato di stampa e d'infrazione delle leggi dello Stato. E reclamò in pari tempo solennemente anche lo stesso Pontefice: giacchè avendo egli designato di tenere ai 20 di maggio un'allocuzione concistoriale all'occasione del suo fausto ritorno in Roma, non potè a meno di non lamentare le calamità che soffriva la religione nel regno di Piemonte (Docum. n. XX.). E reclamò pure con altra Nota lo stesso Cardinale pro-Segretario di Stato (Docum. n. XXI.) sotto il 2 di settembre contro agli eccessi fatti da quel Governo dopo la morte del cav. Santa Rosa ministro di agricoltura e commercio. Questi per essere stato fautore della medesima legge, e per avere persistito fino a morte nel non ritrattare il suo errore, era stato privato degli ultimi sacramenti dal parroco religioso dei Servi di Maria. Quel Governo adirato da ciò, quasi fosse giudice nelle cause spettanti l'amministrazione dei sacramenti, ed avesse diritto di punire i sacri ministri ed i pastori della Chiesa, fece violentemente tradurre nel Forte di Fenestrelle l'arcivescovo di Torino, e quindi espulse il parroco insieme co' suoi Religiosi dal proprio convento, e diede in amministrazione all'Econo

mato regio apostolico i beni del convento stesso. Intanto oltre alla predetta legge abolitiva del Foro ecclesiastico, altra ne fu sancita ai 5 di giugno, con cui era impedita la sacra libertà della Chiesa nell'acquistare beni stabili (Docum. n. XXII.).

16. Epperò il Governo Sardo non volle lasciare prive di alcuna risposta le Note suindicate del sig. Card. Antonelli, quindi il marchese d'Azeglio inviava due dispacci al marchese Spinola coll'incarico di comunicarli al medesimo Cardinale. In questi due dispacci segnati ai 3 giugno e ai 24 luglio 1850 si volle dare risposta alla Nota trasmessa in reclamo contro alle violenze recate agli arcivescovi di Torino e di Sassari. E siccome nel primo di questi dispacci (Docum. n. XXIII.), coll'intento di giustificare queste violenze e la legge che le cagionò, si fa discorso sulla natura dei Concordati e si attribuisce ai principi secolari il diritto di annullarli senza il consenso della Santa Sede, come conseguenza della facoltà, ch'essi hanno di mutare gli ordini politici nei loro Stati; così il prelodato sig. Cardinale Antonelli con sua Nota dei 19 luglio (Docum. n. XXIV.) fu obbligato a ribattere i falsi principii contenuti in quel dispaccio, e dichiarare la natura dei Concordati, i quali sono inviolabili per parte dell'autorità civile, sia perchè hanno vigore di trattati internazionali, sia perchè versano su leggi di disciplina universale ecclesiastica dipendenti dal Romano Pontefice. Mentre questa Nota era in corso, giungeva il secondo dispaccio dei 24 luglio (Docum. n. XXV.), nel quale s'intendeva di sostenere coll'autorità di alcuni pubblicisti, anche eterodossi, non essere necessario il consentimento della Sede apostolica per derogare ai Concordati con essa conchiusi, qualora siffatte derogazioni fossero richieste dal cangiamento degli ordini politici di uno Stato. Fu però riputato superfluo il rispondere a questo dispaccio già bastevolmente confutato colla predetta Nota dei 49 di luglio.

17. Per tutti questi attentati fu sentito un fremito di esecrazione dai fedeli di quel regno, e l'eco ne risuonò sulla tribuna dei Senatori. Allora il ministro Guardasigilli non ebbe difficoltà di asserire su quella medesima tribuna che il Governo era in trattato colla Corte di Roma intorno all'abolizione dell'immunità ecclesiastica in quel reguo; sicchè il giornale romano dové smentire questa pubblica dichiarazione del ministro.

