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vero, ut scitis, alia in medio posita lex est vel ipsi naturali, divino, et sociali iuri omnino repugnans, et humanae societatis bono vel maxime adversa, ac perniciosissimis funestissimisque Socialismi, et Comunismi erroribus plane favens, qua inter alia proponitur, ut omnes fere Monasticae, Religiosaeque utriusque sexus Familiae, et Collegiatae Ecclesiae, ac Beneficia simplicia etiam iuris patronatus penitus extinguantur, utque illorum bona, et reditus civilis potestatis administrationi et arbitrio subiiciantur, et vindicentur. Insuper eadem proposita lege attribuitur laicae potestati auctoritas præscribendi conditiones, quibus reliquae Religiosae Familiae, quae de medio minime fuerint sublatae, subiacere debeant.

Equidem Nobis verba desunt ad explicandam amaritudinem, qua intime conficimur, cum videamus tot vix credibilia, planeque teterrima fuisse patrata, atque in dies patrari contra Ecclesiam, eiusque veneranda iura, contra supremam et inviolabilem huius Sanctae Sedis auctoritatem in illo Regno, ubi quamplurimi egregii existunt catholici, et ubi Regum praesertim pietas, religio, atque in hanc Beati Petri Cathedram, eiusque successores observantia in exemplum olim vigebant, atque florebant. Cum autem res eo fuerint deductae, ut satis non sit illata Ecclesiae damna deplorare, nisi curam omnem et operam ad illa tollenda adhibeamus, idcirco muneris Nostri partes implentes, in hoc amplissimo vestro consessu Nostram iterum vocem apostolica libertate attollimus, ac non solum omnia et singula decreta ab illo Gubernio in Religionis, Ecclesiae, et huius Sanctae Sedis iurium, et auctoritatis detrimentum iam prolata, verum etiam legem recens propositam reprobamus, et damnamus, illaque omnia irrita prorsus ac nulla declaramus. Praeterea tum eos omnes, quorum nomine, opera et iussu ipsa decreta iam edita sunt, tum illos, qui legi nuper propositae quovis modo favere, vel illam probare, aut sancire non formidaverint, gravissime monemus, ut etiam atque etiam animo menteque reputent poenas, et censuras, quae ab apostolicis constitutionibus, sacrorumque Conciliorum canonibus, maxime Tridentini (Sess. 22, Cap. 11) adversus rerum sacrarum praedatores, et profanatores, ecclesiasticae potestatis, ac libertatis violatores, et Ecclesiae, Sanctaeque Sedis iurium usurpatores constitutae sunt. Utinam tantorum malorum auctores Nostris hisce vocibus, mo

nitisque permoti atque excitati tandem aliquando cessent a tot ausis contra ecclesiasticam immunitatem, et libertatem, ac properent reparare innumera damna Ecclesiae illata, atque ita paterno Nostro animo durissima avertatur necessitas animadvertendi in ipsos illis armis, quae sacro Nostro ministerio divinitus fuere attributa!

Ut autem catholicus orbis perspiciat curas a Nobis pro Ecclesiae causa in Subalpino Regno tuenda susceptas, ac simul cognoscat agendi rationem, quae ab illo Gubernio adhibita fuit, peculiarem rerum expositionem typis edi, et cuique vestrum tradi iussimus.

Antequam vero loquendi finem faciamus, haud possumus, quin summis meritisque laudibus efferamus venerabiles fratres eiusdem Subalpini Regni Archiepiscopos et Episcopos, qui propriae dignitatis, et officii memores, Nostrisque votis quam cumulatissime respondentes, nunquam destiterunt singulari virtute, et constantia qua voce, qua scriptis opponere murum pro Domo Israel, ac Dei, eiusque sanctae Ecclesiae causam strenue propugnare. Atqne bic gratulamur quoque ex animo tot spectatissimis laicis viris, qui in illo Regno morantes, et catholicis sensibus egregie animati, ac Nobis et huic Apostolicae Sedi firmiter adhærentes gloriati sunt sacra Ecclesiae iura tum voce, tum scriptis palam publiceque defendere.

