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vediamo nominati tutte le terre ed i principi che o spontaneamente o colle armi passarono sotto l'impero di Ciro. Da Omero vediamo compreso in un catalogo il nome, la stirpe, la patria, i costumi, le forze, la bellezza, il numero delle navi e presso a poco il numero dei soldati dei re barbari e greci. E ne imitarono l'esempio non solo molti greci, ma ancora i nostri latini Ennio, Virgilio, Lucano, Stazio ed alcuni altri. Da Giosuè e da Mosè nella divisione della terra promessa furono descritti ancora tutti i piccoli borghi. E tu disdegni di contare anche le provincie, e nomini soltanto le occidentali. Quali sono i confini dell' Occidente? dove cominciano? ove finiscono? Sono forse così determinati e fissi i limiti dell'Occidente e dell' Oriente, del Mezzogiorno e del Settentrione, come sono quelli dell'Africa, dell' Asia e dell'Europa? Tu sottrai le parole necessarie e v'intrudi le inutili. Chiami province i luoghi e le città: sono forse province le città ed i luoghi? E dopo d'aver detto province soggiungi città, quasi che queste non fossero comprese sotto quel nome. Ma non reca meraviglia che quegli che aliena da sè una così grande parte del mondo tralasci i nomi delle città e delle province, e quasi oppresso da letargo ignori quello che dice. Italiae sive occidentalium regionum. Come se questo o quello, mentre l'uno e l'altro s' intende, si confondano: e dice provin cias regionum dovendo piuttosto dirsi regiones provinciarum e permanendam invece di permansuram.

Laonde pensammo essere cosa conveniente che il nostro impero e la regia potestà sieno trasferiti nelle regioni Orientali e che in un ottimo luogo della provincia bizan

tu che hai lasciato Roma e mal meritato de mano che oltraggi: nè re, il che niun altro se non ti chiami re perchè hai cessato di ess Ma adduci almeno una ragione onesta.

Poichè non è giusto che un imperatore to il suo dominio là dove dal celeste imperatore sacerdote messo a capo della cristiana religio

O stolto Davide, Salomone, Ezechia, Gi gli altri re, e poco religiosi tutti quelli che s abitare in Gerusalemme insieme con i somm nè si allontanarono da quella città! Costan giorni sa più di ciò che quelli poterono sap la loro vita. E lo chiami imperatore celeste cettò l'impero terreno, se non intendi dire parli ambiguamente, dal quale tu mentisci costituito il principato terreno dei sacerdoti di Roma e su altri luoghi.

Tutte queste cose poi che mediante quest periale scrittura e gli altri nostri decreti stab sammo, rimangano illibate ed inconcusse sino mondo.

Poco fa ti eri chiamato terreno, o Cost

ti chiami divino e sacro. Ricadi nel paganesimo e più dei pagani ti fai Dio, fai sacre le tue parole ed immortali perocchè comandi al mondo, che conservi illibati ed immutabili i tuoi decreti. Ma non pensi chi sei tu, poco fa mondo e rimondo dal sordidissimo fango dell'empietà? Perchè non aggiungevi: di questo privilegio non perirà un iota od un apice solo alla guisa che non perisce il cielo e la terra? Il regno di Saul scelto da Dio non pervenne ai figliuoli, il regno di Davide fu diviso negli eredi e poscia estinto, e tu con la tua autorità decreti che il regno che dai al sommo Dio sarà per durare sino alla fine del mondo? E chi t'insegnò che il mondo perirebbe così presto? Poichè io non credo che tu ora presti fede ai poeti che attestano anche ciò. Tu dunque non avresti detto ciò, ma un altro l'ha inventato. Del resto quegli che così magnificamente e superbamente ha parlato, comincia a temere ed a diffidare di sè stesso, sicchè ricorre agli scongiuri.

Laonde alla presenza del Dio vivo che ci ordinò di regnare e del terribile giudizio di lui preghiamo tutti gli imperatori nostri successori, tutti gli ottimati, i satrapi, l'eccellentissimo Senato, tutti i popoli dell' universo anche quelli che verranno più tardi, e li scongiuriamo di non abbattere od alterare in alcun modo questo decreto.

Quale giusto e religioso scongiuro. Non altrimenti che se un lupo per la sua innocenza e fedeltà scongiura gli altri lupi ed i pastori, acciocchè nè quelli tentino di togliergli le pecore che egli ha rubate e divise tra i figli e gli amici, nè questi cerchino di ricuperarle. Perchè mai temi così grandemente, o Costantino? Se la tua

città santa. Ma tu non avevi mai letto dunque non sono tue queste parole.

Se poi vi sarà qualche violatore del pr il che non crediamo, soggiaccia condannato nazione e tanto nella presente che nella fut a sè contrarii i santi Apostoli Pietro e Paolo infernale insieme col diavolo e con gli altri nato tra le fiamme.

Queste terribili minacce sogliono farsi sare o da qualche principe laico, ma dag cerdoti o flamini ed ora dagli ecclesiastici cosa questo discorso non è di Costantino, che sciocco chierichetto, grosso e grasso quel che dice ed in che modo lo dice, e cl pule ed i fumi del vino erutta queste dot parole che non passano in altro, ma tornar autore. Prima dice aeternis condemnationibu poi, come se potesse aggiungersi alcun che aggiungere qualche altra cosa, e dopo l'aet narum aggiunge poenas vitae praesentis, ed

(1) Apocalisse. XXII. 18-19.

con la condanna d'un Dio, come se vi fosse alcun che di più importante, ci atterrisce coll' odio di Pietro cui non so perchè aggiunga Paolo, o perchè lo nomini solamente. Preso di nuovo dal solito letargo ritorna alle pene eterne come se ciò non avesse detto precedentemente. Che se queste minacce e maledizioni fossero di Costantino, incontanente lo maledirei come tiranno e dissipatore del mio stato, e quelli ammirerebbero in me il vendicatore del nome romano. Ora chi mai tiene in pregio la maledizione d'un uomo avarissimo, il quale a mo’ degl'istrioni simula le parole ed atterrisce gli altri sotto sembiante d'esser Costantino? Ciò vuol dire che tu sei proprio un ipocrita, per servirci d'un vocabolo greco, e che sotto la persona altrui nascondi la tua.

Convalidando poi con la propria firma il documento di questo imperiale decreto lo ponemmo sul venerando corpo del beato Pietro.

Il documento in cui furono scritte queste cose fu una carta od una pergamena? benchè chiameremo pagina l'altra faccia del foglio, come dicono, poichè ogni quinterno costa di dieci fogli e di venti pagine. Oh cosa inaudita ed incredibile! quando ero giovanetto, ricordo d'aver domandato ad un tale chi aveva scritto il libro di Giobbe, ed avendo quegli risposto, lo stesso Giobbe, allora io soggiunsi, come dunque egli farebbe menzione della sua propria morte? Il che può dirsi ancora di molti altri libri, dei quali non è qui luogo di discorrere. Difatti come si può con verità narrare ciò che non ancora sarebbe accaduto e che si contenga su tavole ciò che dopo la sepoltura, per così dire, della tavola, egli

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