18. Anzi il Governo volendo calmare alla meglio l'indignazione e lo scandalo eccitatosi per la sua condotta, mandò presso il Santo Padre un inviato senza avere dato a conoscere lo scopo nè le istruzioni di tale deputazione. Giunse quindi in Roma sulla metà di agosto di quell'anno 1850 il cav. Pier Luigi Pinelli, già presidente della Camera dei Deputati, e primo segretario del gran magistero dell'ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, col carattere d'incaricato di úna missione straordinaria presso la Santa Sede, accompagnato dai cavalieri Michelangelo Tonello e Giovanni Cavalli, quegli come consigliere, e questi come addetto alla stessa missione. L'esito di tale missione non fu punto dissimile dalle precedenti. Imperocchè il cav. Pinelli perseverava nelle massime manifestate dal suo Govrno sulla violabilità dei Concordati, e sulla pretesa necessità di tenere lontano dalla sua sede l'arcivescovo di Torino, non che sulla giustizia della legge sancita intorno alla immunità ecclesiastica, e della condotta tenuta fino a quel tempo dal suo Governo. Ciascuno vede che la S. Sede non avrebbe potuto imprendere trattative con chi dichiarava di poter rompere qualsivoglia contratto secondo che si crede opportuno, anche con vilipendio dell'autorità pontificia, e con chi disconosceva i principii fondamentali della disciplina ecclesiastica: e dopo averli conculcati pretendeva che la Sede apostolica ne riconoscesse la violazione come fatto compiuto. Nondimeno vollero usarsi a quell'inviato straordinario i dovuti personali riguardi, e perciò il Cardinale pro-Segretario di Stato ebbe con lui varie private conferenze; nel corso delle quali non potè a meno di non comunicare le accennate massime da lui manifestate in proposito a tntti i pontificii rappre– sentanti pressso le Corti estere, come fece con circolare dei 31 agosto (Docum. n. XXVI).

19. E quello che fa maggior meraviglia si è, che nello stesso tempo in cui si facea mostra dal predetto inviato Sardo di voler comporre le vertenze suscitate fra la Santa Sede ed il suo Governo, erano in quei regii Stati moltiplicate le ingiurie contro alla Chiesa. Rimaneva tuttora in Roma il cav. Pinelli e pareva ch'egli tenesse trattato colla Santa Sede, quando l'illustre arcivescovo di Cagliari ai 24 di settembre fu esiliato dal regno, per aver dichiarato, siccome si è detto, incorsi nella scomunica quelli che

avevano sequestrati gli oggetti esistenti nella cancelleria generale annessa al suo domicilio. Ed era in Roma quell'inviato Sardo quando ai 25 dello stesso mese il venerabile Arcivescovo di Torino con sentenza del magistrato di appello fu tratto fuori dalla fortezza di Fenestrelle, dove era trattenuto, e fu condannato allo sfratto dai regii Stati: nonchè la mensa arcivescovile di lui fu sequestrata e data in amministrazione all'Economato regio apo stolico. E nello stesso tempo si fomentavano pure nel popolo replicati tumulti contro gli ecclesiastici, e si succedevano rigorose perquisizioni nelle case dei Religiosi.

20. Quindi in seguito della dimora in Roma del sig. cavaliere Pinelli correano pubbliche voci nel regno Sardo di prossimi ed importanti trat – tati, che già si concludevano colla S. Sede: sicchè i vescovi della ecclesiastica provincia di Vercelli non mancarono di scriverne in proposito al Santo Padre. E affine di smentire siffatte voci, la SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE rispose immantinente a quei Vescovi sotto i 6 di settembre (Docum. n. XXVII.), manifestando le ragioni per cui sarebbe tornata infruttosa anche la missione del predetto signor Pinelli. E poco dopo il Cardinale pro-Segretario di Stato inviò un'altra circolare dei 24 dello stesso settembre a tutti i rappresentanti pontificii presso le Corti estere col racconto genuino della vera pos izione, in cui era la S. Sede rispetto al governo di Torino (Docum. n. XXVIII.).

21. E tostochè fu partito da Roma quell'inviato straordinario, SUA BEATITUDINE riputò essere giunto il momento, in cui manifestare solennemente al mondo cattolico l'ansia del suo cuore per la condotta tenuta dal Governo Sardo verso la Santa Sede dal 1848 in poi, e reclamare coll'apostolica sua voce contro alle ingiurie recate alla Chiesa, e contro ai danni cagionati alla religione nei dominii di Sua Maestà Sarda. E con tale intendimento radunò il concistoro nel dì primo di novembre, e pronunziò la ben nota allocuzione che incomincia: « In concistoriali allocutione» (Docum. n. XXIX.), nella quale con quel trattar moderato e caritativo, che si addice a padre comune, mise in chiaro i periodi più rilevanti di questa lagrimevole storia. 22. Ed a malgrado di sì solenne protestazione del SOMMO PONTEFICE, pure non si ritenne quel Governo dal perseverare nella via fino allora

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