Interim a vobis, venerabiles fratres, qui in partem sollicitudinis Nostrae vocati estis, exposcimus, ut una Nobiscum potentissimo Immaculatae Virginis Mariae patrocinio suffulti assiduas, fervidasque preces Deo adhibere nunquam desinatis, ut-caelesti sua ope Nostris curis, et conatibus adesse, atque omnipotenti sua virtute Ecclesiae suae sanctae causam tueri, et errantes ad veritatis, et iustitiae semitam reducere velit.

ESPOSIZIONE

CORREDATA DI DOCUMENTI

1. Allorchè furono cambiate nel 1848 le condizioni politiche del Piemonte colla pubblicazione dello Statuto, non potea dubitarsi che i diritti della Chiesa di Gesù Cristo dovessero esservi rispettati, tanto più che era stata proclamata nello Statuto medesimo la Religione cattolica come la sola religione dello Stato. Ma il fatto non corrispose alla espettazione, giacchè non si tardò a vedere violati i sacri diritti della Chiesa e fatta ingiuria alla religione. È vero, che si sono dal Governo di S. M. Sarda in più tempi inviati rappresentanti presso la santa Sede coll'incarico di concludere nuovi trattati colla medesima; ma non perciò si è potuto sin qui, dopo lo spazio di oltre a sei anni, giungere ad alcuna utile conclusione; imperocchè quel Governo ha proseguito a battere la via graduata di nuove violazioni dei venerandi diritti della Chiesa, ed il sapersi generalmenle esservi delle trattative tra il governo stesso e la S. Sede, diminuiva in qualche modo l'odiosa opinione che sarebbe ad esso derivata da tal condotta. La presente narrazione, col corredo dei relativi documenti ufficiali, metterà in tutta luce questo interessante argomento.

2. E già alcun tempo prima della pubblicazione dello Statuto cominciarono a vedersi i gravi mali cagionati dalla legge sulla stampa sancita ai 10 di ottobre e dalla succeduta circolare dei 7 di dicembre 1847, spedita dalla regia commissione superiore di revisione della stampa ai presidenti delle regie commissioni provinciali. Con queste ordinazioni dell'autorità civile, e con altre posteriori inviate ai vescovi del regno sullo stesso argomento erano sottratti dalla preventiva approvazione ecclesiastica i libri, che sarebbero introdotti dall'estero (Docum. N. I.): ed inoltre l'esame delle opere e dei giornali da stamparsi era esclusivamente affidato ad apposite commissioni governative, alle quali di più sono in fatto assoggettate le stesse pubblicazioni dei vescovi. Apparve bentosto come siffatte ordi

nazioni sarebbero feconde di perniciosissimi effetti. In previsione dei quali ed in appoggio dei reclami dei vescovi, SUA SANTITÀ si era proposto d'impegnare con sua lettera la Maestà del Re Carlo Alberto, affinchè volesse rendere piena ragione ai giustissimi reclami dei vescovi stessi; ma si astenne allora dal dar corso a tali uffici il SoMMO PONTEFICE, poichè poteva sperarsi, che la libertà della stampa sarebbe alquanto repressa nei suoi eccessi colla legge, che poco dopo fu pubblicata.

3. Ma poi crebbe la ingiuria che si recava alla Chiesa, quando pubblicata appena la Costituzione, fu emanata ai 25 di aprile un'altra legge, colla quale era decretato il così detto Regio exequatur sulle provvisioni di Roma, riferendolo a termini dei concordati ed usi vigenti (Docum. n. II.). Ma gli usi vigenti, o per dir meglio, gli abusi dell'autorità laica su questo particolare sono stati sempre e replicatamente condannati dalla suprema autorità della Chiesa, e sono per se stessi nulli. Infatti anche ai 20 di giugno 1719 il Senato torinese pubblicò un editto quasi simile a questa legge, recato per disteso nel Breve di Clemente XI che incomincia « Ad Apostolatus nostri notitiam » dei 18 agosto di quell'anno 1719: ed in questo Breve quell'editto non solo fu condannato, ma fu dichiarato nullo per se medesimo (Docum. n. III.). Ed in ordine ai concordati è poi noto, che il Pontefice Benedetto XIV, nella sua istruzione dei 6 di gennaio 1742, data dipendentemente dal concordato di Benedetto XIII. per la immunità ed esercizio della giurisdizione ecclesiastica, dichiarò di tollerare la semplice visura e ne assegnò chiaramente i limiti (Docum. n. IV.), i quali nella legge dei 25 aprile 1848 vennero eccessivamente trascorsi.

4. E quasi queste leggi non offendessero la religione, la Chiesa e la Santa Sede, il Governo Sardo si fece ad invocare il concorso dell'autorità del SOMMO PONTEFICE, affine di ottenere novelle derogazioni alle leggi della Chiesa medesima, senza dar segno di volere riparare le ingiurie, che colle anzidette leggi le aveva arrecate. Infatti con Nota ufficiale (Docum. n. V.) de 16 giugno 1848 inviata dal ministro plenipotenziario in Roma sig. Marchese Pareto all'Emo sig. Cardinale Segretario di Stato, propose di voler tenere trattato colla Santa Sede sull'abolizione di tutti i privilegi del foro sì civile che criminale esistenti tuttora in favore degli ecclesiastici in quei

regii Stati. E poichè assegnava per ragione di siffatta domanda la necessità di coordinare lo sviluppo delle leggi a quello della società, l'E.mo sig. Cardinale Giovanni Soglia, allora Segretario di Stato, con Nota ufficiale (Docum. n. VI.) dei 27 dello stesso mese gli faceva riflettere, come l'ordinamento della disciplina ecclesiastica e delle leggi che la riguardano è del tutto indipendente dalle innovazioni politiche di uno Stato, e come sul proposito della immunità, già larghe e recenti concessioni erano state date al Piemonte dai romani Pontefici. Non pertanto nell'augusto nome di PAPA PIO IX gli significava avere SUA SANTITÀ condisceso che si tenessero i richiesti trattati affine di conoscere, se, e quale altra facilitazione potesse farsi dalla Santa Sede sul punto dell'immunità ecclesiastica, ed a tale effetto avere destinato plenipotenziario per parte della medesima Santa Sede l'E.mo sig. Cardinale Giacomo Antonelli.

5. In seguito di ciò il predetto ministro sig. marchese Pareto ai 14 del succeduto settembre con altra sua Nota ufficiale (Docum. n. VII.), diretta al Cardinale plenipotenziario pontificio, notificò ch'egli insieme col signor ab. Antonio Rosmini erano stati deputati per plenipotenziari del suo Governo, a nome del quale presentò un progetto di Concordato con alcune succinte nozioni di fatto sullo stato attuale della giurisdizione ecclesiastica negli antichi dominii di Terraferma (Docum. lett. A.). La scelta dei plenipotenziarii Sardi non riuscì disaggradita alla SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE, come è manifesto dalla Nota, con cui il Cardinale plenipotenziario ai 16 dello stesso mese accusò ricevimento delle comunicazioni fattegli dal ministro Sardo (Docum. n. VIII.). Fu però ben tosto riconosciuto quanto fossero inopportune ed esagerate le inchieste o piuttosto le pretensioni di quel Governo contenute nel suo progetto (Docum. Lett. A.), e come fossero fondate su falsi principii. Ed infatti l'abate Rosmini, dopochè le ebbe udite, rifiutò di prestare l'opera sua affine di sostenerle al cospetto della Santa Sede. Il SANTO PADRE intanto si degnò di ordinare al Cardinale suo plenipotenziario di fermare invece, tranne le particolarità proprie a ciascun luogo, come basi del richiesto Concordato quegli articoli che erano stati riconosciuti poco prima dal Governo granducale di Toscana per fondamento d'una convenzione (Docum. n. IX.).

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